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Solitudine al lavoro: perché il return to office non è la soluzione



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Essere fisicamente in ufficio non significa sentirsi connessi. Secondo Gartner, la vera sfida è costruire relazioni autentiche attraverso strategie mirate, gruppi trasversali e momenti di collaborazione ad alto valore. Bisogna restituire senso alla presenza. Ecco come

Pubblicato il 10 set 2025



returntooffice

Il ritorno in ufficio è stato per molti la risposta immediata a un crescente senso di disconnessione e isolamento tra i lavoratori. Ma la realtà dimostra che il semplice ritorno alla presenza non risolve il problema della solitudine. Anzi, in alcuni casi, lo aggrava.

Secondo quanto emerso dal podcast ThinkCast di Gartner, nel quale Emily Rose McRae, Senior Director Analyst, discute le principali tendenze del lavoro per il 2025, la solitudine è oggi un rischio d’impresa e non più solo un problema individuale. Un’affermazione che trova fondamento nei dati raccolti da Gartner: le persone che si sentono isolate o prive di legami con i colleghi mostrano un calo misurabile della performance. Non si tratta soltanto di benessere psicologico, ma di una perdita concreta di efficacia e motivazione.

Perché l’ufficio non basta

Il presupposto più comune è che la presenza fisica equivalga automaticamente a una maggiore connessione sociale. Tuttavia, come sottolinea McRae, non c’è evidenza che il lavoro ibrido o full office porti a un miglioramento della qualità delle relazioni rispetto al lavoro da remoto. Le ricerche di Gartner dimostrano infatti che i lavoratori onsite e ibridi non riportano livelli superiori di connessione o comitato rispetto ai colleghi completamente remoti.

La solitudine, quindi, non è una questione di geografia, ma di intenzionalità. Essere fisicamente nello stesso luogo non implica costruire relazioni significative, soprattutto in ambienti aziendali dove la produttività è prioritizzata rispetto alla socialità. Questo dato mina alla base molte politiche di return to office che assumono erroneamente che il semplice ritorno alla scrivania sia sufficiente a ricostruire la cultura aziendale.

Solitudine = calo di performance

Le conseguenze dell’isolamento non si limitano al benessere individuale. Gartner rileva che i dipendenti che dichiarano scarsa qualità delle relazioni con i colleghi o basso senso di appartenenza registrano anche performance inferiori. Si tratta di un impatto diretto su produttività, collaborazione e capacità di innovazione.

Studi accademici esterni confermano il legame tra solitudine e riduzione delle capacità cognitive e relazionali. McRae evidenzia che il fenomeno riguarda anche contesti in cui la tecnologia è molto presente: la crescente interazione con interfacce e tool digitali non colma, ma spesso accentua il senso di isolamento, soprattutto per chi lavora in team virtuali distribuiti.

Strategie: gruppi trasversali, incontri significativi

Riconoscere la solitudine come rischio aziendale richiede azioni strutturate per promuovere connessioni autentiche. McRae sottolinea che non si tratta di organizzare eventi sociali casuali, ma di creare contesti in cui i legami possano emergere in modo organico, anche attraverso il lavoro.

Tra le strategie più efficaci si segnalano la creazione di gruppi trasversali basati su interessi condivisi (non necessariamente legati alla funzione o al team di appartenenza), e la progettazione di momenti di collaborazione che abbiano uno scopo chiaro e collettivo. L’intento è restituire senso alla presenza: fare in modo che il tempo trascorso insieme sia percepito come necessario, utile e arricchente.

Questi spazi non devono essere soltanto informali: spesso le occasioni di confronto più significative emergono durante workshop, review condivise, retrospettive o attività di co-design. La chiave è far coincidere la collaborazione con l’esperienza di connessione, evitando che l’ufficio venga percepito come un luogo dove si fanno task isolati, solo con più rumore di fondo.

Ripensare il Return to office: dare un senso alla presenza

La sfida, quindi, non è riportare le persone in ufficio, ma rendere significativa la loro presenza. McRae sottolinea come molti dipendenti, soprattutto junior, possano vivere momenti di solitudine anche quando sono fisicamente circondati da colleghi. Pensiamo alla pausa pranzo in cui non si conosce ancora nessuno, o alla difficoltà di inserirsi in dinamiche sociali già consolidate.

Il ritorno in ufficio ha senso solo se è progettato per facilitare la partecipazione, la visibilità reciproca e il supporto peer-to-peer. Questo implica anche una revisione delle metriche con cui si valuta l’efficacia della presenza: non più numero di badge o ore alla scrivania, ma qualità delle interazioni e valore aggiunto delle giornate in sede.

Come ricorda McRae, l’obiettivo è creare occasioni in cui il tempo condiviso diventi esperienza condivisa. Solo così il return to office può contribuire a ridurre la solitudine e a ricostruire quel tessuto relazionale senza il quale nessuna organizzazione può prosperare nel lungo periodo.

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