Formazione e tecnologia: nuovi percorsi

Una ricerca commissionata da Adecco e condotta dall’Istituto Iard ha rivelato che le aziende italiane di media dimensione non investono ancora adeguatamente in formazione. Produzione e sicurezza sul lavoro, organizzazione aziendale e risorse umane, sistemi informativi sono le aree prioritarie nella costruzione di progetti di formazione continua. e Anche il training on the job è tra le modalità utilizzate 

Pubblicato il 10 Apr 2008

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Che il mercato del lavoro sia cambiato e la ricerca di competenze, specializzazione e professionalità sia ormai all’ordine del giorno per molte imprese è risaputo. La guerra per conquistare i migliori talenti è già iniziata; i direttori del personale sono impegnati per gestire lo shortage delle competenze e vedono il loro ruolo trasformarsi dinamicamente per garantire il giusto supporto al business da parte dei lavoratori.
In questo contesto gioca un ruolo determinante il processo di formazione e la comprensione delle esigenze sia del lavoratore che dell’azienda; perché le giuste competenze e la loro formazione determinano un misurabile vantaggio competitivo.
“Nei Paesi nordici e in Gran Bretagna le aziende realizzano investimenti consistenti in formazione”, afferma Antonio Di Lillo, presidente Istituto Iard. “L’Italia, rispetto agli altri Paesi europei, si colloca in una posizione intermedia, ma il tasso di partecipazione a iniziative di formazione permanente è ancora troppo basso”.

Formazione e capacità innovativa
La formazione del capitale umano dovrebbe essere, quindi, una leva importante da utilizzare per incrementare la capacità innovativa e la competitività nelle imprese italiane; una recente ricerca commissionata da Adecco e realizzata dall’Istituto Iard su 200 imprese italiane di dimensioni medie, con un numero di addetti compreso tra i 50 e i 249 ha rivelato, però, che le medie aziende investono ancora poco in formazione.
Infatti, poco più di un’azienda su 10 ha destinato risorse alla formazione negli ultimi 12 mesi; una su tre ha dedicato alla formazione l’1% del proprio fatturato, una su dieci ha speso il 2% dei ricavi in formazione, una su quattro ha investito una cifra compresa tra il 3 e il 5%, una su cinque ha investito in formazione oltre il 5% del proprio fatturato.
L’area funzionale “Produzione e sicurezza sul lavoro” è stata prioritaria nella costruzione di progetti di formazione continua (l’82% delle aziende ha predisposto progetti formativi in quest’ambito). In seconda posizione si trova l’area “Organizzazione aziendale e risorse umane” (50,9%) e “Sistemi informativi/Ict” (49,1%). Negli ultimi 12 mesi l’83,5% delle imprese ha avuto uno o più addetti che ha partecipato a moduli/corsi di formazione professionale in aula o in modalità e-learning. Più della metà delle aziende ha utilizzato personale interno come docente.
Accanto alla formazione in aula o a distanza, le imprese intervistate si avvalgono anche del training on the job (52%) e favoriscono la trasmissione delle conoscenze e la costruzione di competenze tramite job rotation e l’affiancamento (tutoring) sui processi di lavoro (50%). Ampia diffusione hanno i metodi di verifica connessi ai livelli di apprendimento e all’applicazione delle competenze acquisite nei processi di lavoro.
Dal punto di vista dei lavoratori, la ricerca ha rivelato che per due intervistati su tre la formazione è un fattore fondamentale di competitività; un intervistato su due ritiene che tramite la formazione l’azienda può promuoversi e costruire innovazione (vedi tabella).
Giudizi positivi sono riservati soprattutto alle tecniche di formazione connesse alla pratica lavorativa quotidiana: le esperienze di ‘job rotation’ e di ‘training on the job’ sono ritenute molto utili rispettivamente dal 38% e dal 39% del campione.
Le aree in cui i lavoratori pensano di avere più carenze sono le lingue straniere e l’informatica: quasi tutti, invece, si ritengono molto abili nella capacità di comunicare e, di conseguenza, non sono molto attratti da corsi di aggiornamento sulla comunicazione.

I freni
I fattori che più bloccano la realizzazione di percorsi professionali sono gli elevati carichi di lavoro per il personale e i costi troppo alti. In rapporto agli ostacoli che impediscono lo svolgimento di percorsi formativi per i dipendenti, la ricerca ha individuato due tipologie di imprese: le “ipercritiche” (53,5%; in prevalenza aziende del settore manifatturiero e con un numero di addetti compreso tra 50 e 99), che trovano in ogni area del sistema di interazione tra impresa e formazione forti elementi di vincoli, quali il costo, la qualità dell’offerta, la disponibilità del personale a partecipare e le “strategiche” (46,5%; soprattutto attive nel settore dei servizi), che riescono a definire il set di vincoli e opportunità all’interno delle quali si definiscono le strategie di business. In merito all’individuazione dei criteri di scelta di fornitori esterni di formazione, sono fondamentali l’esperienza dei docenti e la conoscenza del contesto operativo dell’azienda.
Anche il rapporto qualità/prezzo, le metodologie formative utilizzate e l’innovazione dei contenuti sono importanti.

Tecnologia, nuova linfa per la formazione
La ricerca ha rivelato come la fiducia dei lavoratori nelle nuove tecnologie usate come strumenti formativi sia molto bassa: solo l’8,2% giudica molto utile la formazione a distanza, mentre il 12% non è in grado di fornirne un giudizio.
“La formazione online, vista spesso in passato come formazione ideale, in grado di coniugare aspetti didattici e professionalità, dando al discente il vantaggio di apprendere ovunque e in qualsiasi momento, senza vincoli di spazio e di tempo, ha fallito”, constata Marco Rossi di Abb, società specializzata in tecnologie per l’energia e l’automazione indirizzate alle utility e alle industrie. “Per apprendere una lingua straniera via Web ci vuole molta motivazione: i percorsi blended, che abbinano all’e-learning momenti in aula, hanno avuto più successo”.

“Oggi deve terminare la distinzione tra learning ed e-learning”, commenta Alberto Colorni (nella foto), presidente del Centro Metid, Metodi e tecnologie innovative per la didattica, il centro del Politecnico di Milano dedicato all’e-learning. “L’e-learning deve essere visto come uno strumento che affianca i precedenti; la modalità blended è vincente. Passato l’entusiasmo della fase iniziale, in cui in molti credevano che per fare e-learning fosse sufficiente mettere materiale online, oggi la situazione si sta consolidando e si punta molto più sulla qualità”, prosegue Colorni. “Esistono in Italia realtà ormai ben conosciute che sanno fare e-learning e lo fanno molto bene”.
Attualmente sono 11 le Università telematiche accreditate riconosciute dal ministero dell’Università e della Ricerca e diversi atenei italiani propongono percorsi formativi che si avvalgono dell’e-learning.
“Il Politecnico di Milano è stato, sin dal 2000, il primo ateneo italiano a rendere disponibile un corso di laurea online triennale in Ingegneria informatica, che è stato apprezzato dagli utenti”, spiega Colorni. Gli studenti che si iscrivono a questo corso sono di solito persone che già lavorano e che, spesso, dopo il conseguimento della laurea ottengono avanzamenti di carriera nell’azienda in cui sono inseriti.
Secondo Colorni, il vero cambiamento degli ultimi anni, dal punto di vista tecnologico, in ambito e-learning è rappresentato oggi dal Web 2.0, che permette agli utenti di attingere a una molteplicità di fonti e implica un ruolo più attivo dei discenti, passando da una relazione gerarchica a una paritetica.
Sindacabilità, possibilità di discutere quanto è stato reso disponibile, condivisione e collaborazione sono le parole d’ordine dell’e-learning oggi; alla luce di queste tendenze potranno essere individuate nuove forme di collaborazione e condivisione per realizzare progetti formativi ancora più efficaci.

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