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Artificial General Intelligence: come definirla e come raggiungerla

Se con l’idea di una intelligenza artificiale che supera l’uomo nello svolgere solo singoli compiti oggi abbiamo ormai familiarità, più complesso è immaginare che essa sia in grado di uguagliarci se non di superarci spaziando in diversi campi senza dover ogni volta essere riprogrammata. Per ora non è ancora stata raggiunta ma ha già un nome, è l’artificial general intelligence. Non c’è convergenza tra gli esperti sulla velocità con cui saremo in grado di svilupparla ma è importante pensare fin da ora al suo possibile impatto mentre si ipotizzano diverse strade di ricerca da intraprendere.

Pubblicato il 29 Giu 2021

artificial general intelligence

C’è chi sostiene che non arriverà entro questo secolo e chi invece pensa che l’artificial general intelligence (AGI) sia a portata di mano, le multiformi definizioni che se ne danno non favoriscono una chiara presa di posizione della comunità scientifica. Un punto da cui partire per esplorare questa tecnologia che interroga anche filosofi e sociologi oltre che scienziati, può essere il suo posizionamento all’interno dell’Hype Cycle for Artificial Intelligence 2020 di Gartner.

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Nell’edizione 2020 l’artificial general intelligence ha appena imboccato l’innovation trigger ovvero la fase di lancio di una innovazione o, come in questo caso, quella del semplice annuncio con un target di audience che non supera il 5% e un tempo è previsto per il raggiungimento della “plateau di productivity” di oltre 10 anni. E’ la stessa identica posizione in cui figurava nell’edizione del 2019: al contrario di altre forme di intelligenza artificiale, non ha mostrato avanzamenti restando un’idea ma comunque sempre al centro di un dibattito che interroga tutti sul rapporto tra uomo e macchine.

Artificial general intelligence: definizione e test

Per descrivere l’artificial general intelligence è necessario rifarsi al concetto di efficiente ottimizzazione interdisciplinare perché si tratta di una forma di intelligenza artificiale in grado di risolvere problemi di molteplice natura e di raggiungere obiettivi ambiziosi in ambienti complessi usando risorse computazionali limitate senza bisogno di essere riprogrammata da capo ogni volta, come invece avviene con gli algoritmi di AI con cui siamo abituati ad avere a che fare.

Una macchina dotata di AGI imita i comportamenti e la capacità umana di imparare e applicare quanto imparato spaziando in diverse situazioni, ciò richiede un livello di comprensione degli esseri umani e di apprendimento esperienziale ancora ben lontano da quello raggiunto. Breve o lunga che sia la strada per arrivare realizzare un dispositivo dotato di artificial general intelligence, sono stati già ipotizzati dei criteri per poterlo considerare soddisfacente, si tratta di ipotesi e proposte che cercano di formalizzare una definizione operativa dell’AGI. Eccoli in ordine crescente di severità.

    1. Test di Turing: chiamato anche “il gioco dell’imitazione”, si svolge fra tre partecipanti, un uomo (A), una donna (B) e una terza persona (C) e il cui sesso è ininfluente ai fini del risultato). C deve indovinare il sesso di A e B mentre A cerca di ingannarlo e B di aiutarlo. Mettendo una macchina pensante al posto di A se le risposte di C non cambiano, allora siamo in presenza di AGI. Questo criterio si è dimostrato debole perché già chatbot storici come Eliza e Parry hanno superato il test.
    2. Test del caffé: si misura la capacità di fare il caffè in piena autonomia, entrando in una casa e compiendo passo dopo passo tutte le azioni che compirebbe una persona.
    3. Test dello studente universitario robotico: una prova di intelligenza che prende come riferimento la selezione universitaria per identificare l’intelligenza artificiale pretendendo che sia in grado di seguire le lezioni e ottenere la laurea.
    4. Test occupazionale: suggerito da Nils Nilsson, uno dei ricercatori fondatori dell’IA, questo test “pretende” che l’AGI sia in grado di svolgere “lavori economicamente importanti”. Una definizione che ha lasciato molti dubbi, considerata ingiusta e a tratti ingannevole.

Cosa deve fare l’AGI per essere AGI

Per comprendere sempre meglio la complessità legata al raggiungimento di una vera artificial general intelligence comparabile a quella umana, si guarda alle capacità che dovrebbe padroneggiare per rispondere a tali aspettative.

Comprensione del linguaggio naturale

Le competenze e le conoscenze umane sono trasmesse attraverso le parole dette ma anche tramite libri, articoli, blog, video, podcast, tutte fonti di informazione che l’AGI dovrà mostrarsi in grado di comprendere pienamente. Ciò non significa solo memorizzare e analizzare ma capire e interpretare con “buon senso”, proprio quello che oggi manca anche ad ammirabili tentativi come GPT-3 di OpenAI.

Percezione sensoriale

Non mancano i progressi nella computer vision grazie al deep learning ma i sistemi di AI non sono ancora in grado di replicare il grado di percezione umana di suoni e colori, ad esempio. Lo si vede con i sistemi di auto a guida autonoma, che in presenza di adesivi su un segnale di stop rosso faticano a riconoscerlo con chiarezza, o nell’ascoltare qualcuno che parla al telefono: una persona può essere in grado di intuire dal sottofondo dove si trova, una macchina intelligente non ancora.

Abilità motorie fini

Molti sono gli studi, e anche i progressi, registrati sulla manualità dei robot soprattutto grazie al reinforcement learning ma si è ancora ben lontani dal simulare la destrezza con cui un essere umano maneggia oggetti anche complessi. I test vengono spesso eseguiti con il cubo di Rubik.

Ai debole e AI super: il prima e il dopo dell’artificial general intelligence

Classificando le diverse tecnologie di AI in base alla loro capacità di imitare le caratteristiche umane, si può immaginare una scala a tre livelli in cui al secondo gradino c’è l’artificial general intelligence, i restanti due sono occupati dall’intelligenza artificiale debole (weak AI) e dalla super intelligenza artificiale.

La prima rappresenta di fatto l’unico livello già raggiunto fino ad oggi e si focalizza sullo svolgimento di compiti singolari come il riconoscimento facciale, il riconoscimento vocale, la guida di una macchina o la ricerca su internet. Compiti che svolge egregiamente grazie al deep learning ma che non possono essere ampliati o sommati ad altri.

Con la super intelligenza artificiale si passa nel campo delle ipotesi immaginando macchine che un giorno diventeranno non solo in grado di passare da un compito all’altro con disinvoltura come l’AGI, ma anche consapevoli di sé e più abili e intelligenti delle persone in tutti i campi, matematica, scienza, sport, arte, medicina, hobby, relazioni emotive, tutto.

A questo tipo di fantasie sono legate anche paure e interrogativi: anche se ben lontani dal realizzare macchine dotate di super intelligenza artificiale, c’è già chi si domanda come si comporterebbero se fossero programmate per fare qualcosa di devastante o per fare qualcosa di benefico, ma sviluppando un metodo distruttivo per raggiungere l’obiettivo. Alle generazioni di scienziati che si troveranno (forse) a lavorare concretamente su questo tipo di AI resta un alert: sarà necessario appurare che gli obiettivi e i metodi dell’AI super intelligente siano allineati ai nostri vista l’efficienza e la risolutezza con cui sarebbe in grado di operare.

Artificial General Intelligence: opinioni e next step

Entro il 2030 (25% di possibilità) o entro il 2040 (50% di possibilità) potremmo essere in grado di raggiungere un’AI di livello umano secondo Richard Sutton, illustre ricercatore presso DeepMind e professore di informatica all’Università di Alberta. Una previsione completamente fuori strada secondo Rodney Brooks, robotico del MIT e co-fondatore di iRobot, convinto che l’AGI non arriverà prima dell’anno 2300. Non sono solo i titoli di giornale a confondere le idee, c’è un aperto dibattito all’interno della comunità scientifica sulla realizzazione dell’artificial general intelligence ma in molti sono dell’idea che, al di là della tempistica incerta, dati gli effetti dirompenti che potrà avere, è importante non sottovalutarla e già da subito tenerne presente caratteristiche, limitazioni, meccanismi e possibili impieghi.

In parallelo al dibattito etico e filosofico si dipana anche quello scientifico in cui ci si interroga su quali siano le sperimentazioni da effettuare per avvicinarsi all’artificial general intelligence. Una di quelle intraprese utilizza il transfer learning per permettere alle AI di conservare parte dell’addestramento utilizzato per un compito anche per apprenderne uno nuovo, mentre resta il dilemma tra AI simbolica e machine learning. La prima si basa sul fatto che la mente umana manipola simboli per elaborare le informazioni che riceviamo attraverso i nostri sensi, per ragionare e prendere decisioni. Funziona solo finché un compito è codificabile in regole, però, e non è in grado di contemplare la reale confusione che c’è nel mondo “vero”. Con il machine learning i sistemi di AI sviluppano il loro comportamento attraverso l’esperienza, un approccio perfetto per trattare dati disordinati e non tabellari, come foto e file audio, e per gestire le incertezze e i repentini cambiamenti ma non certo per generalizzare le proprie capacità e imparare a ragionare sul mondo come fanno gli umani. Replicando componenti separate e differenti dell’intelligenza umana, AI simbolica e machine learning divisi difficilmente porteranno alla creazione di un’intelligenza artificiale generale, motivo per cui uno degli approcci più incoraggianti è quello ibrido, una combinazione di reti neurali e sistemi basati su regole che unisca la forza di entrambi aprendo la strada all’intelligenza artificiale generale.

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