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Più veloce, più capiente, più capillare. La blockchain cinese controllerà il Paese 

La Cina svela un enorme cluster blockchain, con tecnologia homebrew, e 1.000 server, in grado di effettuare 240 milioni di transazioni al secondo. La conferma, se mai ce ne fosse il bisogno, che Pechino vuole controllare tutto. L’ennesima prova delle capacità tecnologiche e infrastrutturali di questo Paese. Un segnale positivo per il mercato blockchain: ora il suo futuro è più che mai certo e promettente. 

Pubblicato il 17 Feb 2023

blockchain china

La “mania” di controllo della Cina ha radici decisamente anteriori agli ultimi decenni, ma con la tecnologia, è tutto più facile. Infatti, ora si sta per avverare il suo sogno di registrare ogni attività governativa e commerciale, grazie alla blockchain. Una blockchain tutta sua, naturalmente, potenziata ad hoc e con un cluster di ben 1.000 server.

Il Paese degli smart contract

L’annuncio di questo upgrade di ChainMaker, il nome della piattaforma blockchain cinese, rappresenta un forte segnale strategico. La Cina spinge, e spingerà, verso un uso esteso di questa tecnologia. Ciò significa che, a breve, ci si può aspettare un aumento anche degli smart contract, per lo meno nel suo mercato interno, che sarà monitorato in modo estremamente capillare.

Con il cluster appena realizzato, il governo riesce già a proteggere e registrare le transazioni di 80 dipartimenti per un totale di 2.700 sistemi informativi, distribuiti in 16 distretti e trasversali per diversi settori. I primi da mettere sotto controllo sono i trasporti, le finanze e le telecomunicazioni. Non essendoci problemi di flusso, però, si presume che tutti presto saranno inclusi in questa operazione di “coordinamento efficiente del sistema di governance“. È così che la definisce Pechino, infatti, e resta una mossa perfettamente coerente con la sua intenzione di controllare e guidare lo sviluppo economico nazionale, azienda per azienda, statale e non.

La Cina mostra i muscoli, in open source

Al di là delle discutibili finalità del governo cinese, l’infrastruttura realizzata resta una delle più potenti implementazioni di blockchain al mondo. È l’ennesima prova oggettiva della sua capacità, interna e autonoma, nel costruire sistemi complessi e di grandi dimensioni.

Questo enorme cluster, tutto “Made in China” con dimensioni da primato, ha innescato un upgrade nella altrettanto homebrew ChainMaker, a cui è collegato. Questa piattaforma blockchain è stata sviluppata qualche anno fa da un ampio ecosistema di oltre 50 organizzazioni statali, tra cui il Beijing Microchip Edge Computing Research Institute (BABEC), principale sviluppatore è China Unicom, che la usa per i servizi 5G. Già nel 2021, era in grado di supportare 100.000 transazioni al secondo (TPS) eseguite in parallelo. Con il recente sviluppo di un silicio a 96 core per accelerare le transazioni, si riuscirà a raggiungere la cifra è di 240 milioni di TPS.

Ciò significa, per il governo cinese, un controllo sempre più efficiente, ma non solo. Sembra, infatti, che nel frattempo, il tempo di risposta alle query di ChainMaker sia sceso sotto i 10 millisecondi e che il suo nuovo sistema di storage offra un petabyte di spazio di archiviazione. “Hong”, così è stato battezzato, nei prossimi mesi potrebbe anche diventare open source.

Una scelta che potrebbe sorprendere chi non sa che parte del codice di ChainMaker è già disponibile sotto licenza open source Apache 2.

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