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Il vero impatto di automazione e AI nella gestione dei dati



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Investire sull’artificial intelligence è possibile solo valorizzando i dati. Dall’organizzazione del patrimonio di informazioni aziendali a una cultura che sappia indagare le effettive esigenze di business, ecco gli step imprescindibili per potenziare la competitività aziendale

Pubblicato il 26 set 2024



Automazione e AI

Alle imprese italiane non sfugge la centralità del dato come vettore di crescita e competitività. E l’adozione di soluzioni di intelligenza artificiale è il viatico alla valorizzazione di un patrimonio di informazioni che si struttura day by day nei diversi comparti dell’organizzazione. 

I numeri confermano che le soluzioni di Data exploration & Prediction, Decision support & Optimization systems rappresentano la quota più significativa del mercato dell’Intelligenza Artificiale nazionale (29%), rispecchiando quindi la centralità degli strumenti che analizzano ed estraggono informazioni. Ma non meno rilevanti appaiono i sistemi di interpretazione del linguaggio (Text Analysis, Classification & Conversation Systems) (27%) e i tool di recommendation, ossia gli algoritmi che suggeriscono contenuti ai clienti (22%), secondo i dati dell’Osservatorio Artificial Intelligence sul mercato 2023 (quest’ultimo valeva, nel complesso, 760 milioni di euro, ndr). 

Se dai dati si parte per abilitare progetti di successo è però tempo di compiere quello step in più, valorizzando un’AI che può dare un apporto superiore se interrogata in maniera meno rigida e più creativa.

Cercare le domande prima delle risposte

Il business journey verso la valorizzazione dei dati al servizio di progetti strutturati passa attraverso diversi step, in primo luogo organizzativi e culturali. Roberto Verdelli, Practice Manager Advanced Analytics di Avvale, evidenzia la necessità di stabilire un ordine di priorità. L’obiettivo della società globale di consulenza è portare le aziende a ripensare i modelli di business in ottica circolare e riprogettare servizi e prodotti attraverso l’innovazione e l’integrazione di competenze tecnologiche.

“Al netto di qualche sistema che può usare utilizzato in modo generale, tipicamente il flusso logico ed efficace di applicazione dell’AI sarebbe quello di identificare i pain point all’interno di un processo aziendale per capire come possono essere indirizzati e risolti grazie all’utilizzo di queste tecnologie e metodologie. Non è sufficiente avere una conoscenza superficiale del problema, discutere con alcuni fornitori e ascoltare le loro soluzioni, occorre andare a fondo” spiega Verdelli. 

Isolato il quesito di business da risolvere, è dai dati che è necessario partire per trovare le risposte. Dati che possono essere più o meno strutturati, ma che devono essere reperibili, qualitativamente pronti all’uso e anche realmente utili e puntuali.

I dati che fanno la differenza: l’esempio della manutenzione predittiva

Verdelli racconta un caso esemplificativo: “Un cliente che si occupa di realizzare fogli di alluminio per condensatori ci ha chiesto di prevedere il guasto degli alimentatori in uno dei suoi impianti con almeno quattro ore di anticipo. Quindi, un sistema di predictive maintenance reattivo e con un’inerzia abbastanza breve. Da un’analisi più approfondita, e dall’interazione con i manutentori, è emerso però che i guasti venivano registrati quando l’operatore aveva tempo, due tre giorni dopo l’evento. Sono molte le aziende che non curano questi aspetti” prosegue.

“In quel caso, abbiamo adottato un approccio un po’ ortogonale: invece di studiare i guasti abbiamo studiato le condizioni operative ottimali dei sistemi e quindi i segnali generati dai macchinari quando il processo produttivo va alla perfezione, per poi analizzare le deviazioni da quello che abbiamo chiamato il Golden Batch. Quando qualche segnale inizia a deviare in modo preoccupante statisticamente parlando dal Golden Batch, qualcosa sta andando storto e quindi viene segnalato un warning ai manutentori” spiega il manager.

Dal dato destrutturato all’informazione di valore: il caso delle gare d’appalto

In quest’ottica, l’intelligenza artificiale si rivela preziosa per effettuare previsioni basate sui dati disponibili. Ma la frontiera delle applicazioni si sta spostando, complice l’AI generativa e la sua capacità di generare contenuto inedito, impattando nel profondo sui bisogni delle organizzazioni.

Spiega Verdelli: “Questi modelli hanno una grande potenzialità nell’interpretare testo ai fini dell’estrazione di un’informazione che prima non veniva o non poteva essere valorizzata. Per un cliente, abbiamo realizzato un meccanismo in grado di automatizzare le verifiche amministrative in fase di assegnazione di una gara. Si tratta di un processo estremamente oneroso e importante, data la mole ingente di gare gestite dal nostro cliente, le verifiche sono complicate e time consuming. Si tratta di controlli molto puntuali su testo libero: le informazioni non sono scritte in una tabella facile da consultare, ma in trafiletti di testo che spiegano le varie situazioni. Questi modelli abilitano l’estrazione di questa informazione in modo automatizzato, se opportunamente interrogati. Cosa non banale, ma che con un po’ di prompt engineering si riesce a fare”.

“Abbiamo quindi messo a terra – prosegue – un sistema in grado di prendere questi contenuti totalmente destrutturati, estrarre le informazioni di interesse e strutturarle all’interno di una base dati che, a quel punto, le rende facilmente interrogabili. Ovviamente, fatto questo, tutte le verifiche attuali e future vengono notevolmente semplificate, sarà sufficiente fare una query sul data base con i giusti filtri, e le giuste condizioni”.

Automazione e AI, l’importanza della customizzazione dei tool

Comprese le potenzialità di tool simili, le aziende devono anche interrogarsi sull’opportunità di investire su un tool verticale rispetto a uno generico. “Soprattutto con l’AI generativa, che sta dimostrando una potenzialità molto elevata nell’automazione di determinati processi, si stanno diffondendo ‘prodotti copia e incolla’ che hanno tutti le stesse funzionalità in tanti casi e in modalità generale” spiega Verdelli. Il riferimento è ai classici sistemi di virtual assistant, chatbot con cui si interrogano i dati e si ottengono risposte.

“Ci sono tanti prodotti che provano ad accaparrarsi una piccola fetta di mercato” prosegue Verdelli. “Sono sistemi generalisti che implementano la funzionalità promessa, ma lo fanno in modo agnostico dal problema di business che bisogna risolvere. Ci sono dei pro e dei contro. Il pro è che in pochi clic, e con un investimento molto limitato in termini economici, è possibile usare un sistema che non è ritagliato su necessità specifiche e implementa in modo generale la funzionalità. Tuttavia, quando viene utilizzato per i reali scopi di business, emergono tutti gli shortcoming che il sistema ha e che, in fase di demo, non erano emersi”.

Chatbot generalista VS chatbot customizzato

Verdelli prosegue portando il caso di un tool di AI generativa sviluppato e verticalizzato per l’industria manifatturiera. “Per un nostro cliente, abbiamo realizzato un sistema classico di chatbot al fine di interrogare una base dati aziendale, per ottenere risposte a determinate domande. Ci hanno chiesto di customizzarlo per una serie di necessità, come interrogare report che cambiano nel tempo. Per esempio: se l’azienda dispone di un documento che descrive la propria posizione sui temi A, B, C e dopo sei mesi, esce un nuovo documento che aggiorna solo il tema B. Non è corretto eliminare il vecchio documento, perché contiene informazioni su A e C.

Il cliente, spiega il manager, voleva un sistema che riconoscesse i due contenuti, riconoscesse il disaccordo e che valorizzasse l’informazione più recente. Da qui il problema. “In alcuni casi si può togliere il documento precedente, ma in altri no. In un sistema generalista questo non avviene, perché è un caso pensato per uno specifico contesto di business. Sono necessità che arrivano sempre un po’ dalla cultura, dalla conoscenza del contesto e del problema di business che si sta affrontando. Se ho una necessità generale e non voglio andare troppo a fondo, un sistema generalista può essere sufficiente. Se ho un problema di business specifico, complesso, dal quale ho necessità di estrarre il massimo del valore, difficilmente un prodotto ‘taglia unica’ mi aiuterà veramente” conclude Verdelli.

Il valore aggiunto di una data platform 

Per valorizzare quindi il patrimonio che ogni azienda finisce per generare a vari livelli servono cultura e competenze e un’attitudine data driven. Ma quanto può essere d’ostacolo uno scenario in cui i dati non sono adeguatamente governati, anche per motivi meramente architetturali?

“L’organizzazione e la disponibilità dei dati ha una certa rilevanza. Tipicamente un caso d’uso di artificial intelligence è volto a indirizzare una tematica abbastanza specifica. Questo implica che il dato da utilizzare è anch’esso abbastanza mirato. Dal sistema si riesce a pescare e utilizzare una porzione del dato corposa in termini di volumi, ma mirata in termini di ambito” spiega Verdelli.

Ci sono però altre situazioni dove algoritmi più olistici devono andare a unire molteplici informazioni da diverse sorgenti dato e trovare una correlazione che prima veniva ignorata. “Sono situazioni in cui avere una data platform è un valore aggiunto molto importante. Sicuramente l’organizzazione del dato, la sua strutturazione in un posto centrale sono elementi che catalizzano questo tipo di iniziative, che diversamente verrebbero bloccate o messe in discussione a monte. A fronte di dati spezzettati, infatti, ci si troverebbe di fronte a un effort di costo, di tempo, che riduce il ritorno dell’investimento” conclude.

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