Le statistiche dimostrano quanto il trend della cloud repatriation sia ancora molto attuale. Secondo lo State of Cloud Computing 2025 di Parallels, infatti, l’86% delle aziende sta valutando o pianificando il parziale spostamento di workload dal cloud pubblico ad altri ambienti; il trend trova inoltre riscontro anche in Italia, laddove l’Osservatorio del Politecnico di Milano ha registrato un netto aumento d’interesse verso la repatriation, con il 35% delle organizzazioni che sta valutando progetti in tal senso, contro il 20% dell’anno precedente.
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Il volto maturo del Cloud: l’approccio workload-first
La transizione non va letta come un ripensamento del ruolo del cloud, che continua ad essere il principale abilitatore della AI-transformation, bensì come una correzione strutturale da un modello cloud-first – incentrato sulle infrastrutture e i servizi degli hyperscaler globali – ad architetture più flessibili, ibride e coerenti con le priorità di business, di compliance e controllo. Non a caso, la ricerca di Parallels afferma che solo il 14% delle imprese prevede di riportare i workload on-premises, a testimonianza del fatto che il modello non si sta ribaltando, ma affinando.
Massimo Bandinelli, Marketing Manager di Aruba Cloud, tra i principali provider europei di soluzioni cloud, spiega che «quello a cui stiamo assistendo è il passaggio a un approccio workload-first, che assegna a ciascun carico di lavoro l’ambiente più adatto in base a valutazioni di affidabilità, compliance e costi. Si tratta di un significativo cambio di prospettiva rispetto al tradizionale cloud-first perché, complici la crescita delle competenze e una maggiore consapevolezza strategica da parte delle imprese, oggi una repatriation permette di sfruttare tutta la flessibilità che il cloud promette fin dagli albori». In termini pratici, oggi con la repatriation le aziende rivedono in modo profondo e granulare la distribuzione dei carichi di lavoro tra ambienti pubblici e privati, assegnando a ciascuno quello più adatto rispetto agli obiettivi di business e sfruttando al massimo i benefici dei modelli ibridi, multicloud ed edge-to-cloud.
Le tre sfide che guidano la Cloud Repatriation
Questa fase di maturazione del cloud è il risultato di un’evoluzione progressiva. Inizialmente, la spinta verso la repatriation era la risposta a un’esigenza concreta: recuperare controllo e trasparenza sui costi del cloud, spesso percepiti come difficili da prevedere e ottimizzare. Con il tempo, a questo primo driver si sono aggiunte considerazioni legate alle performance e alla sovranità digitale, anche in reazione al mutato contesto geopolitico.
Cloud Waste: l’insostenibile leggerezza dei costi variabili
Il cloud waste, ovvero lo spreco di risorse cloud acquistate ma non utilizzate, ha assunto negli anni proporzioni rilevanti. Secondo un’analisi di Broadcom, il 49% delle aziende ritiene di sprecare oltre un quarto della propria spesa in cloud, e per il 31% delle imprese questa quota supera addirittura il 50%. D’altronde, in un modello pay-per-use, la flessibilità può rapidamente trasformarsi in inefficienza se non accompagnata da una governance solida e da adeguati strumenti di controllo. L’eccesso di risorse inattive, i costi legati alla portabilità (egress fee) e la rigidità dei contratti hanno spinto alcune organizzazioni a rivedere la propria strategia infrastrutturale, dando di fatto il via al trend della repatriation.
Performance: quando il Public Cloud, da solo, non basta
Nel tempo si sono aggiunte tante altre cause. Tra queste, l’ottimizzazione delle performance è diventata prioritaria, poiché un’infrastruttura privata consente un livello di fine tuning più preciso sulle risorse e garantisce performance eccellenti in termini di latenza e continuità operativa. Non è un caso che oggi il cloud privato – peraltro in forte espansione anche in Italia – venga scelto spesso per ospitare processi mission-critical, ovvero attività la cui interruzione genera impatti diretti e misurabili su produttività, sicurezza, compliance e/o relazione con il cliente.
Compliance e sovranità digitale
Negli ultimi anni, poi, è emersa con forza una nuova priorità: la sovranità digitale. La crescente pressione normativa (dal GDPR al Data Act) e complessità geopolitica hanno reso evidente la necessità, sia per le imprese che per le organizzazioni pubbliche, di avere pieno controllo sulla residenza, giurisdizione e accessibilità dei propri dati. In questo contesto, il private cloud – in-house o hosted presso provider locali – rappresenta una risposta ideale perché garantisce certezza di data residency e autonomia operativa. Il private cloud, spesso integrato in modelli ibridi, va nella direzione della compliance by-design.
Perché Aruba Cloud abilita una strategia (ibrida) vincente
La cloud repatriation parte dalla consapevolezza che non esiste una soluzione cloud unica e valida per ogni tipo di applicazione, dato e workload.
Secondo Massimo Bandinelli, «Scegliere il posizionamento più adeguato di ciascun workload o applicazione è diventato essenziale perché ognuno di essi è soggetto a requisiti di conformità, performance e sovranità differenti. Questa scelta richiede non solo competenze specialistiche, ma soprattutto una strategia ad hoc, che valuti in modo oggettivo fattori come la criticità di ogni workload, il grado di protezione richiesto dalle diverse tipologie di dati, la prevedibilità dei costi e la capacità di integrazione tra ambienti diversi. Solo così il modello workload-first può portare valore concreto al business».
Inoltre, una strategia efficace non può prescindere dalla possibilità di rivedere il posizionamento dei workload nel tempo, evitando situazioni di lock-in e garantendo la flessibilità necessaria per adattarsi a nuove esigenze o condizioni di mercato.
Aruba Cloud affianca le organizzazioni pubbliche e private nei percorsi di cloud repatriation verso ambienti progettati su misura, che rispondono alle esigenze di ogni applicazione e carico di lavoro in termini di compliance, sicurezza e performance.
Per ottenere questo risultato, Aruba Cloud mette a disposizione di imprese e organizzazioni pubbliche la propria infrastruttura certificata – un network europeo di data center in grado di garantire sovranità by design – e un ecosistema integrato di competenze e servizi, che spaziano dalla consulenza strategica fino all’implementazione e alla gestione continuativa delle soluzioni, nel rispetto di SLA sfidanti e coerenti con i requisiti dei processi mission-critical.
L’impiego di tecnologie open source, un catalogo di servizi che include sicurezza, business continuity e monitoraggio costante dell’infrastruttura e modelli di pricing trasparenti completano un’offerta che si presta (anche) a progetti avanzati di repatriation, con cui le organizzazioni non solo ottimizzano l’esistente, ma costruiscono le basi infrastrutturali del cloud del futuro.











