“Il cloud privato ha ormai colmato il divario, e quello pubblico non è più una scelta scontata: le aziende stanno rivedendo in profondità le proprie strategie cloud”. Lo afferma senza mezzi termini il Private Cloud Outlook 2025 di Broadcom, che parla di un vero e proprio cloud reset, un ripensamento strategico che coinvolge imprese di ogni settore e ridefinisce il rapporto tra le aziende e il cloud, pur senza mettere mai in dubbio il suo ruolo di abilitatore chiave della trasformazione digitale.
I dati emersi dalla ricerca sono indicativi di una tendenza molto interessante: più della metà (53%) dei decision maker IT indica il cloud privato come priorità per il deployment di nuovi workload nei prossimi tre anni e il 69% sta considerando la cloud repatriation, ovvero il rientro di carichi di lavoro dal cloud pubblico a infrastrutture private o ibride. Il trend è tutt’altro che teorico, se si considera che un’azienda su tre lo ha già fatto.
Curiosamente, inoltre, questa tendenza vale anche per i workload di AI, che si pensa trovino nella scalabilità virtualmente illimitata del cloud pubblico un terreno (molto) fertile: invece, sempre secondo la ricerca, “le organizzazioni stanno scegliendo ambienti di cloud privato per i carichi di lavoro AI quasi quanto quelli di cloud pubblico (55% contro 56%)”.
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Cloud Repatriation nel 2025: perché le aziende scelgono il private cloud?
La storia del cloud pubblico è una storia di estremi. Dalla diffidenza iniziale, legata soprattutto a questioni di sicurezza e controllo, si è passati a un’adozione quasi incondizionata spinta dalla promessa di flessibilità, scalabilità e ottimizzazione dei costi.
Nel tempo, però, sono emersi anche i limiti del modello pubblico e hanno spinto molte imprese a rivalutare l’adozione di infrastrutture private, in-house o hosted. È così che ha preso forma il tema della cloud repatriation, che quindi non è una novità dell’ultim’ora ma un processo guidato da motivi in continua evoluzione. In passato, quello principale era l’ottimizzazione dei costi: le aziende faticavano non poco – e in parte lo fanno ancora – a prevedere e governare i costi reali in un modello as-a-service che, per definizione, li lega a una molteplicità di variabili.
Oggi, oltre alla gestione economica, ci sono almeno quattro fattori chiave che spingono verso il rientro di dati, applicativi e workload verso infrastrutture private.
Quadro regolatorio in rapida evoluzione
Le normative in materia di sicurezza, gestione e trattamento dei dati aumentano rapidamente: all’ormai consolidato GDPR si sono aggiunti NIS 2, Data Act, AI Act e altre regolamentazioni che impongono attenzione alla sicurezza, alla localizzazione dei dati e alla trasparenza dei processi. Le aziende sentono forte l’esigenza di dover mantenere i dati sotto controllo diretto, e qui un’infrastruttura privata non ha eguali.
Vincoli contrattuali e tecnologici
Il lock-in con i grandi hyperscaler è ancora un tema. Migrare workload o uscire da un servizio può comportare costi rilevanti e complessità di gestione.
Scarsa flessibilità e personalizzazione
La standardizzazione su cui si fonda il cloud pubblico, pur garantendo efficienza, si traduce in una flessibilità relativa e nella difficoltà a ottenere configurazioni su misura. Le aziende si trovano a dover adattare i propri workload a set di risorse predefinite piuttosto che poter modellare l’infrastruttura attorno a requisiti specifici.
Supporto impersonale e distante
Le aziende si sono rese conto che un’infrastruttura globale non sostituisce il rapporto diretto con chi la gestisce. La difficoltà di accedere a un referente tecnico unico, competente e localizzato si rivela un limite significativo, perché la risoluzione di problemi complessi o la pianificazione strategica richiedono una conoscenza contestuale profonda.
A tutto questo si aggiunge un tema di stretta attualità: la diffusione della GenAI e dei modelli LLM ha riportato al centro dell’attenzione la governance dei dati e la tracciabilità dei processi, sviluppando un ulteriore terreno fertile per il cloud privato, che diviene così una scelta preferenziale.
Tra pubblico e privato, vince (ancora) l’ibrido
Le organizzazioni hanno capito da tempo che il modello cloud ideale è il risultato di un equilibrio dinamico tra ambienti pubblici e privati. A fronte di una maggiore complessità gestionale, il cloud ibrido si conferma ancora l’approccio più efficace, perché permette di bilanciare agilità, controllo, compliance e ottimizzazione dei costi.
Quello che sta succedendo non è quindi l’abbandono del cloud pubblico, ma piuttosto la rimodulazione delle componenti dei modelli ibridi. In particolare, la parte privata non è più un’infrastruttura di supporto per workload altamente regolati, ma sta diventando — o tornando ad essere — una risorsa core all’interno di ecosistemi IT moderni e distribuiti, che mantengono il loro carattere di agilità e di innovazione.
Più che una rivoluzione, vediamo quindi la repatriation come uno step evolutivo del paradigma di cloud computing. Vent’anni di esperienza hanno infatti portato a un ribilanciamento delle scelte infrastrutturali, con la componente privata sempre più al centro delle strategie IT.
Un evento di CDLAN per approfondire il ruolo strategico del cloud privato
Di cloud repatriation e del ruolo chiave del cloud privato si parlerà il prossimo 10 luglio in occasione di un evento organizzato da CDLAN, cloud provider italiano con infrastruttura data center proprietaria e specializzato in soluzioni evolute per aziende e service provider.
Durante l’incontro, rivolto a CTO, CIO e IT manager, si discuterà dei modelli cloud più efficaci, delle implicazioni normative e di come CDLAN risponde ai nuovi trend con un’infrastruttura cloud italiana 100%, con prezzi chiari e trasparenti, scalabilità e presenza diretta e umana.
L’evento, che si terrà a Milano, includerà la visita al data center proprietario di CDLAN (C21), una struttura Tier 4 compliant da cui vengono erogati tutti i servizi cloud dell’azienda, dall’infrastruttura ai servizi di business continuity. Sarà quindi un’occasione per fare il punto sulle evoluzioni del private cloud e rivalutare il rapporto con la componente pubblica all’interno di modelli sempre più efficienti e performanti.