Dalla data analytics alla data intelligence: per un nuovo Business “sostenibile”

La sfida per le imprese nella data-driven economy? Dare valore ai dati, andare oltre sola analisi per adottare un paradigma nuovo: quello della data intelligence

Pubblicato il 12 Mag 2020

Data scientist cosa fa e quali corsi universitari seguire

Trasformare il dato da volume a valore: è questo non semplicemente un obiettivo, bensì un imperativo per tutte le imprese – poco importa la dimensione, poco importa il segmento di mercato – che oggi come mai prima si muovono in scenari data intensive.
Dare valore ai dati, andare oltre sola analisi per adottare un paradigma nuovo: quello della data intelligence. Questa è la sfida.

Che cosa è la data intelligence

Quando parliamo di data intelligence facciamo riferimento a strumenti e tutte le attività analitiche che concorrono all’abilitazione di una migliore comprensione dei dati raccolti da un’azienda con l’obiettivo di migliorare, misurare  e far evolvere i processi aziendali secondo approcci e logiche data-driven.
La data intelligence utilizza molteplici elementi, dalle metriche delle performance aziendali interne, ai dati di maggior convergenza su cliente/mercati, dalle tendenze periodiche a KPI più verticali su produzione e catena del prodotto/servizio.
I dati raccolti, catalogati, “puliti”,analizzati, presentati e condivisi, si declinano in linea di principio secondo cinque componenti informative fondamentali: dati predittivi, decisivi, descrittivi, prescrittivi e diagnostici.
Detto in altri termini, applicando metodologie di data intelligence ai dati e alle informazioni presenti in azienda è possibile supportare in modo molto più efficace le iniziative globali di business, andando a rispondere a queste domande:

  • cosa è accaduto
  • cosa sta accadendo
  • cosa potrebbe accadere
  • cosa suggeriamo di fare

Quali sono i benefici della data intelligence per le imprese

Ma quali sono, concretamente, i benefici della data intelligence per una impresa?
In un mondo in costante stato di evoluzione e di “mutamento continuo”, le aziende devono essere sempre pronte a cogliere segnali, indizi e tendenze. I dati parlano…noi dobbiamo essere in grado di ascoltarli e comprenderli.

Gli strumenti e le metodologie di data intelligence consentono di trasformare i dati grezzi in “actionabile insight”, consentono di individuare le nuove tendenze nel momento stesso in cui si presentano, consentono di analizzare in profondità i dati relativi ai comportamenti, alle necessità ai bisogni e ai ”sogni” dei propri stakeholder – Clienti, mercati, partner, collettività – ed in senso allargato  ai diversi attori della supply chain globale.

I dati consentono soprattutto di reagire ai cambiamenti in atto, adattando di volta in volta le proprie risposte agli scenari che si presentano.
Gli effetti positivi della data intelligence non si misurano solo in relazione alla capacità di reazione di un’impresa, ma diventano ancor più evidenti quando si tratta di individuare nuove opportunità di crescita e di espansione del business, migliorando nel tempo processi e strategie, al fine di accrescere la presenza la competitività ed il “benessere”, con la persona al centro, in un contesto di sostenibilità.

Chi beneficia della data intelligence?

È difficile individuare un settore che più di un altro possa beneficiare di un uso attento dei dati.
In una data driven economy, quale è quella nella quale ci muoviamo oggi, qualunque settore produttivo o industriale può migliorare produttività, redditività, competitività, attrattività mettendo a frutto il patrimonio di dati in suo possesso:

  • Aziende manifatturiere
  • Servizi Bancari, Assicurativi & Finanziari “fintech”
  • Retail
  • Cura della persona e farmaceutico
  • Viaggi, turismo e intrattenimento
  • Settore pubblico e Sanità

Last but not least, è rappresentato dal settore energetico, ed energie rinnovabili il cui “pain point” è quello di riuscire a trovare il miglior equilibrio tra costo e servizio.

Non si tratta solo di comprendere i livelli della domanda, ma di essere in grado, analizzando dati storici, correnti e di mercato di gestire e prevedere con precisione “chirurgica” un contesto  di necessità sempre più ampio e articolato in uno scenario “liquido”, iperconnesso e multistakeholder.

Data Intelligence, la visione di IDC

Di data intelligence si è occupata recentemente IDC, che in un blog post dello scorso mese di novembre così ha scritto: “La data intelligence sfrutta i metadati aziendali, tecnici, relazionali e operativi per fornire profili, classificazione, qualità, posizione, discendenza e contesto, abilitando persone, processi e tecnologie con dati affidabili”.
La data intelligence, prosegue nella sua analisi IDC, consente alle organizzazioni – ripetiamo di qualunque settore di mercato – di rispondere a sei domande fondamentali:

  • Chi sta usando quali dati?
  • Dove sono i dati e da dove provengono?
  • Quando si è verificato l’accesso ai dati e quando sono stati aggiornati l’ultima volta?
  • Perché ci sono qui dati? Perché devono essere conservati?
  • Come vengono utilizzati i dati e come dovrebbero essere utilizzati?
  • Quali relazioni vi sono tra i dati?

La data intelligence aggiunge valore alle organizzazioni, dal momento che consente l’analisi self-service dei dati e offre supporto nei processi decisionali. Sempre nella visione di IDC, non solo è elemento centrale nel percorso di alfabetizzazione sui dati, ma offre anche il contesto sul quale si sviluppano modelli di machine learning e intelligenza artificiale.
Soprattutto, la data intelligence dovrebbe aiutare a portare nuova efficienza alle aziende che lavorano con i dati: secondo un’indagine condotta lo scorso anno dalla stessa IDC sui data worker il 90% del tempo è ancora destinato alle attività di ricerca, preparazione e protezione dei dati, mentre solo il 10% è effettivamente dedicato alla loro analisi.
La data intelligence dovrebbe contribuire a riequilibrare – se non addirittura a invertire – questo rapporto.

Una questione culturale

La questione, continua nella sua analisi IDC, non è meramente tecnologica. “Da soli, i dati non fanno la differenza. È come un’azienda viene abilitata dai dati a farla. Come questa gestisce i dati, li rende disponibili, li analizza, impara da essi e poi agisce”.
Le tecnologie servono, naturalmente, ma serve anche una cultura del dato. Serve avere una visione chiara e una piena consapevolezza delle opportunità che un corretto utilizzo dei dati disponibili in azienda può aprire.
Serve, ancor di più, una visione strategica associata all’uso del dato, per evitare di cadere in valutazioni esclusivamente concentrate sui numeri.

Una questione metodologica

La data Intelligence non si improvvisa e richiede un approccio metodologico ben preciso. IDC sostiene che perché sia davvero possibile trasformare i dati in informazioni utili al business, è necessario che i dati stessi siano univoci, integri, catalogabili, estraibili, integrabili e distribuibili. È questa la conditio sine qua perché le diverse funzioni aziendali possano fare buon uso dei dati per prendere decisioni informate.

La visione di Bi Factory

È proprio quest’ultimo, lo scenario nel quale si muove BiFactory, realtà nata nel 1998 da un’idea di Franco Perduca e Sara Bozzo, attiva trusted data knowledge advisor progettuale nell’ambito dell’analisi dei dati.
“Non vendiamo prodotti, non facciamo body rental – spiega Walter Gabetta, Head of Marketing and Business Relations in BiFactory -. La nostra è una attività di consulenza applicativa: supportiamo le persone nelle loro aziende, nei percorsi progettuali convergenti all’analisi dei dati”.

Il mercato di riferimento di BiFactory è rappresentato da imprese, senza particolari distinzioni per quanto riguarda i settori di attività, che vedono nei dati un Asset da custodire e utilizzare per guidare il proprio percorso di cambiamento e crescita,

“Sviluppiamo progetti data driven per le diverse Business Unit  cross industry – prosegue Walter Gabetta -. Ci relazioniamo  con gli stakeholder funzionali, dal Ceo, al Cio al CFO, vale a dire con i molteplici Ruoli/Figure di responsabilità  in azienda che abbia come necessità oggettiva o obbiettivo a tendere, l’efficientamento, il miglioramento, la rimodellazione dei propri processi , servizi o della propria operatività di Business grazie ad un approccio “Tech Intensity “.

“In concretezza – prosegue – noi parliamo con aziende di settori molto diversi tra loro, che hanno un comune bisogno comune: rendere i dati più comprensibili, significativi e  consultabili in ogni luogo, momento ed in sicurezza. Per questo agiamo sui processi e ci rivolgiamo a chi in azienda li guida”.

BiFactory ha conquistato credibilità sul proprio mercato di riferimento e ha sviluppato una propria e collaudata metodologia nel suo approccio consulenziale e progettuale.
“Ciò che la distingue nell’approccio “Tech Intensity” sono pragmatismo, agilità e concretezza con comprovate Skills sulle Tecnologie Microsoft di cui è Partner da sempre con massime certificazioni nel campo Data Analytics e Cloud. Aiutiamo i nostri clienti a identificare le loro effettive necessità e a trovare la risposta giusta in tempi rapidi. Il nostro obiettivo è rendere autonomo in breve tempo il nostro cliente, senza imporgli lock in, ma lasciando la porta aperta a successive evoluzioni”.

La metodologia sviluppata da BiFactory si articola in cinque fasi distinte e conseguenti che vedono un momento di condivisione importante, nel PoC -Proof Of Concept – MVP Minimum Viable Product, pedane di lancio di ogni buon progetto “Data Driven” a garanzia di certezze, tempi e risultati.
“Navigare e guidare il Business nel nuovo contesto sempre più iperconnesso, incerto e liquido occorre avere  KPI come timone e DATI come vele”, chiosa Gabetta.

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