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Affidabile e robusta, in Antartide l’IT è al servizio della ricerca

I progetti avviati nella Base Concordia spaziano dalla fisica alla biomedicina, fino alla sismologia. Ciascuno ha le proprie esigenze ma tutti necessitano di una tecnologia solida ed efficace, in grado di vincere il freddo, il vento e le antiche problematicità nella condivisione dei dati con l’intera comunità scientifica

Pubblicato il 13 Giu 2023

Immagine di Wim Hoek su Shutterstock

Con temperature fino a -80 °C e vento a velocità impensabili, l’Antartide è di per sé una sfida, da ogni punto di vista. Per gli scienziati è però anche un meraviglioso laboratorio in cui testare materiali, corpi umani e tecnologie. Qui non si tratta però di trovare quelle più all’avanguardia, scrivendo il futuro dell’IT. “In questo contesto la tecnologia è un supporto alla ricerca e deve essere il miglior supporto possibile: affidabile e robusto” spiega Alberto Salvati, responsabile tecnico della infrastruttura NADC (National Antarctic Data Center).

Un grande laboratorio multitasking

Nella Base Concordia la tecnologia, abituata a essere protagonista dell’innovazione, si mette al servizio dei progetti scientifici che Italia, Francia ed ESA stanno portando avanti. Sono numerosi e molto variegati, si passa dalla fisica e dalla chimica dell’atmosfera all’astronomia, dalla glaciologia alla sismologia e al geomagnetismo, fino a occuparsi anche di biomedicina. “Ogni progetto ha massima autonomia nell’identificare la tecnologia da mettere in campo. I ricercatori hanno bisogno di particolari strumenti per raccogliere dati, altri ancora per trattarli e trasmetterli. Solo parzialmente è necessario farlo in real time: in alcuni casi li si trasmette una volta l’anno, durante l’estate antartica. Le persone arrivano alla base, copiano dati su degli hard disk e tornano in Europa per analizzarli” spiega Salvati.

Fino a 15 anni fa la comunicazione era satellitare, ma il collegamento alla rete veniva attivato solo quando si aveva necessità di trasmettere dati o messaggi di posta elettronica, a causa degli alti costi del link satellitare.

Ora c’è una tariffa flat su base annua e un’ampiezza di banda sufficiente a garantire le comunicazioni tra la base e il resto del mondo, nonché la possibilità di usare Whatsapp per inviare messaggi e piccoli video.

I dati acquisiti dai progetti di ricerca “sono salvati localmente su un server denominato Hermes che, quasi in real time, li trasmette a un server gemello ubicato in Italia. Ogni progetto ha uno spazio dati e delle cartelle che il server sincronizza continuamente. Sono poi previsti anche dei meccanismi ad hoc, in caso di interruzione, oltre a quelli di controllo e monitoraggio sull’uso che ciascuno fa di questo sistema” racconta Simona Longo Responsabile dello sviluppo del NADC.

Comunicazioni difficili, ma grandi potenzialità

Per garantire la continuità del collegamento tutti i sistemi hanno un loro backup e le macchine sono ridondate il più possibile, sia a livello centrale che di singolo progetto. “Il punto critico è la mancanza di ridondanza del collegamento satellitare: ci sono solo dei sistemi di backup satellitari che garantiscono comunicazioni di emergenza. Sono quelli utilizzati anche dai ricercatori che si allontanano dalla Base per molti km, come quelli di Beyond Epica” aggiunge Longo.

Questo progetto è il proseguimento di Epica e ha lo scopo di studiare il ghiaccio per ricostruire il clima del passato e poter prevedere meglio quello futuro. Nella prima fase si era arrivati fino a 800mila anni fa, con questa si mira ad andare indietro nel tempo di circa 1 milione e mezzo di anni. “Il ghiaccio contiene informazioni importantissime che rischiano di andare perse. Infatti, stiamo portando avanti anche un altro progetto, per conservare quelle contenute nei ghiacciai che in tutto il mondo si stanno sciogliendo. Si chiama Ice Memory, l’obiettivo è usare l’Antartide come un grande frigorifero naturale, affidando alle sue basse temperature carote di ghiaccio estratte dai ghiacciai in pericolo nei vari continenti. Resterebbero così a disposizione della ricerca per secoli” spiega Salvati, accennando a progetti anche in ambito spaziale.

In questo caso, la Base Concordia diventa un laboratorio anche umano. Le condizioni estreme a cui sono sottoposti i suoi ospiti – per temperature, ore di luce e isolamento – sono ottime per studiare le reazioni del corpo e della psiche e preparare al meglio i futuri astronauti. L’Antartide diventa un enorme simulatore, quindi, dove testare anche sensori, tecnologie e materiali da inviare nello Spazio ma anche da utilizzare sulla Terra, in ambienti con basse temperature o vento forte. Si pensi alla resistenza delle pale eoliche o a quella di rilevatori meteo.

Più che il clima, la vera sfida IT è quella dei fondi

Ogni progetto ospitato da Base Concordia è una sfida per i ricercatori, una sfida che deve poter contare su una tecnologia solida, in grado di garantire stabilità e continuità. “Non si sperimenta in campo IT, se non per assicurare resilienza e affidabilità. Servono strumenti robusti per affrontare gli imprevisti” precisa Salvati.

Gli hardware, per esempio, devono poter resistere a temperature proibitive. Si fanno quindi studi sui materiali e sulle forme dei sensori per capire quale combinazione può resistere meglio alle basse temperature e a eventuali depositi di ghiaccio.

“L’IT nella Base Concordia è un supporto che ogni progetto affina a seconda delle proprie esigenze attuali. È difficile pianificare interventi strutturali perché i finanziamenti arrivano di anno in anno. Sarebbe necessario aumentare la banda satellitare, erogare più servizi IT, avere computer più performanti e aggiornare i sistemi di trasmissione, partendo da antenne, elaboratori e switch. In Antartide la tecnologia è semplice, sono le condizioni al contorno a rendere tutto difficile, in termini di clima e di budget. Il nostro fine ultimo resta sempre quello di far funzionare i progetti, acquisire i dati e, in qualsiasi modo, farli avere a chi li deve analizzare” ammette Salvati.

Progetto NADC: ora anche l’Italia condivide dati

Un obiettivo simile è anche quello attorno a cui è nato il Progetto NADC (National Antarctic Data Center), coordinato da Vito Vitale del CNR ISP.

Questa volta siamo in Italia e gli ostacoli non sono il vento e il freddo, ma le difficoltà legate al cambiamento e all’utilizzo di nuovi strumenti tecnologici per la gestione e condivisone dei dati.

L’obiettivo è infatti quello di rendere pubblici, per tutta la comunità scientifica, i risultati delle ricerche in ambito PNRA (Programma Nazionale di Ricerche in Antartide). “Per circa 30 anni questo è stato uno scoglio, ora finalmente l’Italia si è messa in regola: la condivisione è obbligatoria” precisa Longo.

Nel passato i dati spesso restavano nel cassetto o sul foglio di calcolo di ogni ricercatore, oggi hanno tutti un formato comune e possono essere cercati online con semplici strumenti. Anche in questo caso la tecnologia è intesa come un supporto. Il National Antarctic Data Center consiste infatti in un’infrastruttura informatica per la raccolta, la gestione, la pubblicazione dei metadati basata sui principi dell’OPEN SCIENCE. La sua è un’architettura “system of systems” in grado di garantire l’interoperabilità del sistema, creando un collegamento diretto tra tutti i nodi che lo costituiscono. Sia quelli di primo livello, gestiti dalle singole istituzioni di ricerca, sia quelli di secondo e terzo.

Grazie al NADC, anche l’Italia è riuscita a integrare e mettere a disposizione i contributi provenienti da diversi ambiti scientifici come la biologia, l’oceanografia, la climatologia, lo studio dell’atmosfera, la glaciologia, la geologia ect. Il tutto tramite metadati, con un formato standard adatto ai dati scientifici georeferenziati, l’ISO19115, e una piattaforma software come GeoNetwork Opensource per gestirli e catalogarli. Un vero traguardo da molto atteso, una sfida vinta dalla ricerca in Antartide che ne apre di altre, potendo contare su una tecnologia sempre più efficace e adeguata a un mondo in cui la condivisione premia.

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