Una delle questioni che ha generato più discussioni nel 2025 riguarda l’applicazione della NIS2 ai fornitori ICT infragruppo. Molte aziende che operano in settori non inclusi nella direttiva – come moda, lusso o food – hanno ritenuto di non dover avviare alcuna registrazione.
In occasione di un convegno coordinato con il Clusit, l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) ha però chiarito che questa interpretazione può risultare errata, perché il vero criterio non è il settore, ma la natura dei servizi ICT erogati all’interno del gruppo.
Indice degli argomenti
L’errore interpretativo: settore di attività vs servizi ICT erogati
Secondo Milena Rizzi (Prefetto capo servizio autorità e sanzioni, ACN), l’errore più comune è ritenere che la non appartenenza ai settori elencati dalla direttiva equivalga automaticamente all’esenzione. «La materia è complessa, quindi è comprensibile che alcune organizzazioni, per loro natura, non risultino riconducibili ai settori previsti dalla direttiva».
Prosegue spiegando che «l’errore ricorrente è ritenere che operare in un settore non indicato come core dalla direttiva significhi essere automaticamente esenti».
Il punto corretto non è il settore in cui si opera, ma il ruolo che l’organizzazione svolge nella gestione ICT del gruppo.
Se un’azienda non opera in un settore NIS2 ma eroga servizi ICT alle controllate, deve porsi la domanda: questa attività mi qualifica come soggetto NIS2?
Quando un’azienda diventa fornitore ICT infragruppo
Molte organizzazioni tendono istintivamente a cercare argomenti per escludersi dalla normativa. Come osserva Rizzi: «Se ci si pone nell’ottica di voler allontanare questo “amaro calice”, si cercano tutte le scuse per evitarlo. Ma bisogna considerare un aspetto», ovvero che la classificazione dipende da come i servizi sono effettivamente erogati.
Per valutare correttamente la propria posizione, Rizzi ricorda che occorre «capire se si tratti di un’erogazione attiva, con un’integrazione dei sistemi del fornitore con la rete e i sistemi del committente».
Il test dell’integrazione attiva e la domanda da porsi
Per stabilire se un’azienda eroga servizi ICT infragruppo rilevanti ai fini NIS2, Rizzi suggerisce un litmus test molto concreto:
«I servizi vengono erogati con amministrazione attiva, personale dedicato e integrazione dei sistemi con quelli delle controllate?».
Se la risposta è sì, si tratta di un’erogazione attiva e l’azienda ricade nel perimetro.
Tra gli esempi che comportano attrazione:
- una capogruppo che gestisce un datacenter utilizzato da tutte le controllate
- un SOC interno che monitora la sicurezza per l’intero gruppo
- un reparto ICT che gestisce Active Directory o identity management per tutte le società
Esempi che invece non comportano attrazione:
- semplice distribuzione di licenze software
- acquisto centralizzato di servizi cloud senza personalizzazioni
- funzioni meramente amministrative di procurement ICT
Come sintetizza Rizzi: «Se i servizi vengono erogati in prima persona, con proprie reti, sistemi e personale, allora ci si deve registrare».
Le conseguenze dell’attrazione nella NIS2
Una volta attratta nella NIS2, l’organizzazione può essere classificata anche come soggetto essenziale, soprattutto se le sue attività ICT sostengono settori critici o un gruppo di grandi dimensioni.
Rizzi chiarisce: «Nel caso di un’organizzazione estesa che opera in settori non considerati dalla direttiva, ma in cui la capogruppo eroga servizi infragruppo — direttamente o tramite una società veicolo — questo determina l’attrazione nell’ambito di applicazione».
La classificazione come “essenziale” comporta obblighi più stringenti:
- applicazione del Regolamento di esecuzione 2690/2024
- notifiche di incidente entro 72 ore
- ispezioni periodiche ex ante
- reporting rafforzato
Per molte aziende, scoprire di rientrare nella normativa per via dei servizi ICT e non del settore rappresenta un cambio di prospettiva significativo.
L’orientamento europeo: non è un’anomalia italiana
Una domanda frequente posta ad ACN è se questa interpretazione sia un’anomalia nazionale.
Rizzi risponde chiarendo che non è così: «Quando è emersa la problematica, l’Italia — che ha recepito per prima, insieme al Belgio, la NIS2 — si è attivata per interagire con la Commissione e rappresentare il proprio orientamento».
Da Bruxelles è arrivata conferma della coerenza interpretativa, e il Belgio ha fornito chiarimenti «nella stessa direzione».
Si tratta quindi di un orientamento europeo, non di una peculiarità italiana.
Cosa fare se ci si riconosce in questa descrizione
Se un’azienda si rende conto di aver erogato servizi ICT infragruppo ma non si è registrata, la domanda naturale è se questo possa comportare sanzioni.
Rizzi incoraggia ad agire tempestivamente: «Meglio prima che mai, e soprattutto prima di quando potremmo scoprirlo noi; è un po’ il principio — usato impropriamente — del cosiddetto ravvedimento operoso».
L’autosegnalazione all’apertura della finestra di gennaio 2026 è quindi preferibile rispetto all’attesa di un controllo.
L’errore iniziale è comprensibile: «Potrei essere stato ingannato dal fatto che la mia attività si svolge in un altro settore, e quindi inizialmente non ci ho fatto caso», dice Rizzi.
Ciò che ACN non accetta è l’omissione consapevole dopo aver compreso l’obbligo.
L’importanza dell’autodichiarazione corretta
Le aziende che sospettano di rientrare nella definizione di fornitori ICT infragruppo dovrebbero predisporre una valutazione documentata dei servizi erogati. Questa attività permette di:
- chiarire internamente i processi e le responsabilità
- presentare una autodichiarazione accurata
- dimostrare due diligence in caso di ispezioni
- ridurre possibili contestazioni future
È un passaggio non solo normativo, ma di trasparenza e governance.













