Si diffonde il fenomeno dello smart working in Italia: gli smart worker sono 480mila e lavorano soprattutto nelle grandi imprese; inizia a farsi sentire l’effetto della normativa sul lavoro agile, pubblicata nel giugno dell’anno scorso. Nuovi progetti in quest’ambito anche nella PA. Resta comunque ancora molta strada da fare…
Un esercito di 480mila persone: sono gli smart worker italiani, ossia tutti quei lavoratori dipendenti che oggi in Italia godono di flessibilità e autonomia nella scelta dell’orario e del luogo di lavoro disponendo di strumenti digitali che consentono di essere produttivi in mobilità. È uno dei numeri presentati in occasione del recente convegno “Smart working: una rivoluzione da non fermare” durante il quale sono stati illustrati i risultati dell’Osservatorio Smart Working 2018.
Oggi, si legge nei dati, una grande impresa su due (il 56% per cento del campione considerato dai ricercatori della School of Management del Politecnico di Milano) ha avviato progetti strutturati di smart working; erano il 36% solo un anno fa. A ciò si aggiunga che circa un 2% ha realizzato iniziative informali e l’8% prevede di introdurre progetti nel prossimo anno.
La diffusione dello Smart Working in Italia. Fonte: Osservatorio Smart Working, Politecnico di Milano
“La sfida oggi – ha dichiarato Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working – è quella di promuovere questo fenomeno soprattutto nelle Pmi e nella PA”.
Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio Smart Working
Si tratta infatti di una modalità di lavoro che può generare, come vedremo, una serie di benefici sia al lavoratore sia all’organizzazione nel suo complesso: gli smart worker sono infatti più soddisfatti della propria situazione (con il 40% che si dichiara completamente soddisfatto mentre la percentuale cala al 23% in riferimento a chi lavora in modo tradizionale), hanno un migliore equilibrio tra vita professionale e privata ma, soprattutto, svolgono meglio il proprio lavoro e sono quindi più produttivi.
Eppure, tra le Pmi lo smart working risulta sostanzialmente stabile rispetto all’anno scorso e le percentuali, infatti, sono ferme all’8% se si guarda a progetti strutturati e al 16% in riferimento a iniziative più informali. È importante inoltre sottolineare che a differenza di quel che avviene in altre realtà, tra le aziende più piccole ve ne sono ancora tante (il 38%) che si dichiarano disinteressate all’argomento.
Indice degli argomenti
Smart working e pubblica amministrazione
Sicuramente l’approvazione, a giugno dell’anno scorso, della legge sul lavoro agile (che prevede che anche le PA adottino misure organizzative per l’attuazione del telelavoro e la sperimentazione di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa) ha rappresentato uno stimolo all’adozione dello smart working nella pubblica amministrazione.
In occasione dell’Osservatorio è stato verificato che ben il 60% della realizzazione di progetti strutturati di smart working nella PA sono partiti in seguito alla normativa; solo il 23% degli enti pubblici aveva già pianificato di introdurre lo smart working prima dell’evoluzione legislativa e il 17% lo aveva introdotto prima della normativa.
Principali ostacoli all’avvio dei progetti nella PA Fonte: Osservatorio Smart Working, Politecnico di Milano
“L’introduzione dello smart working nella PA – ha commentato Giampietro Castano, responsabile Unità Gestione Vertenze delle imprese in crisi presso il Ministero dello Sviluppo Economico – significa agire sull’impostazione del lavoro, sul sistema di relazioni. La pubblica amministrazione è tante cose, dalla sanità all’esercito, alla scuola: in ciascuna area bisogna discutere sulle modalità specifiche di introduzione dello smart working, sicuramente però il percorso è stato intrapreso e non va fermato”.
A destra nella foto Giampietro Castano, responsabile Unità Gestione Vertenze delle imprese in crisi presso il Ministero dello Sviluppo Economico
“Dobbiamo tener presente – ha aggiunto Maurizio Sacconi, steering committee, chairman Adapt, l’associazione senza fini di lucro fondata da Marco Biagi nel 2000 per favorire gli studi nel campo del diritto del lavoro e delle relazioni industriali – che il lavoro agile non è solo conciliazione tra tempo privato e professionale: esso incide sui confini tra autonomia e subordinazione, proietta in un concetto di lavoro nuovo, basato sul raggiungimento di obiettivi condivisi e che deve coinvolgere, accanto ai dipendenti, anche i collaboratori delle organizzazioni”.
Ostacoli e benefici relativi all’adozione dello smart working
Sia nel mondo privato sia nel pubblico, pregiudizi e resistenze da parte dei vertici aziendali rappresentano gli ostacoli principali che impediscono la diffusione di nuovi metodi di lavoro. Metodi promossi dalla diffusione di tecnologie cloud, di collaboration, di mobility…
“La tecnologia – ha sottolineato Vincenzo Ratto, responsabile Governo Risorse Umane, Organizzazione e Strategie Credit Agricole Cariparma – è pervasiva, offre possibilità nuove ma servono le competenze necessarie a sfruttare le nuove opportunità per ottenere benefici. Ciò che noi abbiamo sperimentato in azienda a un anno dall’introduzione dello smart working è che i lavoratori sentono una maggiore responsabilizzazione e sono diminuite le giornate di assenza”.
Vincenzo Ratto, responsabile Governo Risorse Umane, Organizzazione e Strategie Credit Agricole Cariparma
Più in generale, i vantaggi derivati dal lavoro agile non riguardano, come si diceva, solo migliore equilibrio e soddisfazione individuale, ma anche un innalzamento delle performance delle persone e dell’organizzazione: l’indagine rivela che lo smart working contribuisce ad aumentare la produttività di circa il 15% e a ridurre il tasso di assenteismo di circa il 20%.
Principali ostacoli all’avvio dei progetti nelle imprese Fonte: Osservatorio Smart Working, Politecnico di Milano
In particolare, secondo un sondaggio sui responsabili degli smart worker, questo modo di lavorare ha un impatto molto positivo sulla responsabilizzazione per il raggiungimento dei risultati (37% del campione), sull’efficacia del coordinamento (33%), sulla condivisione delle informazioni (32%), sulla motivazione e la soddisfazione sul lavoro (32%) e la qualità del lavoro svolto (31%). Il 30% dei responsabili, poi, registra miglioramenti anche nella produttività, nella gestione delle urgenze e nell’autonomia durante lo svolgimento delle attività lavorative. I benefici riguardano anche la riduzione dei costi di gestione degli spazi fisici in termini di affitti, utenze e manutenzioni, con il 30% di risparmi nelle aziende che hanno ripensato la struttura degli spazi. Infine, anche il sondaggio ha confermato che almeno l’80% dei dipendenti di imprese con progetti di smart working hanno ottenuto un migliore equilibrio fra vita professionale e privata.
D’altro canto, al netto di un 14% dei lavoratori agili che non percepisce alcuna criticità nel loro nuovo modo di lavorare, fra i problemi di chi fa smart working il più frequente è la percezione di un senso di isolamento circa le dinamiche dell’ufficio (18%), seguito dal maggiore sforzo di programmazione delle attività e di gestione delle urgenze (16%). Altre difficoltà sono legate alle distrazioni esterne, come la presenza di altre persone nel luogo in cui si lavora (14%), alla necessità di frequenti interazioni di persona (13%) e alla limitata efficacia della comunicazione e della collaborazione virtuale (11%). Sono invece pochissimi gli smart worker che incontrano difficoltà nell’uso delle tecnologie legate al lavoro agile.
Quanto sono maturi i progetti di smart working?
Il livello di maturità dei progetti di smart working cambia a seconda delle realtà in cui sono stati introdotti e della natura dei progetti stessi. È elevato nel 56% delle aziende del campione che vanta progetti strutturati, solo il 16% è in fase di sperimentazione del modello e sta sviluppando un progetto pilota che, nella maggior parte dei casi, dura circa 6 mesi e coinvolge il 14% della popolazione aziendale. Il 44% si trova invece in una fase più matura e di estensione della partecipazione all’iniziativa a una platea più ampia. Il restante 40% dei progetti è a regime, ossia coinvolge tutti coloro che possono esservi inclusi.
Fiorella Crespi, Direttore dell’Osservatorio Smart Working
“La maturità dei progetti di smart working nelle PA – ha affermato Fiorella Crespi, Direttore dell’Osservatorio Smart Working – è invece molto limitata; la maggior parte dei progetti strutturati è in fase di sperimentazione (57%), mentre solo il 20% è in estensione e il 23% a regime”. Al momento, il modello di smart working più adottato dalle PA (93%) è il lavoro da remoto mentre solo il 7% ha ripensato gli spazi in un’ottica nuova.
Interlocutori interni coinvolti nei progetti strutturati Fonte: Osservatorio Smart Working, Politecnico di Milano
I ricercatori hanno specificato che sono molteplici le leve da attivare per portare nelle organizzazioni progetti di smart working evoluti. Tali progetti, che devono poter contare su un sostegno concreto da parte dei vertici aziendali, implicano la revisione degli spazi aziendali in modo da favorire nuovi processi di lavoro (non più postazioni assegnate, più sale riunioni e aree multifunzione, meno carta). Inoltre, è importante predisporre dati e kpi che consentano di valutare i risultati ottenuti con l’introduzione di tali processi.
I vincitori degli Smart Working Award
In occasione del convegno di presentazione dei dati, sono stati assegnati gli “Smart Working Award 2018”, i riconoscimenti dell’Osservatorio destinati alle aziende che si sono distinte per capacità di innovare le modalità di lavoro in ottica Smart Working.
Quest’anno si sono aggiudicate lo Smart Working Award A2A, Gruppo Hera, Intesa Sanpaolo per l’iniziativa “Hive Project – Il Futuro al Lavoro” e Maire Tecnimont.
Grazie al progetto “Atom”, invece, Zurich ottiene lo “Smart Working Impact Award”, premio indirizzato alle organizzazioni già vincitrici dello Smart Working Award, in cui il progetto negli ultimi anni ha avuto un impatto significativo sull’organizzazione.
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