Le imprese italiane stanno sperimentando l’intelligenza artificiale in modo diverso e in forme diverse a seconda dei settori industriali. Tra i progetti in fase di POC o già in produzione, nel manufacturing prevalgono i casi di demand forecasting e manutenzione predittiva, nel marketing quelli legati ai motori di raccomandazione e ai contenuti generativi, nel customer service chatbot e assistenti virtuali, nelle HR strumenti di screening e training personalizzato. È quanto emerge dalla ricerca SDA Bocconi “L’intelligenza artificiale come leva per le piattaforme gestionali: criticità e opportunità”, realizzata con SAP e i partner Altea, Avvale, Derga e Horsa. La fotografia degli analisti è chiara: non esiste un modello unico di adozione. Il salto di qualità si compie solo quando l’AI viene adattata alle logiche specifiche di ogni settore, trasformando i POC in progetti capaci di incidere davvero sui processi core. È qui che la personalizzazione diventa la vera discriminante tra progetti pilota destinati a fermarsi e soluzioni capaci di generare valore continuo.

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L’AI non è un prodotto, è un progetto
L’eterogeneità delle sperimentazioni fotografata dalla ricerca SDA Bocconi mette in luce come ogni impresa stia seguendo un suo percorso. E i risultati dipendono dal grado di maturità digitale raggiunto, dagli obiettivi che l’azienda si pone e dai vincoli che caratterizzano ciascun settore. Il punto di attenzione è che l’intelligenza artificiale non è un prodotto. È il risultato di un progetto che va realizzato quanto più possibile a misura di azienda. L’AI funziona in modo efficace se viene calata in un impianto operativo fatto di obiettivi misurabili, processi mappati, responsabilità chiare e metriche di controllo. Solo così la tecnologia diventa una leva di valore. Per attivarla bisogna avviare un percorso che dal dato arrivi al processo e alla decisione, orchestrando persone, competenze e accountability. In sintesi, l’AI è prima di tutto organizzazione e metodo: obiettivi, processi, responsabilità e metriche. La tecnologia viene dopo.
«Oggi tutti parlano di AI ma prima di tutto va chiarita la semantica: oggi sotto l’etichetta AI rientrano cose molto diverse – spiega Alexander Gallmetzer, CEO di Derga Consulting -. C’è chi parla di algoritmi predittivi, chi di agenti generativi, chi di moduli già integrati nei gestionali. Proprio per questo non esiste uno strumento standard che semplicemente acceso. Bisogna partire sempre dall’analisi dei processi e delle persone. Va bene sperimentare, perché serve a creare cultura, ma se si vuole scaricare a terra un risultato servono metodo, obiettivi condivisi e una roadmap concreta. Per farlo bisogna conoscere il linguaggio dei processi, affrontare i pain reali delle aziende e co-disegnare soluzioni che abbiano senso operativo per ognuna di loro. Senza questo lavoro preliminare, i progetti restano confinati a proof of concept».

Approcci diversi, stessa criticità: la mancanza di metodo
In sintesi, l’implementazione corretta dell’AI in azienda richiede il presidio di numerosi aspetti, di natura tecnologica, organizzativa e legale. A questo proposito SDA Bocconi, nella rielaborazione dei dati raccolti e nella formalizzazione delle evidenze ha definito un framework che illustra le tre opzioni più ricorrenti: sviluppare in casa soluzioni proprietarie, combinare strumenti plug-and-play con supporto consulenziale, oppure attivare i moduli già inclusi nei gestionali. Percorsi diversi, che riflettono priorità e livelli di maturità differenti ma che, in assenza di una regia metodologica, spesso rischiano di rimanere esperimenti che non scalano senza incidere sui processi core. Qui fanno la differenza i partner capaci di selezionare i casi d’uso rilevanti e ancorare i progetti al perimetro gestionale dove dati e processi sono governati.

«Oggi vediamo molte aziende che vogliono costruirsi da sole la loro AI, spesso senza avere le competenze o la massa critica per farlo davvero – prosegue Gallmetzer -. Altre si affidano a un mix di strumenti plug-and-play e di supporto consulenziale, sperando che la somma funzioni. Altre ancora si limitano ad accendere quello che trovano già incluso nei loro gestionali. Tutti questi approcci hanno una loro logica, ma se manca un quadro metodologico corretto si rischia di fare tanti esperimenti che non entrano mai davvero nei processi. È proprio qui che diventa decisivo il ruolo di un partner: riportare i progetti nel perimetro gestionale, dove i dati sono affidabili e i processi tracciati per costruire insieme al cliente casi d’uso che abbiano senso operativo».

Assessment mirato per scegliere i casi d’uso rilevanti
Uno dei nodi più critici che emergono dalla ricerca SDA Bocconi non riguarda tanto l’introduzione dell’AI in azienda, quanto l’incapacità di individuare i contesti in cui può davvero generare valore. L’hype tecnologico rischia spesso di alimentare sperimentazioni numerose ma poco incisive. È fondamentale concentrare gli investimenti laddove l’impatto può essere concreto e rilevante.
«Ogni nostro progetto parte da un assessment, che non è generico ma pensato per industry – ribadisce il Gallmetzer -. Analizziamo i processi, i dati, le criticità e le opportunità per capire dove l’AI può avere senso e dove invece sarebbe solo un esercizio di stile. Non serve applicare l’AI ovunque: ci sono aree in cui non ha senso o non ci sono le condizioni per trarne valore. Il nostro ruolo è proprio questo: aiutare le aziende a distinguere, a evitare sprechi, a concentrarsi sui casi d’uso giusti. È un lavoro che richiede metodo, conoscenza dei processi e capacità di dialogare con il business, non solo con l’IT. Un esempio concreto viene dal nostro lavoro sul coding: abbiamo introdotto strumenti di AI per supportare la scrittura del codice e questo ci ha permesso di rivedere l’intero processo di sviluppo. I progetti risultano più strutturati e meno costosi, con un taglio dell’effort di sviluppo fino al 30–40%. Soprattutto, liberiamo tempo da attività ripetitive, che possiamo reinvestire sulla progettazione, sulle integrazioni e sull’accompagnamento dei clienti nei loro percorsi di innovazione».
Dal gestionale alla piattaforma: la regia che rende l’AI concreta
Un punto di attenzione importante segnalato dai ricercatori è l’opportunità di innescare un circolo virtuoso tra la quantità e qualità dei dati aziendali, ma solo a fronte della disponibilità sistematica di processi di misura e trattamento che garantiscano le caratteristiche di qualità dei dati (e.g., semantica, metodo di misura, affidabilità, precisione). In questo contesto il ruolo degli ERP è fondamentale e richiede comunque una rinnovata attenzione sui processi di implementazione (e.g., master data) e di profonda conoscenza dei domini interessati (finanza, produzione, cost accounting).
«Il gestionale per noi è la base che consente di dare concretezza ai progetti, perché è l’ambiente in cui i dati sono affidabili, i processi tracciabili e l’integrazione con le altre funzioni è garantita – sottolinea Gallmetzer -. Senza questa regia, le iniziative rischiano di rimanere esperimenti isolati; con un impianto di piattaforma, invece, l’AI può entrare nei processi core in modo scalabile, sicuro e misurabile. Da qui parte la personalizzazione: capire quali sono i pain specifici di un settore, quali decisioni devono essere supportate, quali eccezioni vanno gestite. È un lavoro che non può essere standardizzato, perché ogni industry ha logiche diverse. Con una piattaforma gestionale robusta possiamo inserire l’agente nei flussi reali, definire metriche e responsabilità e trasformarlo in un supporto quotidiano utile e funzionale».
Dai casi d’uso ai processi: perché l’AI deve essere industry-specific
Il messaggio dei ricercatori è che oggi il sistema gestionale rappresenta uno snodo critico per tradurre il potenziale dell’AI in valore. Non basta introdurre un algoritmo: occorre affrontare il nodo della qualità dei dati aziendali, integrare in modo nativo i processi e accompagnare le imprese con fornitori dotati di massa critica e competenze settoriali. È qui che si gioca la differenza tra progetti sperimentali e soluzioni scalabili e caratterizzate da coerenza operativa.
«La verticalizzazione è la chiave – puntualizza Gallmetzer -. Nel manufacturing parliamo di catene produttive e supply chain, nella PA di compliance normativa e tempi di erogazione, nel trading di rapidità decisionale. Pensare che un modello valga per tutti è illusorio. L’AI deve essere progettata per parlare il linguaggio di quell’industry. Ecco perché stanno nascendo modelli verticali, costruiti per rispondere a esigenze molto specifiche. È lì che si crea il vantaggio competitivo: nel momento in cui l’AI entra nel cuore dei processi di un settore e li fa evolvere secondo logiche che quel settore riconosce come proprie».

Competenze e cambiamento organizzativo come fattore abilitante
L’impatto dell’AI è assolutamente dirompente e richiede di introdurre ruoli e competenze nuove. Non bastano più team esclusivamente tecnici o esclusivamente di business: servono team ibridi, composti da figure capaci di coniugare skill ed expertise differenti. Data scientist e sviluppatori devono dialogare con esperti di processo, analisti funzionali e manager di linea, così da tradurre gli algoritmi in decisioni operative che abbiano senso per l’azienda. Queste squadre miste diventano il ponte tra la tecnologia e la realtà quotidiana, accelerano i tempi di risposta del business.
«Per poter parlare di AI con i clienti abbiamo dovuto cambiare anche noi come azienda – conclude Gallmetzer -. Servono competenze trasversali e tempi rapidi di risposta: la struttura deve permettere di comprendere l’esigenza e agire subito. È qui che diventa decisivo il ruolo di un partner, capace di dare coerenza e concretezza. Per questo abbiamo investito anche su noi stessi: abbiamo creato team trasversali di innovation, prevendita e delivery, capaci di contaminare competenze diverse e trasferirle ai progetti dei clienti. Ma non ci siamo fermati qui: abbiamo deciso di lavorare anche sul futuro, avviando una nostra academy per formare i giovani talenti e prepararli a lavorare con l’AI come leva strategica e non come un semplice esercizio di stile».

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