Come ‘vive la complessità’ un designer, psicologo e antropologo

Complessità e complicazione: una distinzione fondamentale per Donald A. Norman (nella foto), media guru di fama internazionale, che spiega come, che si tratti di progettare un prodotto o un sistema informativo, il punto di partenza deve essere una precisa analisi della realtà e dei comportamenti umani. Solo così è possibile progettare prodotti e soluzioni anche estremamente complessi, ma facilmente usabili e non inutilmente complicati.

Pubblicato il 07 Mag 2011

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Donald A. Norman ha una laurea honoris causa all’Università di Padova, e gli sta benissimo di essere in questa sede il “Dottore” Don Norman, italian style. ZeroUno lo ha intervistato dopo l’evento “Meet the Media Guru” presso la Mediateca S. Teresa, il Dipartimento di editoria digitale della Biblioteca Nazionale Braidense di Milano. Norman, tra l’altro, ha una laurea in Ingegneria Elettrotecnica, è Doctor in Psychology, è stato Vice President per il Design alla Apple e – ricorda nel presentarlo Maria Grazia Mattei di Mgm Communication, moderatrice e animatrice dell’evento – è universalmente “riconosciuto come un moderno antropologo”.
In effetti solo un antropologo della vita moderna può credibilmente presentarsi a riconciliare complessità e semplicità, o più correttamente teorizzarne una filosofia di coesistenza in un mondo che sembra inesorabilmente deflettere verso la prima. Così non deve essere, spiega Don Norman nel suo excursus: dobbiamo vivere la complessità non come sinonimo di disordine e confusione, ma come caratteristica fondante e irriducibile della modernità, usandola al livello giusto, che è quello che coincide con la funzionalità d’uso. Non a caso il suo libro “Living with Complexity”, edito da Pearson, distingue tra “complessità – che è del mondo, si riflette nelle nostre tecnologie, ma è riconducibile a uso semplice – e complicazione”. E la linea di demarcazione tra cose semplici e complesse è ben diversa da quella tra usabili e inusabili perché complicate. Al “Dottore” Norman rivolgiamo alcune domande, con l’intento minimale di catturare alcuni passaggi salienti del suo ragionamento, che visto il tema, procede per stringenti sillogismi.
ZeroUno: “Le cose semplici possono essere complesse o complicate”: perché è così importante fare questa distinzione?
Norman: È fondamentale distinguere tra complessità e complicazione. Un oggetto è complesso se è articolato in una molteplicità di diversi componenti. Ma se si capiscono o modellano le parti o il principio che le aggrega, l’oggetto diventa “semplice” per la mente di chi ne fruisce. Un oggetto è complicato invece se è confusa e cervellotica la funzionalità che esplica ai fini del suo utilizzo. Cioè è “mal disegnato” per cui non c’è possibilità di capirne il funzionamento se non con uno sforzo sproporzionato rispetto al servizio che ci si attende di ottenere. Anche un insieme di venti semplici interruttori in una grande stanza senza che sia specificato che cosa fa ciascuno di essi può essere “complicato”. Viceversa cose complesse possono essere comprensibili e “semplici” da usare. Per esempio un sistema di memorie periferiche di un computer. Il suo modello concettuale è molto comprensibile perché è una semplice pattern in cui i contenuti delle memorie si descrivono adeguatamente mostrando dei file che stanno in folder ospitati a loro volta in altri folder e così via. Ma come ogni tecnologo sa, il modello concettuale è in realtà non corretto; la macchina non ha folder, ma puntatori che si indirizzano tra loro. Il meccanismo reale è troppo complicato da spiegare, e allora si ricorre a un modello concettuale che descrive in modo semplice una realtà che grazie al modello diventa funzionalmente comprensibile. Si può insomma dire che la complessità (non la complicazione) può essere esposta o nascosta da un modello semplice.
ZeroUno: Lei ha enunciato una specie di principio della conservazione della complessità…
Norman: Si, quando ero alla Apple, un mio amico e anche lui VP Apple, Larry Tessler, ha formulato quella che nel mio libro chiamo la legge di Tessler sulla “irriducibilità della complessità”. In sostanza la complessità di un oggetto funzionale è sempre la stessa, solo che siamo noi che cerchiamo di rendere l’oggetto più semplice per l’utente, con il risultato che diventa più complesso all’interno. Un buon esempio è l’automobile: la trasmissione automatica semplifica la guida, ma allo stesso tempo significa cambio automatico che è meccanicamente molto più complesso di un semplice cambio manuale. Alla fine non facciamo altro che trasferire la complessità dalla persona all’infrastruttura.
ZeroUno: Alla luce anche della sua esperienza come Vp Design alla Apple, come trasferisce il principio della conservazione della complessità al disegno? Chi è e che caratteristiche ha un buon Designer oggi?
Norman: Penso che giornali, riviste e musei abbiano fatto un disservizio al Design. Fanno intendere il Design come la realizzazione di begli oggetti d’arte. Da ciò gli Executive delle aziende derivano l’idea che il Design sia far apparire bello, magari anche se non complesso. È un’idea sbagliata. Un buon Disegnatore può trasformare una tecnologia (capacità basata su logica) in qualcosa che effettivamente corrisponde a un comportamento umano, e lo soddisfa. Il modo tradizionale di costruire un sistema informativo complesso è partire da gente che determina le specifiche dai requirement. Si programma alle specifiche e salta sempre fuori che la funzionalità ottenuta è diversa da quella che si attendeva. Questo perché si pensa a come il procedimento dovrebbe essere e non si osserva mai abbastanza come le cose vanno in realtà. Un buon Designer è human centric: capisce la tecnologia ma soprattutto capisce i comportamenti della gente, mettendosi nei loro panni. Per far sì che il prodotto appaia magari bello e gradevole, ma soprattutto lavori correttamente e senza intoppi. Il disegno evolve ormai per i Cto e i Cio da disegno di prodotto a disegno di servizio. Oggi un buon Disegnatore è un buon Disegnatore di servizi.
ZeroUno: Una domanda al Dottore in Psicologia su una miglior comunicazione a due vie con la propria clientela da parte delle aziende in genere. Che valore può venire da una tecnologia complessa, il Web 2.0, ma soprattutto una pratica, l’utilizzo intelligente del Social Networking, che ha aspetti psicologici più complessi ancora? Quale è la sua “parola di saggezza” in proposito?
Norman: Sono finiti i giorni in cui disegnavamo un terminale per uso personale o per un gruppo isolato. Oggi si disegna per lavoro collettivo, e di team, che può essere dispersivo. Questo alza il livello di complessità dovendo supportare esiti di interazioni tra persone. Serve ancora di più un’analisi people centric. Ma ci sono potenzialità meravigliose: basta guardare al movimento Open Source e alla creatività che scatena attraverso collaborazioni volontarie. La conseguenza è l’apertura a nuove idee del mondo e, nella misura in cui sanno coglierle, delle aziende. E c’è la concreta possibilità di sfruttare l’intelligenza di massa e la collaborazione con idee esterne, un vero e proprio outsourcing per la R&d.

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