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Supply chain, verso 3 anni di cambiamenti

Nei risultati del report Capgemini Research Institute si legge che le aziende attive nei settori dei beni di largo consumo e i retailer, in occasione dell’emergenza Covid, si son resi conto di non avere una supply chain abbastanza agile e stanno adattando le loro strategie

Pubblicato il 25 Mar 2021

Supply chain

Secondo un report del Capgemini Research Institute sui cambiamenti che hanno interessato nell’ultimo anno le catene di approvvigionamento del settore Consumer Products and Retail (CP&R), nei prossimi 3 anni, il 66% delle organizzazioni prevede di apportare cambiamenti significativi alla propria strategia, adattandosi alle conseguenze della pandemia e migliorando la resilienza delle proprie attività. Solo il 23% delle organizzazioni attive nel settore dei beni di consumo e il 28% dei retailer ritengono, infatti, che la loro supply chain sia sufficientemente agile da soddisfare la continua evoluzione delle esigenze di business.

L’effetto Covid sulla supply chain

La pandemia di Covid-19 ha rappresentato un campanello d’allarme per le aziende del settore CP&R: l’85% delle organizzazioni operanti nel settore dei beni di consumo e l’88% dei retailer affermano infatti di aver affrontato situazioni critiche, mentre rispettivamente il 63% e il 71% sostiene di aver impiegato un orizzonte temporale di almeno tre mesi affinché le proprie catene di approvvigionamento superassero le problematiche che le hanno interessate. Di conseguenza, le aziende stanno ridefinendo le proprie strategie per concentrarsi su tre aree specifiche.

Le difficoltà di pianificazione e l’importanza della visibilità

Oltre due terzi delle organizzazioni (68%) affermano di aver incontrato difficoltà a livello di pianificazione a causa della scarsità di informazioni accurate e aggiornate sulla fluttuazione della domanda dei clienti durante la pandemia.

Per migliorare la previsione, il 66% delle aziende intende segmentare le catene di fornitura in base ai pattern di domanda, al valore del prodotto e alle dimensioni regionali a seguito della pandemia, mentre il 54% afferma che si avvarrà di analytics, AI e machine learning per prevedere la domanda e fronteggiare l’impatto del Covid-19.

Il 75% delle aziende operanti nel settore dei beni di consumo ha incontrato difficoltà quando ha dovuto incrementare o diminuire con una certa rapidità la capacità produttiva per via della pandemia di Covid-19. Secondo il report, aumentare la visibilità è fondamentale per consentire ai produttori di avere l’agilità necessaria per rispondere ai cambiamenti improvvisi della domanda e prendere decisioni strategiche, tattiche e operative in tempo reale.

Le organizzazioni sono inoltre consapevoli di quanto sia importante investire nel digitale per migliorare la visibilità. Il 58% dei retailer e il 61% delle aziende attive nel settore dei beni di consumo stanno infatti pensando di incrementare gli investimenti nella digitalizzazione delle proprie supply chain.

In particolare, il 47% delle aziende ha intenzione di investire nell’automazione, il 42% nella robotica e il 42% nell’intelligenza artificiale. Le aziende che hanno preso parte all’indagine hanno anche stimato di utilizzare massicciamente l’intelligenza artificiale e il machine learning per l’ottimizzazione rispettivamente dei trasporti (64%) e dei prezzi (63%).

Il ritorno alla localizzazione

Per prevenire future interruzioni, le organizzazioni stanno riconoscendo l’importanza della localizzazione, investendo attivamente in questo campo. Le aziende CP&R stanno attraversando una fase di transizione dalla globalizzazione alla localizzazione per quanto riguarda fornitori e produzione: il 72% delle aziende operanti nel settore dei beni di consumo e il 58% dei retailer affermano infatti di aver iniziato a investire attivamente per spostare o avvicinare la produzione su base regionale o locale.

Il 65% delle aziende del settore CP&R sta inoltre investendo nella regionalizzazione e localizzazione del proprio bacino di fornitori, percentuale che sale all’83% nel Regno Unito e al 73% in India.

In base a queste strategie, tra tre anni i fornitori a livello globale rappresenteranno solo il 25% della capacità dei retailer, rispetto all’attuale 36%. Nel settore dei beni di consumo, i produttori globali rappresenteranno solo il 17%, rispetto all’attuale 26%.

In linea con la transizione mirata alla localizzazione, i dark store, che conducono attività indipendenti e che sono più vicini ai luoghi di consegna, si stanno convertendo in un’alternativa sempre più utile per evadere gli ordini online, in scia al calo del numero di persone che visitano gli store fisici.

Una precedente ricerca di Capgemini aveva evidenziato che se le consegne dai dark store aumentassero del 50%, i margini di profitto potrebbero crescere del 7% per via del calo dei costi e di una maggiore capacità di consegna rispetto a quella dei negozi fisici, pur non influenzando le attività degli stessi.

“Le aziende del settore Consumer Products & Retail – ha commentato Alessandro Kowaschutz, CPRD & EUCS Director di Capgemini in Italia – sono consapevoli che potrebbero verificarsi ulteriori interruzioni e hanno quindi bisogno di avere l’agilità e la resilienza necessarie per garantire l’intera catena della supply chain. La pandemia ha accelerato il cambiamento e fornito molti insegnamenti: le organizzazioni hanno capito che le nuove tecnologie possono garantire una maggiore agilità, dalle previsioni della domanda al rifornimento dei magazzini, fino a consegne più veloci nell’ultimo miglio, con una notevole riduzione dei costi. Investendo ora, le aziende si mettono in condizione di supportare i consumatori in ogni momento, in totale sicurezza anche nelle situazioni più impreviste”.

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