Nel dibattito sull’automazione e l’adozione dell’intelligenza artificiale nei luoghi di lavoro, l’attenzione si concentra spesso su produttività, efficienza e trasformazione digitale. Ma dietro le metriche aziendali si nasconde una dinamica più sottile e pericolosa: la perdita di continuità generazionale nelle competenze professionali. Con i professionisti più esperti in uscita e i ruoli formativi sempre più automatizzati, le aziende rischiano di trovarsi prive di una generazione intermedia in grado di portare avanti il sapere accumulato. È l’effetto combinato di due fenomeni che avanzano in parallelo: il pensionamento massivo e l’ingresso dell’AI nei ruoli entry-level.
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Il problema dei pensionamenti
La forza lavoro globale sta attraversando un mutamento strutturale. Sempre più professionisti altamente qualificati si avvicinano all’età della pensione, e molti di loro sono già in uscita. Questo trend, previsto da anni e noto come “silver tsunami”, sta ora diventando una realtà con effetti tangibili.
Secondo Emily Rose McRae, Senior Director Analyst di Gartner, il problema non risiede solo nel volume di personale che sta per lasciare il mercato del lavoro, ma nel fatto che “molte organizzazioni hanno sperato che la questione si risolvesse da sola, senza un piano di successione strutturato”. Le imprese si trovano oggi a fronteggiare una perdita netta di esperienza, know-how e leadership tacita. Il rischio più immediato è la discontinuità operativa, ma sul lungo periodo si profila un fenomeno ancora più preoccupante: l’interruzione della trasmissione del sapere.
L’AI che rimuove i ruoli formativi
Parallelamente a questa transizione generazionale, l’offerta di posizioni formative per i giovani professionisti si sta restringendo. L’intelligenza artificiale nei lavori d’ingresso sta sostituendo molte delle attività operative che costituivano il terreno di allenamento per sviluppare competenze più avanzate.
McRae spiega che i casi d’uso più efficaci dell’AI, oggi, tendono a collocarsi proprio in quelle aree in cui, fino a ieri, i junior svolgevano compiti ripetitivi ma formativi: raccolta dati, elaborazione preliminare, sintesi di contenuti. “Abbiamo preso pezzi di ruoli entry-level e li abbiamo automatizzati. Ma ora i giovani non hanno più spazio per apprendere: non sono ancora pronti per validare i risultati dell’AI, non hanno l’esperienza necessaria”.
Ciò che in prima battuta sembra un miglioramento di efficienza nasconde un effetto collaterale sostanziale: il venir meno del “campo di prova” necessario a far crescere nuove generazioni di esperti. L’automazione di questi ruoli riduce drasticamente le opportunità di fare errori, ricevere feedback e costruire competenze con gradualità.
L’effetto domino sulla pipeline di esperti
La combinazione tra pensionamenti e mancanza di ruoli intermedi genera una crisi della pipeline di talento esperto.
La questione è tanto più critica quanto più si guarda al medio-lungo periodo. Il mercato non potrà sostenersi assumendo esclusivamente profili senior o reclutando da altre aziende, perché la quantità complessiva di talenti esperti si sta riducendo.
Come osserva McRae, alcune organizzazioni hanno scelto consapevolmente di non investire più sugli entry-level, puntando invece su una strategia aggressiva di attrazione di mid-career talenti, offrendo benefit e retribuzioni competitive. Ma questa strategia è riservata a chi può permettersela. Per tutte le altre aziende, la domanda resta aperta: come colmare il vuoto?
Il rischio più grave non è solo la scarsità di personale, ma l’erosione strutturale della capacità di formare nuova expertise. La crisi non riguarda quindi solo il presente, ma il futuro stesso delle competenze professionali.
Strategie: formazione interna, crescita, mentorship
Rispondere a questa sfida richiede uno spostamento intenzionale delle risorse verso la crescita interna. L’intelligenza artificiale può coesistere con lo sviluppo dei talenti, ma ciò richiede una progettazione precisa: non basta rimuovere il lavoro operativo, bisogna sostituirlo con attività formative reali.
Gartner suggerisce di riformulare i percorsi entry-level in modo da garantire comunque occasioni di apprendimento progressivo. Ad esempio, se l’AI si occupa dell’elaborazione iniziale, ai giovani professionisti possono essere assegnati compiti di supervisione guidata, affiancamento, reverse engineering. Allo stesso tempo, è fondamentale preservare e strutturare la trasmissione di conoscenze dai senior verso le nuove generazioni, prima che il capitale umano vada disperso definitivamente.
Questo significa rafforzare i programmi di mentorship, integrare le competenze soft nei percorsi di crescita e riconoscere il valore della formazione informale. Significa anche ridurre il turn over nei ruoli chiave, per evitare la perdita prematura di quei professionisti che oggi rappresentano il ponte tra vecchie e nuove competenze.
La relazione tra intelligenza artificiale e professioni non può essere vista solo in termini di sostituzione o efficienza. Deve includere una visione strategica della crescita professionale, delle carriere e della sostenibilità del capitale umano nel lungo periodo.
Come conclude McRae: “Non basta automatizzare: bisogna capire cosa accade dopo. L’AI sta togliendo ai giovani l’occasione di diventare esperti. Serve un nuovo patto generazionale, progettato a monte”.