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Digital Markets Act: impatti, benefici e criticità della normativa UE 



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Il DMA mira a garantire equità e concorrenza nei mercati digitali, focalizzandosi sui grandi “gatekeeper” le cui piattaforme oggi operano in regime di quasi monopolio. Ecco gli effetti del regolamento, all’interno del quadro dei provvedimenti europei sui fenomeni tecnologici 

Pubblicato il 12 set 2024

Carmelo Greco

Giornalista



Digital Markets Act
Immagine di SuPatMaN da Shutterstock

Pubblicato a ottobre 2022, ma pienamente operativo da marzo 2024, il Digital Markets Act (DMA) è una normativa dell’Unione Europea volta a garantire la contendibilità e l’equità nei mercati digitali. Il regolamento si concentra soprattutto sui cosiddetti “gatekeeper”, ossia le grandi piattaforme online che controllano l’accesso a un numero significativo di utenti finali e commerciali.

Il suo scopo è quello di prevenire comportamenti anticoncorrenziali e pratiche sleali da parte di queste piattaforme, assicurando che il mercato digitale rimanga aperto e accessibile a nuovi operatori. In particolare, il DMA vieta ai gatekeeper di favorire i propri servizi rispetto a quelli di terzi, di impedire l’interoperabilità e di ostacolare il trasferimento di dati tra piattaforme.

A settembre 2023, sulla base delle notifiche ricevute, la Commissione Europea ha designato 6 gatekeeper: Alphabet, Amazon, Apple, ByteDance, Meta e Microsoft. A questi 6 colossi si applicano i nuovi obblighi, con una finestra di sei mesi per l’adeguamento.

I primi effetti del Digital Markets Act

“Gli effetti del DMA iniziano a manifestarsi solo ora perché, nonostante l’adozione del regolamento nel 2022, l’operatività del regime è stata differita” spiega Roberto Sammarchi, avvocato specialista in diritto dell’informazione, della comunicazione digitale e della protezione dei dati personali, che coordina il Gruppo Tecnico Specialistico 5.0 di AIAS (Associazione Italiana Ambiente e Sicurezza).

Roberto Sammarchi, coordinatore del Gruppo Tecnico Specialistico 5.0 di AIAS

“Le aziende designate come gatekeeper – continua – hanno avuto tempo per adeguarsi alle nuove regole, ma l’implementazione pratica delle disposizioni richiede gradualità sia per le procedure di designazione sia per l’adattamento dei modelli di business. Solo a partire da quest’anno la Commissione Europea ha iniziato a far rispettare le regole con controlli, verifiche e concreta possibilità di sanzioni, portando a un impatto tangibile sul mercato”.

In sostanza, il processo di adeguamento dei gatekeeper è ancora in corso. Il Regolamento di esecuzione (UE) 2023/814 ha fornito dettagli su come le piattaforme debbano notificare la propria conformità e gestire la comunicazione con la Commissione europea. In caso di inadempimento, la Commissione può avviare procedimenti applicando sanzioni severe, inclusi obblighi correttivi o sanzioni pecuniarie.

I benefici del DMA per aziende e consumatori

L’impatto del DMA non investe soltanto i gatekeeper, ma riguarda anche il mercato digitale nel suo complesso. “Per le aziende, specialmente quelle più piccole e innovative, il DMA mira a creare condizioni più eque, riducendo le barriere all’ingresso e aumentando le opportunità di crescita e innovazione” spiega infatti Sammarchi, aggiungendo un ulteriore tassello: “I consumatori, d’altra parte, potrebbero beneficiare di una maggiore scelta di servizi e prodotti, prezzi più competitivi e una migliore protezione della loro privacy e dei loro dati. Inoltre, l’atto introduce nuove possibilità per i servizi di interoperabilità, consentendo agli utenti di passare facilmente da una piattaforma all’altra senza perdere dati o servizi e favorendo, così, una maggiore libertà e un maggiore controllo sui propri strumenti digitali”.

Il DMA non è l’unico provvedimento con cui l’Unione Europea cerca di introdurre dei paletti lungo il cammino tumultuoso della tecnologia. Basti pensare all’AI Act, il regolamento che vede le istituzioni del vecchio continente alle prese con le grandi trasformazioni innescate dall’avvento dell’Intelligenza Artificiale. Tanto che la crescente regolamentazione Ue su questi temi solleva preoccupazioni sulla coerenza di un quadro normativo omogeneo. Nel caso del DMA, il rischio è mitigato perché la normativa si concentra su aspetti specifici del mercato digitale, come la concorrenza e le pratiche sleali dei gatekeeper, senza sovrapporsi direttamente ad altre normative. “Certamente il rischio che la frammentazione normativa aumenti è presente, considerando che ogni norma affronta un aspetto distinto del panorama digitale” ricorda Sammarchi.

Un sistema integrato con il Digital Services Act

In realtà un impegno per l’integrazione normativa è presente. Il DMA, ad esempio, completa il regolamento sui servizi digitali (Digital Services Act), creando un sistema integrato che affronta sia le questioni di equità di mercato sia quelle di sicurezza e trasparenza nei servizi digitali. “In sé, non è un errore il fatto che ogni norma disciplini uno specifico aspetto della trasformazione digitale. L’integrazione fra le norme può maturare nel corso del tempo, anche per la necessità di un processo di osservazione e correzione dei fenomeni nella vita reale, un po’ come è successo con la privacy che dopo oltre trent’anni di elaborazione normativa è oggi un corpo organico di norme, per la verità forse anche troppo articolato e complesso da applicare”.

Non mancano le critiche rivolte all’Europa per un eccesso di normazione tecnologica. Molte delle accuse derivano da una visione fortemente orientata al mercato, come quella statunitense, che tende a privilegiare la regolamentazione ex post basata sulla concorrenza piuttosto che interventi ex ante.

“Tuttavia, la regolamentazione europea, benché non certo perfetta, risponde a esigenze reali di protezione dei consumatori e di equità nei mercati digitali, settori dove la dinamica di potere è spesso sbilanciata a favore delle grandi piattaforme. Piuttosto che un eccesso, la normativa UE rappresenta semmai un tentativo imperfetto di bilanciare gli interessi economici e sociali, mirando a creare un ambiente concorrenziale più equo e a tutelare i diritti digitali dei cittadini” sostiene Roberto Sammarchi.

Norme tecniche vs capacità di autoregolamentazione

C’è anche una critica opposta. Spesso al legislatore europeo – ma il giudizio si potrebbe ampliare a qualsiasi legislatore – vengono attribuite prerogative che esulano dal suo mandato. Come se esistesse un ordinamento perfetto in grado di governare i fenomeni digitali senza la necessità del contributo proveniente dal basso. Al contrario, se dalla UE arrivano indicazioni “verticali” che cercano di esprimere lo stato dell’arte sul versante della digitalizzazione, va comunque potenziata la capacità di operatori e interpreti di elaborare una visione “orizzontale”.

È in virtù di questa visione che si possono cogliere i nessi fra le norme e i fenomeni, che si può tentare una sintesi. “Norme tecniche da una parte e capacità di autoregolamentazione dall’altra – afferma in conclusione l’avvocato Sammarchi – sono due aspetti che possono rendere protagonisti dello sviluppo normativo quanti operano sul campo, soprattutto nell’ambito di associazioni e organizzazioni internazionali”. È un’applicazione, anche nel campo del digitale, di quel principio di sussidiarietà che, secondo una definizione del Parlamento europeo, “esclude l’intervento dell’Unione quando una questione può essere regolata in modo efficace dagli Stati membri stessi a livello centrale, regionale o locale”.

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