La progressiva diffusione dell’intelligenza artificiale non sta solo ridefinendo processi e modelli di business, ma anche la fisionomia della leadership tecnologica nelle imprese. È quanto emerge dalla ricerca “CIO e ruolo dell’AI”, condotta su un campione di 130 Chief Information Officer di grandi aziende italiane e presentata nell’ambito dei Digital360 Awards 2025 e CIOsumm.IT. Lo studio, coordinato da Raffaello Balocco, Professore del Politecnico di Milano e co-founder di Digital360 e Network360, esplora come i CIO interpretino oggi l’“essenziale nel digitale” e quale impatto l’intelligenza artificiale stia avendo sul loro ruolo e sulla Direzione ICT.
Indice degli argomenti
L’essenziale nel digitale: tra innovazione e concretezza
Alla domanda su cosa sia “essenziale nel digitale”, i CIO italiani hanno individuato quattro priorità che definiscono la loro visione del valore tecnologico. La più citata riguarda la capacità di proporre innovazioni per aumentare efficienza ed efficacia nei processi aziendali, seguita dal supporto al top management nell’evoluzione del modello di business e dall’attenzione alle tecnologie realmente necessarie. A completare il quadro, la necessità di garantire continuità operativa senza interruzioni.

Una visione, dunque, orientata all’impatto concreto, dove la tecnologia è strumento abilitante e non fine a sé stesso. Interessante anche il confronto tra CIO e CISO, i responsabili della sicurezza informatica: pur con sfumature diverse, entrambi i profili condividono l’idea di semplificare l’infrastruttura e di eliminare il superfluo, a testimonianza di una maturità digitale che privilegia efficienza, scalabilità e governance.
Il ruolo del CIO: innovatore, regista, equilibrista
Alla richiesta di definire l’essenza del proprio ruolo, il 39% dei CIO si è descritto come “innovatore”, seguito dall’“equilibrista” e dal “regista”. Tre definizioni che riflettono la crescente complessità della funzione IT, sempre più divisa tra la gestione operativa e la spinta verso la trasformazione digitale.

Balocco ha osservato come questa triade di ruoli rappresenti la duplice natura del CIO moderno: da un lato la responsabilità di garantire stabilità tecnologica, dall’altro la capacità di tradurre l’innovazione in vantaggio competitivo, mediando fra le esigenze del business e la velocità del cambiamento digitale.
La ricerca evidenzia anche un elemento ironico ma significativo: una piccola parte dei rispondenti – circa il 3% – si è definita “capro espiatorio”. Un dato che, seppur marginale, segnala la persistenza di un vissuto di pressione e responsabilità elevata, soprattutto in contesti dove il digitale è percepito più come costo che come leva strategica.
Le competenze chiave del nuovo CIO
Quando si tratta di individuare la competenza “essenziale” per un CIO, la risposta è netta: il 72% indica la capacità di guidare il cambiamento culturale, tecnologico e organizzativo come la priorità assoluta. Seguono la gestione degli stakeholder interni ed esterni (55%) e la conoscenza dei processi aziendali e del mercato (oltre il 40%).
La competenza tecnologica in sé, spesso considerata un tempo il cuore della professione, scende al 9%. Questo dato conferma un’evoluzione già in atto: il CIO come leader di trasformazione, più vicino alla strategia e alle persone che alle infrastrutture.

Nel dibattito seguito alla presentazione della ricerca, diversi professionisti hanno sottolineato come la padronanza tecnologica resti un prerequisito, ma non più un vantaggio distintivo. È la visione sistemica e la capacità di guidare il cambiamento a determinare oggi l’efficacia della leadership IT.
L’impatto dell’intelligenza artificiale sul ruolo del CIO
Oltre la metà del campione (57%) considera rilevante l’impatto dell’intelligenza artificiale sul proprio ruolo, mentre il 14% lo giudica disruptive. Solo una minoranza (7%) parla di impatto basso o nullo.
L’effetto più significativo riguarda la trasformazione del ruolo da tecnico a strategico, indicata dal 43% degli intervistati. Seguono l’aumento di produttività e recupero di tempo (42%) e il supporto alla creatività e all’innovazione (35%). Il dato suggerisce che l’AI, più che sostituire, libera risorse e tempo, permettendo al CIO di concentrarsi su attività di governance e innovazione.

Come ha osservato Balocco durante la discussione, «molte risposte hanno un denominatore comune: l’intelligenza artificiale libera tempo, e quel tempo può essere dedicato alla strategia, alla creatività e alla gestione del cambiamento». È un passaggio che segnala la transizione del CIO da responsabile tecnico a orchestratore dell’innovazione, in dialogo sempre più diretto con il top management.
AI e direzione ICT: la rivoluzione delle competenze
L’indagine si estende anche all’impatto della AI sulla Direzione ICT. Oltre due terzi dei CIO (68%) la ritengono una trasformazione rilevante, mentre il 13% parla di cambiamento disruptive. Solo l’11% prevede effetti marginali.
Il punto centrale, tuttavia, non è la sostituzione delle persone: appena il 4% ipotizza una riduzione dell’organico. Al contrario, il 70% prevede un forte cambiamento nelle competenze del team ICT, accompagnato da un aumento della qualità dei servizi (48%) e da più tempo da dedicare all’innovazione (29%).

Nei tavoli di lavoro che hanno accompagnato la presentazione, i partecipanti hanno sottolineato come il reskilling sarà progressivo ma inevitabile. Secondo quanto riportato da Alessandra Iacovelli (CIO, Carrefour), «non assisteremo a una riduzione dei posti di lavoro, ma a uno spostamento delle competenze. Le skill diventate commodity lasceranno spazio a nuove capacità di interpretare e insegnare all’AI come leggere i dati».
Altri CIO, come Massimiliano Garri (Ferrovie dello Stato Italiane), hanno ampliato il ragionamento, affermando che «non esisterà più l’IT come lo intendiamo oggi, perché l’IT diventerà il business». Un’affermazione che riflette il trend di integrazione strutturale tra tecnologia e strategia aziendale, destinato a modificare profondamente i modelli organizzativi.
Ostacoli culturali e governance del cambiamento
Se l’AI apre nuove opportunità, resta da affrontare la sfida culturale. Dai gruppi di lavoro coordinati da Silvia Gabrielli (CIO, Sky Italia) e Antonio Fratta Pasini (Head of IT, Calzedonia Group) emergono cinque barriere ricorrenti: la difficoltà di comunicazione con il top management, la resistenza al cambiamento del middle management, la mancanza di visione strategica di lungo periodo, il debito tecnico accumulato e la scarsità di risorse dedicate all’innovazione.
Molti CIO hanno raccontato di dover mediare tra urgenze operative e pressione del business, spesso in contesti in cui la funzione IT è ancora percepita come centro di costo. «Il CIO dovrebbe essere quasi un CEO, ma non è pagato come tale», ha commentato Gabrielli con ironia, sottolineando il gap di riconoscimento tra responsabilità e percezione.
Secondo Fratta Pasini, la difficoltà principale resta la scarsa presenza del CIO nei tavoli decisionali: «Spesso il CIO riporta al CFO, il che rende complesso prendere decisioni strategiche. Il problema non è solo tecnico, ma linguistico: business e IT parlano due lingue diverse».
Dal centro di costo al centro di valore
L’ultima parte del confronto ha posto l’accento sulla necessità di ridefinire la misurazione del contributo dell’IT. Come ha affermato Milo Gusmeroli (Vicedirettore Generale e CIO/COO della Banca Popolare di Sondrio), «le aziende devono passare dagli use case ai business case e cominciare a contabilizzare non solo i costi, ma il valore generato dal digitale».
Tra le proposte discusse emerge l’idea di un vero e proprio “IT ROI Reporting”, uno strumento che affianchi ai tradizionali bilanci economici la misurazione del ritorno strategico degli investimenti digitali.
L’intelligenza artificiale diventa così la leva per riposizionare la funzione IT: non più supporto operativo, ma infrastruttura di valore che abilita competitività, cultura dell’innovazione e collaborazione interfunzionale.




























