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Aziende post Covid: la fotografia della survey di Fiera Milano Media

Il 48% delle imprese conferma che continuerà a implementare lo smart working nella propria organizzazione, ma solo l’8.5% degli intervistati conferma che la propria azienda investirà in automazione e robotizzazione dei processi

Pubblicato il 26 Ago 2021

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Se lo smart working rimane ormai un caposaldo delle strategie di business anche per il futuro, l’impresa del nostro Paese sembra rimanere molto più propensa all’outsourcing anziché all’investimento di risorse per lo sviluppo e l’innovazione, l’automazione e la robotizzazione della propria attività. Questo quel che si evince nei dati del report Business Leaders Survey, realizzato da Business International – Fiera Milano Media per analizzare il reale stato dell’arte dell’impresa italiana vista dai suoi manager di prima linea. La ricerca, realizzata tra il mese di aprile e il mese di maggio 2021 su un campione di oltre 200 manager attivi in alcune delle più importanti società di medie e grandi dimensioni operanti in Italia, ha mostrato qual è il sentiment e quali sono le prospettive secondo i direttori finance, HR, procurement, sales, marketing e del risk management in Italia.

Smart working e innovazione

In un’epoca di grande incertezza, ciò che davvero ha salvato la business continuity delle aziende italiane è indubbiamente stato lo smart working che, infatti, il 40% dei rispondenti indica come principale misura di contrasto adottata contro gli impatti del Covid-19 e su cui un ulteriore 25% degli intervistati ha dichiarato di voler puntare nei prossimi mesi, con un totale del 48% del campione considerato che ha ammesso di volerlo mantenere stabilmente come modello lavorativo anche per il futuro.

Ovviamente, poi, approfondendo l’analisi, anche gli aiuti governativi dedicati alla cassa integrazione straordinaria hanno avuto un ruolo importante nel superamento delle difficoltà, come conferma anche il 17,5% degli intervistati.

Quello che però stona, rispetto a questo quadro resiliente, è il fatto che, se solo il 5,5% delle aziende ha rivelato di avere bloccato gli investimenti in questo periodo, dall’altra parte è possibile notare come le società abbiano preferito esternalizzare l’ottimizzazione dei propri processi operativi nel 10% dei casi, piuttosto che provare a puntare sull’innovazione, l’automazione e la robotizzazione dei propri servizi, su cui si è impegnato solo l’1% dei rispondenti.

Certo, non si può fare di tutta l’erba un fascio e di sicuro questi mesi hanno insegnato molto a tante realtà. A tal punto che, se sono il 6% degli intervistati ha dichiarato che la sua società ha cambiato il proprio modello di business per fronteggiare le criticità proposte dalla pandemia, nei prossimi mesi invece più del doppio delle realtà (13%) prevede questo intervento. Mentre gli intervistati che dichiarano di voler implementare soluzioni di robotizzazione e automazione salgono all’8,5% (+850%).

Al netto di questi positivi tassi di aumento, però, è evidente come questi valori siano ancora pressoché irrisori per consentire una reale ondata di cambiamento in grado di coinvolgere tutto il Paese che, comunque, guardando al futuro, nel 24% dei casi aziendali rilevati continuerà a focalizzare la propria attenzione sull’outsourcing anche nei prossimi mesi.

Quali competenze per i manager del futuro?

Ancora forse troppo concentrati sul resistere alla crisi, inoltre, quasi un manager su quattro (23,7%), in Italia, pensa che anche per il futuro la resilienza, la flessibilità e la tolleranza allo stress saranno qualità cruciali per il successo, ponendo invece la creatività, l’originalità e l’iniziativa al secondo posto (16,3%). Una scelta, questa, sicuramente dettata da quella sensazione di grande incertezza che le aziende continuano a vivere anche in Italia e che unita a un lungo periodo di distanziamento sociale e necessaria riorganizzazione delle attività, fa porre l’attenzione in terza posizione su Team work e il time management (10%), seguiti poi a pari merito da formazione e apprendimento continuo (9%) e Critical thinking e predictive analytics (9%).

Mentre, più giù in classica troviamo proprio quelle competenze tecniche che le aziende faticano a trovare sul nostro mercato, come la data analysis e l’innovazione (8,7%), technology use/design, computational thinking & programming (2,7%). L’ultimo aspetto, inoltre, che fa capire quanta strada probabilmente ci sia ancora da fare è il fatto che skill come la leadership e la social influence (8%), il problem solving (7,6%) e l’intelligenza emotiva (4,8%) che rappresentano oggi le chiavi di una buona governance che sappia mettere al centro le persone, interpretare e gestire le situazioni, oltre che ispirare il proprio team di lavoro, risultino in fondo alle competenze desiderate dai C-level per affrontare i prossimi mesi.

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