INTELLIGENZA ARTIFICIALE

Da System integrator a knowledge integrator, come cambia il ruolo del partner con l’AI



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Qualità del dato come snodo critico e un nuovo ruolo per i system integrator, chiamati a garantire metodo, coerenza e continuità nei processi decisionali delle imprese. Viberti (Altea UP): “L’AI non è infallibile: lavora sui dati e sulle informazioni che le forniamo. E se le diamo qualcosa di sbagliato, lavorerà su basi errate senza correggerle”

Pubblicato il 16 dic 2025


Altea UP Point of View

Andrea Viberti, CBO di Altea UP
Andrea Viberti, CBO di Altea UP

Il perimetro consulenziale e operativo della system integration è profondamente cambiato. Con la diffusione massiva dell’intelligenza artificiale, in particolare delle sue forme agentiche capaci di intervenire nei processi decisionali in modo autonomo o collaborativo, non basta più analizzare, parametrizzare, progettare, configurare e mettere in produzione. Il problema è che l’uso dell’intelligenza conversazionale è entrata nelle aziende con un modello bottom up, prima ancora che un’azienda abbia avuto tempo di definire obiettivi chiari, policy, responsabilità e modelli di presidio adeguati. L’hype mediatico e la grande accessibilità della tecnologia hanno creato un divario crescente tra ciò che le persone già fanno con l’AI e ciò che le aziende sono pronte a governare.

«Viviamo un’era digitale che sta accelerando in modo evidente – spiega Andrea Viberti, CBO di Altea UP -. Ma è difficile utilizzare strumenti digitali che ci potenziano e aumentano le nostre capacità decisionali se il punto di partenza resta un problema troppo grande e indistinto. Questi strumenti ci aiutano a prendere decisioni più velocemente e perfino a farci venire idee diverse rispetto a quelle che avremmo avuto normalmente. Ma tutto diventa più efficace quando riusciamo a dividere il problema in sottoproblemi, per analizzarli e affrontarli con maggiore precisione. Nella nuova era dell’H2M, il supporto della tecnologia è tanto più efficace quanto più la domanda – o la questione – è precisa e indirizzata a un singolo aspetto, tra i tanti che dobbiamo gestire all’interno dei processi decisionali. Maggiore semplicità significa maggiore efficacia nell’interazione con strumenti digitali che non sono oracoli: lavorano su aspetti molto mirati. Tanto più riusciamo a mirare bene la nostra domanda, tanto più la risposta che otteniamo è efficace».

Manager più preparati, domande più complesse: la nuova maturità del B2B

Anche nel B2B la diffusione dell’AI ha prodotto un cambiamento radicale dei clienti. I manager arrivano ai tavoli di confronto già orientati, già informati, già accompagnati dalle loro intelligenze artificiali personali. I system integrator parlano con clienti sempre più AI-enabled, il che porta a un paradosso relazionale. Non basta saper parlare con i clienti. È necessario imparare a parlare con le loro intelligenze e con le loro intelligenze artificiali. Perché ogni interazione che una persona ha con un assistente digitale istruisce quell’AI sui suoi bisogni, sulle sue intenzioni, sui suoi scenari di vita. In prospettiva, quello che oggi chiamiamo Customer Data Platform potrebbe diventare un insieme di Customer Data Pods distribuiti, all’interno dei quali risiedono pezzi della conoscenza del cliente custoditi dalle varie AI agentiche che usa. Questo innalzamento della consapevolezza modifica l’intero processo consulenziale: non basta più proporre soluzioni tecnologiche, serve aiutare le aziende a capire quale AI è utile, dove ha senso applicarla, come può integrarsi con i processi esistenti e quali responsabilità introduce nei flussi decisionali.

«L’aspetto principale del dialogo con un cliente oggi riguarda proprio identificare dove utilizzare l’intelligenza artificiale nei processi aziendali e da quali partire – ha proseguito Viberti –. Pur conoscendo molto bene i vari settori industriali e i processi che caratterizzano un’azienda, notiamo come le domande delle aziende sull’AI siano ancora estremamente generiche. Bisogna capire quale tipo di supporto l’intelligenza artificiale può davvero offrire. Da qui ai prossimi cinque anni vedremo molte cose cambiare. Vedo meno la necessità o l’ansia di creare agenti completamente autonomi; vedo invece la possibilità di affiancare un customer service che deve dare risposte efficaci ai clienti, utilizzare la tecnologia come supporto per essere più veloci ed efficaci nella risoluzione dei problemi, accelerare lo sviluppo prodotto, scegliere configurazioni più efficaci dal punto di vista produttivo, migliorare manutenzione, pianificazione e riduzione dei difetti».

Responsabilità, dati e metodo: il nuovo perimetro dei system integrator

L’ingresso dell’AI agentica nei processi aziendali introduce anche un cambio di responsabilità significativo per i system integrator. La tecnologia non è infallibile, e la qualità delle sue risposte dipende dalla qualità dei dati, dalla coerenza dei processi e dalla chiarezza con cui viene inserita nell’organismo azienda. In questo scenario, il valore del partner non è più soltanto implementativo: diventa metodologico, organizzativo e sistemico. È il partner a costruire le condizioni affinché l’AI diventi utile, affidabile e responsabile.

«A capo della tecnologia c’è comunque un essere umano che decide – fa notare il manager -. L’AI lavora sui dati e sulle informazioni che le forniamo. E se le diamo qualcosa di sbagliato, lavorerà su basi sbagliate senza correggerle. È un aspetto tutt’altro che irrilevante perché anche per un system integrator comporta un nuovo ordine di responsabilità. La complessità del dialogo con i clienti oggi sta proprio nel portarli dentro questo tipo di ragionamento, per poi arrivare insieme a una possibile

messa a terra di progettualità concrete in questo ambito. Essere un soggetto esterno all’azienda, quindi poterla osservare dall’esterno, è il vero valore aggiunto di un partner come noi e, più in generale, dell’intero ecosistema dei partner. Ed è qui che entrano in gioco aspetti come i temi legali e di compliance, la responsabilità, i metodi, l’organizzazione. Sono tutti aspetti che non riguardano direttamente la tecnologia – che di fatto c’è già – ma che devono essere indirizzati correttamente per arrivare all’obiettivo. La vocazione di un system integrator continua a essere quella di facilitare andando a capire dove intervenire per rendere l’adozione delle tecnologie digitali il più efficace possibile in modo veloce ma anche sostenibile nel medio e lungo termine».

Il dato come fondamento dell’AI: perché i system integrator diventano strategici

Per i system integrator introdurre nelle aziende un’innovazione potenziata dall’AI non è tanto una questione tecnologica quanto di qualità della base dati aziendale. Fino a ieri le imprese facevano affidamento su sistemi di business intelligence e analytics per leggere il proprio business: prima descrivevano, poi interpretavano, infine ottimizzavano. L’AI agentica ha sparigliato le carte: oggi non basta più visualizzare numeri. Occorre che i dati siano puliti, coerenti, integrati, aggiornati perché l’AI funziona su motori capaci di correlare serie storiche, dati operativi e segnali deboli, trasforma l’analisi da fotografia statica a sistema dinamico di modellazione, simulazione e previsione. E questo passaggio mette sotto stress la qualità del dato: dove la base informativa non è uniforme, continua, condivisa tra i vari reparti aziendali, la sua utilità decade. Dati e indicatori disomogenei e frammentati vanificano analisi evolute ed insight a supporto della decision intelligence. Il risultato è una governance debole e un divario crescente tra ciò che l’AI potrebbe fare e ciò che la base dati consente realmente.

«È da vent’anni che parliamo di fare progetti sui dati o che li facciamo – conclude VIberti -. Pensiamo di avere tantissime informazioni nelle nostre aziende, ma in realtà ci accorgiamo che quelle davvero utilizzabili dall’intelligenza artificiale sono molto poche. Questa non vuole essere una provocazione: significa che abbiamo molti dati in termini numerici, ma pochi realmente consistenti, pochi che l’AI possa usare in modo efficace. Oggi non si tratta più soltanto di fornire supporto tecnologico in senso stretto per l’innovazione aziendale in generale e per i progetti AI in particolare. Ripeto: il punto è capire come inserirla all’interno di quello che è l’organismo aziendale. Ed è questo il nostro ruolo: portare metodo, chiarezza e struttura per integrare queste tecnologie nel modo giusto. Così, da system integrator il nostro nuovo ruolo è di essere dei knowledge integrator».

Con l’AI il partner tecnologico deve di sapersi calare nella realtà operativa e semantica di un’organizzazione per semplificare la complessità e portare ordine, metodo e prospettiva. Il suo compito non è moltiplicare strumenti, ma togliere attrito, dare struttura, rendere la tecnologia comprensibile e applicabile. Quando questo accade, l’AI non è più un elemento di complessità: diventa una leva di continuità ed efficacia. Ed è qui che la competenza fa la differenza.

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