Vita Da CIO

Contro ogni previsione: la (vera) storia di un ERP finita bene



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Processi non mappati, dati da ricostruire, tempi stretti e risorse limitate: il progetto ERP perfetto non esiste. Ma uno riuscito, sì. Ecco come la direzione IT ha portato a termine una sfida ad alto rischio, tra pragmatismo e resilienza. E con 3 ingredienti che fanno la differenza

Pubblicato il 29 apr 2025

Barbara Marmello

Group Head of Enterprise Applications Joivy



ERP
Immagine di AntonKhrupinArt da Shutterstock

Partiamo da una “semplice” domanda. Come funziona un progetto per un sistema ERP? L’abitudine italiana di rispondere “dipende” può causare qualche fastidio. Ma in questo è proprio così: 

  • Devi selezionare la soluzione? 
  • Devi fare un upgrade? 
  • Devi attivare una nuova company? 

In base alle risposte alle domande precedenti (e a molte altre in realtà) si raccolgono le aspettative degli stakeholders, i vincoli (ci sono: esterni ed interni) e si fa un’ipotesi di budget, di tempi, di scopo. E poi c’è molto altro. Alcune attività sono tecniche, molte sono umane.

Diciamo che in qualche modo si arriva ad avere un piano di progetto. Lo rileggi, lo analizzi, ma nel profondo una vocina ti dice che non nasce sotto una buona stella.

Appena arrivata in azienda, mi ritrovo con questo progetto ERP. Non del tutto una sorpresa. Sapevo che sarebbe stato uno dei primi progetti. Non avevo però tutti i dettagli.

Il controller? Anche lui nuovo. 

Il CFO? Un anno di anzianità. 

I key users? Figure storiche. Gioie e dolori. In questo caso, più gioie (per fortuna). 
L’azienda? Appena entrata in un gruppo più grande, completamente in trasformazione. Niente è come prima. 

Stiamo parlando di un sistema completo, pensato per medie e grandi imprese.

Obiettivo: gestire tutto, dalla contabilità alla produzione, passando per pianificazione materiali e magazzino semilavorati. Tutto operativo dal giorno 1 del go-live. Quattro mesi di tempo. Uno è agosto.

C’erano le condizioni ideali per un progetto strutturato, con fasi ben definite, processi mappati, piani precisi? No.

  • Processi “as is”? Non pervenuti. 
  • Dati pronti alla migrazione? In parte. Ad esempio, i lead time o i cicli erano assenti. Gli articoli dei semilavorati non erano gestiti. 
  • Un tempo congruo? No, quattro mesi, di cui uno d’estate. 
  • Un piano B? Non previsto. 
  • Squadra infinita di consulenti? Due, però per fortuna entrambi senior. 

Sembra la ricetta per un disastro, vero? Eppure, non siamo andati fuori budget. Non abbiamo mancato la scadenza. E sì, la produzione e la contabilità hanno continuato a funzionare. Allora, come abbiamo fatto la magia?

Parlandone con i consulenti, le battute sull’approccio “poco ortodosso” erano frequenti. Perché è vero: normalmente non si fa così.

Tre fattori che contano

Se devo identificare tre ingredienti che hanno fatto la differenza, sono questi:

1. Supporto della leadership

Il progetto ERP era la priorità dell’azienda. Non qualcosa da gestire nei ritagli di tempo. Questo ha cambiato tutto. Tutti, a ogni livello, sapevamo che si stava giocando una partita importante.

2. Essenzialità

Sapevamo di non poter avere tutto. Quindi abbiamo smesso di guardare al passato cercando di replicare soluzioni “come prima”. Abbiamo scelto l’essenziale, quello che serviva per funzionare bene da subito. Nessuna nostalgia, almeno non troppa, dai. Solo concretezza.

3. Gruppo di lavoro coeso

Siamo stati chiusi nella stessa sala riunioni per giorni e settimane. Ogni difficoltà è stata affrontata insieme. Nessuno si è tirato indietro. Anche chi era meno coinvolto all’inizio è salito a bordo, spinto dalla forza del gruppo. Non è retorica: senza questo spirito, non ce l’avremmo fatta.

In realtà, dopo il primo mesetto, abbiamo cercato di capire con la leadership della società controllante se era ammissibile un leggero ritardo. Un paio di mesi per alleggerire un minimo il carico di lavoro e per avere anche un minimo di contingency. Si sa che a volte la sfortuna ci vede molto bene.

È stata una conversazione molto diretta, onesta. Ma senza possibilità di negoziare. La necessità del Gruppo era che anche noi in Italia fossimo attivi nell’ERP di Gruppo entro la data indicata. Per motivi validi. Noi abbiamo capito e siamo tornati al lavoro.

È stato facile? No.

Lo rifarei allo stesso modo, potendo scegliere? Nemmeno.

Abbiamo dovuto rinunciare a qualcosa. E non parlo solo del tempo libero.

  • Le personalizzazioni erano quasi assenti. 
  • I formati di fatture e ordini? Minimalisti. 
  • Il team? Allargato coinvolgendo altri colleghi oltre i key users iniziali. 

Abbiamo fatto scelte difficili ma avendo sempre in mente le priorità vere dell’azienda, non quelle “ideali” o “accademiche”. E questo ha fatto la differenza.

Cosa può portarsi a casa un CIO da questa storia?

  • I progetti ERP perfetti non esistono. Ma quelli riusciti sì. 
  • Il tempo non è l’unico fattore: l’allineamento e la volontà comune contano più del Gantt
  • A volte serve osare. Non tutto è replicabile, ma alcuni approcci sono applicabili: partire da ciò che serve davvero, avere sponsor forti, costruire un gruppo che ci crede. 

In questo caso, il successo è arrivato nonostante tutto. O forse proprio per questo.

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