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Dalla digital economy alla AI economy: le sfide delle reti e delle infrastrutture



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L’intelligenza artificiale promette di trasformare radicalmente la competitività del Paese, ma per esprimere il suo pieno potenziale servono infrastrutture resilienti, investimenti mirati e nuovi modelli di governance. I nodi della sicurezza e dei consumi energetici

Pubblicato il 7 ott 2025



Round table Sirti Digital Solutions

La corsa all’intelligenza artificiale non è soltanto una questione di algoritmi e applicazioni. Dietro ogni assistente virtuale, piattaforma predittiva o sistema di automazione, c’è un’infrastruttura AI che deve reggere il peso di una rivoluzione tecnologica destinata a trasformare economia e società. Se la digital economy aveva già mostrato l’importanza delle reti e dei data center, l’AI economy rende ancora più evidente che senza basi solide non c’è innovazione che possa davvero scalare. La sfida è duplice: garantire potenza di calcolo e resilienza delle infrastrutture, mentre crescono i rischi legati al consumo energetico, ai cambiamenti climatici e alla sicurezza informatica.

Su questo terreno si sono confrontati manager, analisti e professori universitari durante la tavola rotonda “Intelligenza artificiale per infrastrutture e reti resilienti: verso un nuovo ecosistema”, organizzata da CEOforLIFE e Sirti Digital Solutions. Le loro riflessioni delineano un quadro di opportunità ma anche di fragilità strutturali che l’Italia dovrà affrontare per non rimanere indietro.

Dalla digital economy alla AI economy

La transizione dalla digital economy alla AI economy richiede una revisione profonda delle basi su cui poggia l’innovazione. Non bastano modelli applicativi o l’avanzamento dei grandi modelli linguistici: l’attenzione deve spostarsi sull’infrastruttura che rende possibile l’intero ecosistema.

Massimiliano De Carolis, CEO di di Sirti Digital Solutions, ha spiegato come l’innovazione digitale sia stata finora sostenuta da reti progettate in epoca analogica e finanziate soprattutto dalle telco italiane. «Negli anni Novanta, il business delle telecomunicazioni aveva margini al 40% di EBITDA, che hanno permesso di finanziare lo sviluppo delle infrastrutture». Oggi, quei margini si sono ridimensionati e la sostenibilità economica di nuovi investimenti si è indebolita.

Questa trasformazione non è marginale. Secondo De Carolis, il rischio è di avere applicazioni di AI in rapida evoluzione, ma senza una base tecnologica adeguata. «C’è un’infrastruttura che ancora va sostituita. Il problema è chi farà questo investimento nel momento in cui le Telco non hanno più il 40% di margine».

Le sfide dell’infrastruttura: computing, energia e reti

Il primo nodo riguarda la capacità di calcolo. A differenza della digital economy, l’intelligenza artificiale non si fonda su un modello a costo marginale vicino allo zero, ma su un impiego massiccio di infrastrutture di computing e data center. De Carolis ha ricordato che un data center AI richiede un consumo energetico in crescita esponenziale: «Si prevede che il consumo, guidato dal mondo AI, moltiplichi di 4 volte nel giro di 4 anni».

Il fenomeno è già visibile in Italia, dove sono aumentate del 50% le richieste di allacciamento alla rete dei data center. Un incremento che mette sotto pressione la capacità del sistema elettrico nazionale, storicamente sviluppato su logiche diverse da quelle necessarie oggi.

A questa crescita si aggiunge la sfida delle reti di telecomunicazione. L’abitazione italiana media, che nei primi anni Duemila disponeva di due connessioni, oggi ne conta 25. La prospettiva futura è quella di esperienze di consumo personalizzate da assistenti digitali, che moltiplicheranno ulteriormente il traffico dati e lo stress sulle reti.

De Carolis ha posto l’accento anche sull’integrazione tra AI e mondo fisico, in particolare nel settore della mobilità e della robotica. La guida autonoma rappresenta uno dei campi più esposti: «Non c’è oggi intelligenza artificiale così forte da superare la capacità di un tassista romano nelle strade delle nostre città». Da qui la necessità di un dialogo continuo tra intelligenza a bordo dei veicoli e infrastrutture urbane.

Rischi climatici e cybersecurity: resilienza come priorità

Accanto alla dimensione tecnologica, emerge il tema della resilienza delle infrastrutture. Negli ultimi dieci anni l’Italia ha subito danni climatici pari a circa 57 miliardi di euro, di cui solo il 22% coperti da assicurazioni. Una fragilità che rivela un mercato assicurativo inadeguato e la necessità di soluzioni tecnologiche per prevenire e mitigare i rischi.

La cybersecurity completa il quadro delle vulnerabilità. «L’attacco dai danni informatici è diventato il rischio numero uno per le aziende italiane» ha sottolineato De Carolis. Un rischio che il mondo assicurativo non è disposto a coprire per l’elevata concentrazione e la gravità dei danni potenziali. Anche in questo caso, l’unica risposta sostenibile passa da innovazioni tecnologiche che rafforzino le difese del sistema Paese.

Il nodo delle reti di telecomunicazioni

Tornando al nodo delle telecomunicazioni, Andrea Rangone, Professore di Digital Business & Entrepreneurship al Politecnico di Milano, ha posto l’accento sulla debolezza finanziaria degli operatori. «Chi ha in mano le reti mobili e fisse ha EBITDA meno Capex ormai vicino allo zero. Per un paio di anni sono andati addirittura sotto zero».

Secondo Rangone, non si può costruire la AI economy su una base così fragile. Per questo ha proposto un intervento radicale: «Penso che l’unica soluzione sia lo scorporo completo non solo delle reti fisse come è stato fatto da TIM o FiberCop, ma anche mobili, in modo tale da creare un unico player, finalmente questa NetCo».

La visione prevede la creazione di un soggetto unico, in grado di investire con la scala necessaria per garantire infrastrutture di telecomunicazioni solide e sostenibili. Un modello che troverebbe riscontro nei settori elettrico e ferroviario, dove realtà come Terna e RFI hanno ruoli centrali nella gestione di asset strategici per il Paese.

Attori pubblici, fondi e champion nazionali

Per realizzare questo salto infrastrutturale, Rangone individua tre categorie di attori. In primo luogo, lo Stato, attraverso strumenti come Cassa Depositi e Prestiti, che già presidia comparti strategici. In secondo luogo, i fondi infrastrutturali e d’investimento, con la loro capacità di operare su orizzonti temporali lunghi. Infine, i campioni nazionali, cioè player industriali in grado di guidare lo sviluppo di data center, reti e servizi collegati all’AI.

«Per creare questa AI economy occorre anche player che abbiano capacità di affiancare imprese e pubbliche amministrazioni» ha spiegato Rangone. L’attenzione non può limitarsi al livello applicativo, ma deve estendersi agli strati infrastrutturali: reti di telecomunicazione, data center, sicurezza informatica, fino all’Internet of Things e ai sistemi di sensoristica.

Un ecosistema da costruire

Le riflessioni di Rangone e De Carolis convergono su un punto: la AI economy si sviluppa su basi robuste. Il passaggio dall’economia digitale a quella dell’intelligenza artificiale avviene con infrastrutture resilienti, nuove regole di governance e investimenti capaci di sostenere un ecosistema in profonda trasformazione.

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