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Smart working 2019: ecco a che punto siamo in Italia

Il numero degli smart worker italiani va crescendo, nel 2019 sono 570mila: tutti i dati dell’Osservatorio Smart working del Polimi

Pubblicato il 15 Nov 2019

I dati sullo Smart working 2019

Nel 58% delle grandi imprese si adotta lo smart working. È quanto emerge dall’Osservatorio Smart working 2019 della School of Management del Politecnico di Milano.

“Nel 2019 lo Smart working non è solo una moda – ha affermato Mariano Corso, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Smart working – è un cambiamento che risponde alle esigenze delle persone, delle organizzazioni e della società nel suo complesso, e come tale è un fenomeno inarrestabile. La dinamica con cui sta crescendo nel nostro Paese tuttavia, non è abbastanza veloce. In realtà importanti per l’economia del nostro sistema Paese come PMI e PA la diffusione dello Smart working non è ancora sufficiente. Questo limita la portata del contributo che lo Smart working può dare per rendere più moderno il mercato del lavoro, le imprese e le PA più competitive e attrattive e le nostre città più inclusive e sostenibili. Per le PA, in particolare, è necessario un rapido cambio di passo soprattutto per non perdere l’opportunità di migliorare la motivazione delle proprie persone e per attrarre nuovi talenti, soprattutto in relazione alla necessità di sostituire circa il 15% del personale nei prossimi 3-4 anni”.

“Per praticare davvero lo Smart working – ha aggiunto Fiorella Crespi, Direttore dell’Osservatorio Smart working – occorre superare l’associazione che sia solo lavoro da remoto, ma interpretarlo come un percorso di trasformazione dell’organizzazione e della modalità di vivere il lavoro da parte delle persone. Sono ancora poche le organizzazioni che lo interpretano come una progettualità completa, che passa anche dal ripensamento degli spazi e da un nuovo modo di lavorare basato sulla fiducia e la collaborazione. Agire sulla flessibilità, responsabilizzazione e autonomia delle persone significa trasformare i lavoratori da ‘dipendenti’ orientati e valutati in base al tempo di lavoro svolto a ‘professionisti responsabili’ focalizzati e valutati in base ai risultati ottenuti. Fare Smart working a un livello più profondo significa fare un ulteriore passo oltre, lavorando sull’attitudine e i comportamenti delle persone promuovendo un pieno engagement per far sì che i lavoratori diventino veri e propri ‘imprenditori’ con un’attitudine all’innovazione e alla creatività”.

Quanti sono gli smart worker in Italia?

Gli smart worker, quei lavoratori dipendenti che godono di flessibilità e autonomia nella scelta dell’orario e del luogo di lavoro, disponendo di strumenti digitali per lavorare in mobilità, sono ormai circa 570mila, in crescita del 20% rispetto al 2018. Come anticipato, nel 2019 la percentuale di grandi imprese che ha avviato al suo interno progetti di Smart working è del 58%, in lieve crescita rispetto al 56% del 2018. A queste percentuali vanno aggiunte un 7% di imprese che ha già attivato iniziative informali e un 5% che prevede di farlo nei prossimi dodici mesi. Del restante 30%, il 22% dichiara probabile l’introduzione futura e soltanto l’8% non sa se lo introdurrà o non manifesta alcun interesse. A fronte di questa crescita modesta, c’è da registrare un aumento di maturità delle iniziative, che abbandonano lo stato di sperimentazione e vengono estese ad un maggior numero di lavoratori: circa metà dei progetti analizzati è già a regime e la popolazione aziendale media coinvolta passa dal 32% al 48%.

Tra le PMI c’è un aumento della diffusione dello Smart working nel 2019: i progetti strutturati passano dall’8% dello scorso anno al 12% attuale, quelli informali dal 16% al 18%, ma aumenta in modo preoccupante anche la percentuale di imprese disinteressate al tema (dal 38% al 51%).

Dati dello smart working 2019
La diffusione delle iniziative di smart working nelle pubbliche amministrazioni. Fonte: Osservatorio Smart Working promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano

È tra le Pubbliche Amministrazioni che si registra la crescita più significativa: in un anno nel settore pubblico raddoppiano i progetti strutturati di Smart working (passando dall’8% al 16%), il 7% delle PA ha attivato iniziative informali (l’1% del 2018), il 6% le avvierà nei prossimi dodici mesi. Le più avanzate sono le PA di grandi dimensioni, che nel 42% dei casi hanno già introdotto iniziative strutturate e nel 7% hanno attivato iniziative informali. Nonostante questi dati incoraggianti, il ritardo resta evidente, con quasi 4 PA su 10 che non hanno progetti di Smart working e sono incerte (31%) o addirittura disinteressate (7%) rispetto alla sua introduzione. Va inoltre sottolineato come i progetti di Smart working nelle PA risultino ancora limitati in termine di diffusione interna poiché coinvolgono mediamente il 12% della popolazione dell’amministrazione, percentuale radicalmente diversa a quella delle imprese private e vicina al 10% che la direttiva Madia definiva come limite inferiore all’adozione. Questo dato sembra testimoniare come, pur essendosi finalmente attivate, molte PA abbiano seguito un approccio di mero adempimento normativo.

Come è gestito lo Smart working nel 2019 nelle aziende grandi, piccole e nella PA

Nel 2019 lo Smart working non è più una novità per le grandi realtà del settore privato e le principali evoluzioni oggi riguardano gli obiettivi per cui si attivano queste iniziative. Il primo per le aziende è il miglioramento dell’equilibrio fra lavoro e vita privata dei lavoratori, indicato dal 78% del campione, seguito dalla capacità di attrarre e coinvolgere i talenti (59%) e dal desiderio di assicurare un maggiore benessere organizzativo (46%). Sono sempre meno le realtà che non dimostrano interesse per le iniziative di Smart working: il 22% è possibilista su un’introduzione futura e solo l’8% non sa se ci sarà in futuro o è disinteressata. I principali ostacoli restano la mancanza di interesse e le resistenze dei capi (50%) e i timori per la sicurezza dei dati e le attività poco digitalizzate (entrambe al 31%). Cala invece tra gli ostacoli la “mancanza di consapevolezza sui benefici derivanti dai progetti di Smart working”, che passa dal 48% del 2018 al 27% di quest’anno, segno di una crescente conoscenza e chiarezza degli effetti positivi raggiunti in tante organizzazioni.

I Dati smart working 2019
La diffusione delle iniziative di smart working nelle piccole e medie imprese. Fonte: Osservatorio Smart Working promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano

Nelle grandi imprese è già a regime quasi la metà dei progetti strutturati di Smart working (49%), mentre il 36% sta estendendo la possibilità di adesione a un maggior numero di dipendenti; solo il 15% ha avviato progetti da poco e si trova in una fase di sperimentazione. Nella metà dei progetti strutturati (50%), però, lo Smart working è concepito solo come lavoro da remoto, mentre la restante parte adotta un modello più completo che prevede, oltre alla flessibilità di luogo e orario, anche il ripensamento degli ambienti in ottica di ufficio smart.

Per quanto riguarda il numero di giornate da remoto, la scelta più frequente consiste nella possibilità di lavorare da remoto 4 giorni al mese, in un quarto dei casi 8 giorni al mese, solo il 10% permette di lavorare da remoto senza vincoli. Le aziende con progetti avviati da meno di tre anni prevedono principalmente 4 giornate al mese (53%) o 2 (12%), mentre quelle che hanno avviato lo Smart working da più tempo consentono un maggior numero di giornate per il lavoro da remoto e, nel 17% dei casi tolgono ogni vincolo a priori (contro il 6% delle realtà con progetti più recenti). In merito alla flessibilità di luogo, il 40% permette ai dipendenti di lavorare da qualsiasi luogo, ma l’opzione più diffusa è l’abitazione del dipendente (98%), seguita da altre sedi aziendali (87%), spazi di coworking (65%), luoghi pubblici (60%) e presso clienti o fornitori (56%).

Nelle PMI la diffusione delle iniziative di Smart working cresce dall’8% di progetti strutturati dello scorso anno al 12%, ma si continua a prediligere l’approccio informale, che cresce dal 16% al 18%, anche in relazione alla minor complessità organizzativa. Le motivazioni che guidano l’attivazione dei progetti sono soprattutto il miglioramento del benessere organizzativo, indicato da un’impresa su due, e il miglioramento dei processi aziendali (26%). Fra le ragioni che invece inducono il 51% delle PMI a non mostrare interesse spiccano la difficoltà di applicare questo modello alla propria realtà (68%) e la resistenza dei capi (23%). Dati che si spiegano col fatto che in queste organizzazioni lo Smart working viene ancora associato alla sola possibilità di lavorare da casa e di conseguenza viene percepito come un modello irrealizzabile nei settori dove la presenza fisica del dipendente è ritenuta indispensabile, come il commercio o la manifattura. I soggetti più coinvolti per l’introduzione dello Smart working nelle PMI sono coloro che si occupano di gestione personale (nel 56% dei casi), la proprietà (31%) e la direzione IT (30%). Tra le azioni avviate a supporto dello Smart working le più diffuse sono la formazione per i manager sugli stili di leadership e le modalità di gestione delle persone (66%) e le attività di comunicazione per spiegare le policy e gli aspetti più operativi delle iniziative (59%).

Nonostante un raddoppio dei progetti strutturati rispetto al 2018, lo Smart Working nelle PA è un fenomeno ancora insufficientemente diffuso, in cui la percezione di inapplicabilità risente molto dell’associazione tra Smart Working e lavoro da remoto. I progetti di Smart Working nel settore pubblico coinvolgono mediamente solo il 12% dei dipendenti, livello vicino al 10% che la direttiva Madia definiva come limite inferiore all’adozione, a dimostrazione di come le PA si siano limitate all’adempimento normativo. Il limitato livello di comprensione del pieno significato dello Smart working in questo settore e la sua sostanziale associazione a un puro strumento di conciliazione, si deduce anche dal fatto che la selezione delle persone da coinvolgere nel progetto è avvenuta considerando principalmente le esigenze familiari, come per esempio i rientri dalla maternità (nel 70% delle PA) o la presenza di disabilità o familiari a carico (57%) e, solo in seconda battuta, tenendo conto delle caratteristiche delle attività svolte dalla persona (57%).

Una migliore conciliazione fra vita privata e professionale (78% del campione), un maggior benessere organizzativo (71%) e l’aumento della produttività e qualità del lavoro (62%), sono le prime motivazioni che spingono le PA ad adottare progetti di Smart working. Le barriere indicate sono invece la percezione che non sia applicabile alla propria realtà (43%), la mancanza di consapevolezza dei benefici ottenibili (27%) e la presenza di attività poco digitalizzate, vincolata all’utilizzo di documenti cartacei e alla tecnologia inadeguata (21%).

Smart working, ecco i benefici secondo le organizzazioni

Secondo le organizzazioni, i principali benefici riscontrati dall’adozione dello Smart working sono il miglioramento dell’equilibrio fra vita professionale e privata (46%) e la crescita della motivazione e del coinvolgimento dei dipendenti (35%). Ma la gestione degli smart worker presenta secondo i manager anche alcune criticità, in particolare le difficoltà nel gestire le urgenze (per il 34% dei responsabili), nell’utilizzare le tecnologie (32%) e nel pianificare le attività (26%), anche se il 46% dei manager dichiara di non aver riscontrato alcuna criticità. Se si interrogano gli smart worker, invece, la prima difficoltà a emergere è la percezione di isolamento (35%), poi le distrazioni esterne (21%), i problemi di comunicazione e collaborazione virtuale (11%) e la barriera tecnologica (11%).

Gli effetti dello smart working sui lavoratori

Dai risultati della ricerca emerge che i lavoratori smart sono mediamente più soddisfatti dei colleghi che lavorano in modalità tradizionale in diversi aspetti del lavoro, mediamente presentano un grado di soddisfazione e coinvolgimento nel proprio lavoro molto più elevato di coloro che svolgono l’attività in modalità tradizionale: il 76% si dice soddisfatto della sua professione, contro il 55% degli altri dipendenti; uno su tre si sente pienamente coinvolto nella realtà in cui opera e ne condivide valori, obiettivi e priorità, contro il 21% dei colleghi. Soprattutto, gli smart worker sono più soddisfatti dell’organizzazione del proprio lavoro (il 31% degli smart worker contro il 19% degli altri lavoratori), ma anche delle relazioni fra colleghi (il 31% contro il 23% degli altri) e della relazione con i loro superiori (il 25% contro il 19% degli altri).

I dati sullo Smart working 2019
La diffusione delle iniziative di smart working nelle grandi aziende. Fonte: Osservatorio Smart Working promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano

Inoltre, lo Smart Working migliora l’engagement dei dipendenti. Gli smart worker sono più soddisfatti del proprio lavoro (76% rispetto al 55% degli altri lavoratori), più orgogliosi dei risultati dell’organizzazione in cui lavorano (71% rispetto al 62%) e desiderano restare più a lungo in azienda (71% rispetto al 56%). Considerando tutti gli elementi che caratterizzano l’engagement, gli smart worker che si sentono pienamente “ingaggiati” sono il 33%, rispetto al 21% degli altri lavoratori. I lavoratori agili sono anche più capaci di responsabilizzazione rispetto agli obiettivi aziendali e personali, di flessibilità nell’organizzare le attività lavorative e di bilanciare l’uso delle tecnologie digitali con gli strumenti tradizionali di collaborazione, la cosiddetta “attitudine smart”, che varia dal 17% dei lavoratori tradizionali al 35% di quelli smart).

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