Il linguaggio della sicurezza informatica non parla più solo di firewall o vulnerabilità, ma di bilanci, impatti economici e probabilità di perdita. La trasformazione della cybersecurity in una disciplina misurabile ha reso possibile trattarla come una componente del rischio d’impresa, al pari della continuità operativa o del credito. È quanto emerge dal dibattito tra gli esperti di CyLock durante il webinar “Puoi controllare solo ciò che puoi misurare. La Cyber Risk Investigation: identifica, misura, controlla”, dove il tema centrale è stato la valutazione economica del rischio informatico e la misurazione del costo della cybersecurity come elemento di governance.
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Dal rischio tecnico al rischio di business
La principale novità culturale che attraversa il mondo della sicurezza digitale è il riconoscimento che ogni minaccia informatica ha un costo misurabile. Non solo in termini di danni diretti — come la perdita di dati o l’interruzione dei servizi — ma anche per le conseguenze indirette: reputazione, fiducia dei clienti e valore del marchio.
Come spiegato da Diego Padovan, fondatore di CyLock, la misurazione del rischio serve a fornire una «fotografia chiara e quantitativa delle informazioni, indicando quanto esse siano utili per un attaccante e quale impatto economico potrebbero generare». In altre parole, la sicurezza non è più vista come un insieme di procedure tecniche, ma come una variabile economica.
Misurare il rischio permette di definire priorità e investimenti: quanto conviene proteggere un determinato asset? Quanto costerebbe, invece, la sua compromissione? La risposta a queste domande trasforma il concetto di “spesa IT” in investimento di riduzione del rischio, un approccio sempre più diffuso nei framework internazionali.
Quantificare l’impatto: il modello FAIR e la logica della probabilità
La quantificazione del costo della cybersecurity si fonda su modelli matematici che uniscono dati empirici e probabilità. Durante il webinar è stato illustrato l’utilizzo del framework FAIR (Factor Analysis of Information Risk), che rappresenta oggi lo standard di riferimento globale per tradurre la minaccia informatica in perdita economica stimata.
Padovan ha spiegato che il modello si basa su una formula elementare ma efficace: impatto per probabilità. L’impatto misura il valore economico dell’asset minacciato, mentre la probabilità deriva dall’analisi dei dati di vulnerabilità e dall’esposizione effettiva dell’azienda. Questo approccio consente di passare dalla percezione soggettiva del rischio a un sistema di valutazione comparabile, capace di restituire range di perdita potenziale.
L’adozione del modello FAIR è accompagnata da riferimenti a framework consolidati come ISO 31000 e NIST, che offrono metodologie per la gestione del rischio aziendale e la classificazione degli asset informatici. Il risultato è un linguaggio comune tra esperti di sicurezza e responsabili finanziari: una stima numerica che consente di trattare la cybersecurity con gli stessi strumenti della pianificazione economica.
I numeri del rischio: dal benchmark di settore al danno potenziale
Un altro elemento essenziale per stimare il costo della cybersecurity è il confronto di settore. Attraverso i dati raccolti dal Rapporto Clusit, è possibile conoscere la frequenza e la tipologia degli attacchi che colpiscono ciascun comparto economico.
Padovan ha ricordato che «il 7,5% delle aziende di un determinato settore in Italia ha subito un attacco informatico documentato», una percentuale che costituisce la base di probabilità per la stima del rischio. Incrociando questo dato con l’esposizione reale dell’azienda (valutata attraverso indicatori di vulnerabilità pubblica e informazioni recuperate nel web) si ottiene una misura di rischio specifica.
Nel caso mostrato dai relatori, un’azienda target presentava una probabilità di data breach del 15%, quasi il doppio rispetto alla media di settore. Tale dato, integrato con il modello FAIR, permette di stimare l’impatto economico potenziale dell’incidente. Secondo quanto emerso, l’impatto viene distinto in costi diretti, come la gestione dell’incidente e le sanzioni, e costi indiretti, legati alla reputazione e alla perdita di clienti.
«I costi indiretti sono spesso più gravi di quelli immediati» — ha spiegato Marco Raimondi, Head of Cyber Security — «perché incidono sulla percezione di affidabilità e sulla capacità dell’azienda di mantenere il proprio posizionamento nel tempo». La differenza tra costo immediato e danno reputazionale, infatti, è ciò che spinge le imprese a considerare la sicurezza come parte della propria continuità operativa.
Dal bilancio alla strategia: il costo della cybersecurity come investimento
Riconoscere il costo della cybersecurity come voce di bilancio significa attribuirgli lo stesso valore strategico di un piano di investimento. Secondo i dati e gli esempi discussi nel corso del webinar, il calcolo del rischio economico consente di stabilire la soglia oltre la quale la mancata protezione diventa antieconomica.
Le aziende che adottano un modello di quantificazione possono confrontare l’entità della spesa in sicurezza con il costo potenziale del danno, ottenendo così un ROI della prevenzione cyber. Questo tipo di analisi, un tempo riservato ai settori finanziari o industriali, sta diventando centrale anche nella gestione IT.
La prospettiva cambia radicalmente: non si tratta più di decidere “quanto spendere” per la sicurezza, ma di valutare quanto si risparmia evitando un incidente. La differenza sta nella capacità di tradurre i rischi in numeri, offrendo così al board aziendale un parametro concreto per la pianificazione. È una visione che trasforma la cybersecurity in un abilitatore economico, non in un costo passivo.
I fattori che determinano il costo reale della sicurezza
La stima del costo della cybersecurity non è uniforme per tutte le organizzazioni. Come sottolineato dai relatori, il valore dipende da variabili quali la dimensione aziendale, la quantità di asset digitali esposti, la sensibilità dei dati trattati e la frequenza delle interazioni con fornitori esterni.
L’inserimento della Partita IVA tra i parametri di analisi, ad esempio, serve a individuare il settore di appartenenza e la scala economica dell’impresa, due elementi cruciali per stimare l’impatto potenziale. «Più un’azienda è esposta e gestisce informazioni sensibili, più aumenta la probabilità che un attacco abbia un effetto economico rilevante» — ha osservato Padovan.
A influenzare il costo complessivo contribuiscono anche le politiche di remediation. Gli interventi di breve periodo (come patching e rafforzamento delle difese) hanno costi immediati ma misurabili; quelli di lungo termine, legati alla formazione, alla governance e alla resilienza organizzativa, costituiscono invece un investimento duraturo.
La combinazione di queste spese definisce il costo totale di proprietà della sicurezza, un indicatore sempre più richiesto dalle direzioni finanziarie e dagli auditor.
Verso una contabilità del rischio
L’evoluzione della sicurezza digitale procede nella direzione di una contabilità del rischio, dove ogni vulnerabilità ha un valore economico associato. La valutazione del costo della cybersecurity permette di superare l’approccio basato sulla paura, sostituendolo con uno fondato sulla misurazione.
Le metriche quantitative rendono la conversazione tra CISO, CFO e CEO più trasparente, consentendo di definire soglie di accettabilità e priorità di spesa. In questa prospettiva, la cybersecurity non è più solo una funzione tecnica ma un fattore di governance, integrato nei processi di controllo e pianificazione finanziaria.
Come ha ricordato Raimondi, l’obiettivo è «guidare chi prende decisioni a scegliere in modo chiaro, semplice e trasparente, partendo da una misurazione oggettiva del rischio». È questo, in definitiva, il passaggio che segna la maturità del settore: trattare la sicurezza informatica non come una reazione all’incidente, ma come una componente prevedibile e quantificabile del rischio aziendale.
























