Persone, culture e tecnologie dell’impresa intelligente

La corretta esecuzione delle strategie aziendali rappresenta sempre più un’area di attenzione primaria da parte delle imprese.La tavola rotonda di zerouno, parte del ciclo di "incontri a cena con gli utenti" organizzato insieme alla business school istud, focalizza i punti centrali del problema: persone, competenze, tecnologie e rapporti tra It e business, per giungere ad un’impresa più "intelligente" e proprio per questo più reattiva al mercato

Pubblicato il 02 Giu 2004

Lo scorso aprile si è svolta la terza serata del ciclo ‘Incontri a Cena’, organizzati da ZeroUno e da Istud (Istituto Studi Direzionali – www.istud.it) e dedicati all’esplorazione di come i sistemi informatici possono contribuire al miglioramento della competitività delle imprese.
Il tema proposto faceva riferimento a quello che può essere considerato uno dei filoni più promettenti dell’evoluzione della Business Intelligence, vale a dire il ‘Business Performance Management’, il cui obiettivo è quello di aggiungere valore alle attività di business delle aziende attraverso un’attenzione continua sul come vengono definite e implementate le sue strategie.
A questo fine il Bpm propone un insieme di metodologie, metriche e sistemi, che non costituiscono di per sé una reale novità, tranne il fatto che solo recentemente si è incominciato a pensare che potevano essere utilizzate in una prospettiva più ampia e articolata rispetto al passato. E, soprattutto, ci si è resi conto che le strategie, da una parte, e la loro esecuzione, dall’altra, sono i due elementi in grado di determinare effettivamente le performance delle aziende.
Evento centrale della serata è stato una tavola rotonda, coordinata da Stefano Uberti Foppa, direttore di ZeroUno, e da Alberto Melgrati, responsabile operativo dell’area e-Business di Istud, alla quale hanno partecipato Francesco Varanini, direttore scientifico dell’area e-Business di Istud; Maurizio D’Ascenzo, product marketing manager di Business Objects; Iuris Cella, Business Intelligence solutions manager del Gruppo Formula; e Filippo Ziliani, chief financial officer di Sutter.
Di seguito è stata riportata una sintesi dei temi emersi nel corso della discussione, alla quale ha contribuito, come sempre con numerosi interventi, anche il pubblico presente. Per dare subito concretezza all’argomento scelto, il dibattito è stato preceduto dalla presentazione, da parte di Filippo Ziliani, di un’esperienza diretta di applicazione dei concetti base del Bpm, i cui contenuti sono stati riportati con maggior dettaglio nell’ articolo seguente a questo servizio.

Uberti Foppa – Il Business Performance Management si avvale di tecniche e di metodologie proprie della Business Intelligence almeno in parte già utilizzate da quelle aziende che, come la Sutter, hanno deciso di effettuare “il salto” verso il pieno riconoscimento del ruolo strategico dell’informazione. Più che di tecnologia, questa sera vorremmo tuttavia parlare delle tematiche legate all’organizzazione che un’azienda deve darsi, ai ruoli che deve fare emergere, ai percorsi che deve intraprendere per diventare, secondo gli assunti del Bpm, una ‘real time enterprise’, un’azienda capace cioè di riconfigurarsi dinamicamente al variare delle condizioni del mercato in cui opera.

Melgrati – È stato negli anni ‘50 anni che si è incominciato a studiare quello che si potrebbe definire il ‘processo razionale di presa delle decisioni’, del quale vengono individuati alcuni passaggi fondamentali: la definizione del problema e la ricerca dei dati che consentono di fissarne i contorni, l’identificazione delle possibili soluzioni, la scelta di quella che dovrà essere adottata, la sua esecuzione e il suo monitoraggio. E nonostante le varie obiezioni – il processo non è veramente razionale poiché gli attori non lo sono a sufficienza; le decisioni sono coerenti solo con le variabili considerate; è molto difficile selezionare all’interno dell’enorme massa di informazioni disponibili quelle che hanno realmente valore per l’azienda – è da questo nucleo concettuale che si sono evoluti i sistemi di supporto alle decisioni, dei quali oggi siamo testimoni di un’importante mutazione. Abbiamo infatti finalmente superato la prima fase del processo decisionale, quella del reperimento e della costruzione di insiemi di dati, basata in sostanza su attività di reporting, e stiamo invece incominciando a sviluppare applicazioni che ci permetteranno finalmente di passare alla seconda fase, consentendoci di disegnare scenari e di fare ipotesi alternative, aiutandoci ad avere nuove idee sul cosa fare, supportandoci insomma anche nella fase più creativa del processo decisionale.

Varanini – Sembrerebbe dunque legittimo chiedersi quali siano gli strumenti che devono essere messi nelle mani di chi gestisce veramente il business: del manager, dell’imprenditore, di chi di fatto decide dove deve andare l’azienda. E chiedersi chi debba costruirli. Non si può pensare che questo compito venga affidato agli attuali responsabili dei sistemi informativi, perchè lo farebbero basandosi su un sapere tecnico e non su un sapere di business. E quindi mi chiedo come si deve ridefinire il ruolo di chi si occupa di It affinché possa fornire questi strumenti e, magari, anche un supporto consulenziale, perchè è mia opinione che questi strumenti è il manager che in qualche misura dovrà costruirseli, che dovrà appropriarsene.

Uberti Foppa – Avendo come fine quello di migliorare la competitività dell’impresa attraverso la gestione e la diffusione delle informazioni, quali possono essere operativamente i passi da compiere per cercare di identificare le aree strategiche, scoprire le criticità, individuare i punti su cui agire per sintonizzare meglio l’azienda sull’obiettivo?

Cella – La diffusione del Business Performance Management comporterà, a mio avviso, una crescita del ruolo dell’It, che dovrà farsi carico del supporto, perlomeno architetturale, dei processi decisionali dei suoi manager. Questo significa che il responsabile dei sistemi informativi dovrà essere capace di iniettare nelle soluzioni di Bpm quello che ha imparato riguardo i processi della sua azienda. Un impegno non di poco conto e che non tutti sono in grado di assumere. Ed è per questo che, come vendor, dovremmo cercare di proporre strumenti in grado di far crescere nelle aziende questo tipo di capacità. Formula sta cercando di farlo attraverso la creazione di ‘gruppi di interesse’, dove i suoi clienti più avanzati, appartenenti a uno stesso settore merceologico, mettono in comune le loro esperienze di utilizzo delle applicazioni a supporto del processo decisionale. In questo modo esempi di ‘best practice’ possono essere portati a conoscenza anche di quei clienti che per cultura, o per dimensioni, non sono in grado di trasferire nei processi informatici le esigenze di business delle loro aziende.

Uberti Foppa – Il primo passo consisterebbe dunque nel favorire il confronto e la diffusione all’interno delle imprese di un certo tipo di conoscenze?

Cella – Ziliani ha fatto a questo proposito un’osservazione molto interessante. Poiché tutte le informazioni riguardanti le diverse funzioni di un’azienda devono concorrere al raggiungimento degli obiettivi che questa si è data, ne discende che le singole funzioni devono necessariamente condividerle. E questo costituisce un importante salto paradigmatico, perchè nel nostro Paese siamo invece sempre stati abituati a lavorare creando steccati attorno alle diverse funzioni aziendali. E anche là dove questi steccati non esistevano, le diverse funzioni erano considerate proprietarie dei loro dati e delle loro informazioni. Oggi, per far funzionare meglio l’azienda, bisogna smantellare questi steccati e favorire l’assoluta trasparenza e la massima condivisione dei dati e delle informazioni dal vertice fino alla base della piramide organizzativa. Questa continua circolazione di dati fra il vertice e la base permette di definire gli obiettivi e la verifica del loro raggiungimento, mentre il loro flusso orizzontale migliora la qualità e la creatività del processo decisionale.

D’Ascenzo – Qualsiasi sviluppo della competitività delle aziende passa attraverso la trasformazione del loro patrimonio informativo in conoscenza. Il primo passo che un’azienda deve compiere per raggiungere questo obiettivo consiste nell’attuare una strategia di Bi tradizionale, avvalendosi di strumenti di query e di reporting. La trasformazione di questa semplice visualizzazione degli indicatori aziendali in un sistema che consente di allineare le strategie all’esecuzione è invece quello che ci propone il Bpm. Che nella nostra visione è la somma di un’infrastruttura di Bi, di metodologie di vario tipo, e di indicatori di performance che vengono definiti e poi tracciati nella loro evoluzione. Si tratta poi di analizzare in profondità le cause dei loro eventuali scostamenti rispetto agli andamenti previsti, e studiare, qualora le circostanze lo richiedano, interventi capaci di riportare alla normalità le situazioni ritenute anomale, sfruttando, per riuscire a definirli, strumenti come il data mining, e per valutarne i possibili effetti, tecniche di simulazione o di ‘what if’. Si tratta a questo punto di agire direttamente sui processi aziendali per introdurre le modifiche ritenute necessarie: attività questa che costituisce la conclusione e quindi la chiusura dell’intero ciclo, che si riapre tuttavia immediatamente dopo, avendo come riferimento i nuovi parametri di performance indotti dalle modifiche stesse. Fare del Bpm significa in definitiva mettere in piedi, all’interno dell’azienda, questo processo iterativo.

Uberti Foppa – Quali sono le motivazioni che possono spingere un’azienda ad intraprendere questo percorso: il timore di perdere competitività? La necessità di gestire una situazione interna o esterna particolarmente complessa? L’azione di un responsabile dei sistemi informativi illuminato?

Ziliani – Il desiderio di comprendere meglio la propria realtà può avere diverse origini. Nel nostro caso è scaturita da una sensazione di paura. Dal timore che le multinazionali operanti nel settore avrebbero potuto incominciare a farci la guerra. E c’erano anche dei risultati insoddisfacenti… Questo ci ha spinto a indagare sul perchè di questa situazione, e a dotarci degli strumenti che ci avrebbero permesso di capire non solo quali erano i nostri punti deboli, ma anche le nostre opportunità.

Intervento dal pubblico – L’idea che l’informazione sia un valore strategico per le aziende credo sia assolutamente condivisibile. Tuttavia il motivo per cui, oggi, molti responsabili dei sistemi informativi soffrono di una mancanza di identificazione con il loro ruolo, sta forse proprio nel fatto di non essere riusciti a capire non solo quanto effettivamente sia importante, ma anche quanto spetti a loro interpretarla in chiave di business, e non più unicamente in termini di tecnologia. Naturalmente la tecnologia c’è, è fondamentale, ed è anche molto complessa. A noi è affidato il compito ingrato di gestire al nostro interno questa complessità, la parte sommersa dell’iceberg, senza che i nostri colleghi di business si accorgano di nulla e, allo stesso tempo, imparare a parlare il loro linguaggio. Capire come funzionano i processi fondamentali dell’azienda e le loro complessità, in modo da essere in grado di suggerire le soluzioni informatiche più opportune…

Varanini – È vero che c’è questa complessità tecnologica da gestire e c’è quindi bisogno di tecnici che siano capaci di renderla fruibile a chi deve utilizzarla. Tuttavia ritengo che chi vende un certo tipo di software non debba rivolgersi a chi si occupa di It, ma al manager che ha un problema da risolvere, anche se questo significa che chi si occupa di business dovrebbe sviluppare una maggiore conoscenza dell’It.

Uberti Foppa – Poiché in genere chi si occupa di business non sempre possiede queste competenze, com’è possibile mettere d’accordo le esigenze di un mangement che vuole saperne di più sul suo business e la scelta, dal punto di vista tecnico, degli strumenti da impiegare, nella quale inevitabilmente deve essere coinvolto il responsabile dei sistemi informativi?

Ziliani – Le aziende possono essere molto diverse l’una dall’altra. Io comunque ritengo che il responsabile dei sistemi informativi debba avere un ruolo primario nella scelta del software da adottare, sia perchè di solito, specialmente nelle aziende delle nostre dimensioni, non c’è nessun altro che abbia le competenze necessarie per capire se un certo software può soddisfare le esigenze dei suoi colleghi di business, sia perchè è lui che dovrà poi farlo funzionare…

D’Ascenzo – Come vendor ci siamo resi conto che spesso il processo di vendita viene accelerato quando siamo in grado di dimostrare, numeri alla mano, il ritorno sull’investimento della soluzione proposta. Come questa cioè, a seconda della situazione da affrontare, consenta di ridurre i costi, o aumentare la redditività dell’azienda, o migliorare la customer loyalty. Un discorso che fa più presa sul manager che deve risolvere il problema piuttosto che sul responsabile dei sistemi informativi.

Intervento dal pubblico – Uno dei dilemmi davanti al quale si trova il responsabile dei sistemi informativi è che, molto spesso, nemmeno i manager sanno quello che vogliono…

Uberti Foppa – Quando si affrontano questi temi, si sente di solito affermare che a guidare il cambiamento in azienda deve essere il management del business e non quello dell’It. Tuttavia, come abbiamo visto anche nel caso Sutter, è importante che tutti facciano la loro parte. Io non credo che la spinta a sfruttare al massimo il ruolo strategico dell’informazione debba venire per forza dal management del business. Quello che secondo me è carente, è invece la capacità dell’It, affogato in mille problemi, di riuscire ad articolare adeguatamente questo tipo di esigenza in modo pervasivo e trasversale all’impresa.

Intervento dal pubblico – Mi riferisco a quello che ha detto Varanini, e cioè che non si può delegare ai tecnici la soluzione dei problemi di business, ma bisogna dare ai manager gli strumenti che consentano loro di creare direttamente la soluzione che desiderano. Io penso che questo sarebbe possibile se, invece della cultura di Excel oggi dominante, si incominciasse a insegnare come si utilizza un motore Olap. Per arrivare a questo è necessario portare su tutte le scrivanie semplicemente uno strumento che oggi, per noi tecnici, è banale, ma che non lo è per i manager, e, altrettanto importante, togliere loro la carta.

Cella – Con Excel assieme all’informazione, abbiamo portato su tutte le scrivanie anche una quantità notevole di cose inutili. Ciò facendo abbiamo creduto di aver reso l’utente finale padrone delle regole di un preteso funzionamento aziendale, mentre in realtà queste regole devono essere quelle con le quali riusciamo a decodificare le informazioni che provengono dai diversi sistemi esistenti in azienda, informazioni che devono essere assolutamente condivise, e quindi conservate in un’infrastruttura centralizzata. Dell’esistenza di tutto questo, cioè di tutta la parte tecnologica del problema, il management non deve saperne nulla. Perchè a lui non interessa.

Varanini – A mio giudizio è sulla formazione che bisogna investire, e sull’idea che il manager queste cose le possa capire. In definitiva i manager, gli imprenditori, non sono poi così stupidi. Perchè pensiamo che per coloro che conoscono i fondamenti del marketing, o quelli della finanza, non debba essere altrettanto importante possedere i fondamenti dell’It?

Intervento dal pubblico – Quando sento parlare della contrapposizione esistente tra business e It, mi irrito molto. Mi irrito perchè, pur essendo un uomo dell’It, mi considero a tutti gli effetti anche uomo di business. In realtà penso che buona parte del problema nasca proprio perchè si tende a creare questo dualismo: da una parte c’è il business e dall’altra l’It, ciascuno con i suoi obiettivi. Ritengo che dovremmo invece sfatare quest’idea, e incominciare a dire che siamo tutti manager di azienda, che tutti abbiamo un comune obiettivo: quello di fare in modo che la nostra azienda raggiunga i suoi obiettivi. Vi sono poi delle competenze specifiche, ed è chiaro che gli uomini dell”It devono sopratutto occuparsi di quelle cose nascoste che garantiscono il funzionamento di tutti i sistemi informatici. Secondo me è che ci vuole correttezza da entrambe le parti: se, com’è stato detto, l’uomo di business dovrebbe sforzarsi di migliorare la sua cultura informatica, perchè l’informatico non dovrebbe sforzarsi di capire quali sono i processi fondamentali della sua azienda?

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