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Cos’è una frontier firm e come i team ibridi uomo-AI migliorano il gioco di squadra



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Si chiamano frontier firm ma la frontiera non è un punto geografico: è un mindset. L’intelligenza artificiale entra nei flussi di lavoro, accelera, suggerisce, supporta come un playmaker invisibile. A fare davvero la differenza sono le persone, che trasformano gli “assist” dell’AI in decisioni che portano risultati di valore.

Pubblicato il 19 dic 2025


Altea Federation Point of View

frontier firm

Una “frontier firm” è un’azienda capace di creare una nuova sinergia tra intelligenza artificiale e lavoro umano. Dall’interazione tra persone e sistemi intelligenti nascono team ibridi potenziati che permettono alle organizzazioni di crescere più rapidamente, operare con agilità e generare valore con maggiore velocità. L’AI è una risorsa operativa che entra nei flussi di lavoro e si innesta nelle attività quotidiane, attivata direttamente dalle persone quando serve. Disponibile in modo continuo in tutta l’organizzazione, l’intelligenza artificiale viene usata come utility on demand che trasforma il modo in cui il lavoro viene progettato, distribuito e governato. L’AI assorbe i carichi ripetitivi, accelera l’accesso alle informazioni e supporta valutazioni complesse, mentre la regia resta umana. È in questa relazione che si crea il vero salto di produttività: non facendo lavorare di più le persone, ma permettendo loro di concentrarsi su ciò che richiede visione, responsabilità e capacità di interpretazione. Il passaggio decisivo non è quindi tecnologico, ma organizzativo e culturale. Una frontier firm ridisegna ruoli, competenze, processi decisionali e modelli di collaborazione a partire da questa nuova disponibilità di agenti always on.

L’Ai crea ottimi assist. Ma a fare canestro sono le persone

Da questa visione dell’AI come compagno di squadra prende forma l’evento ideato da Alterna, “Il playmaker invisibile: viaggio nell’AI che tutto trasforma”, organizzato negli scorsi giorni presso la Microsoft House a Milano. Una regia narrativa ispirata al linguaggio del basket ha tenuto insieme visione, cultura organizzativa, modelli operativi e casi reali, usando come filo conduttore le dinamiche che avvengono prima, durante e dopo una partita: lo spogliatoio, i quarti di gioco, il tempo supplementare.

«Essere una frontier firm non è una questione di strumenti, ma di mentalità – ha spiegato Giuseppe Mascoli, amministratore delegato di Alterna -. Significa ragionare in modo diverso per costruire un percorso che consenta all’intelligenza artificiale di diventare davvero un vantaggio competitivo. Il rischio, altrimenti, è un’adozione superficiale, guidata più dalla moda che dalla strategia. L’AI deve entrare nella quotidianità dei lavoratori e nei processi come strumento di lavoro capace di aiutare le persone a fare meglio ciò che fanno, in meno tempo, liberando tempo mentale ed energia da dedicare alle attività a più alto valore. Per applicarla in modo funzionale e ottenere risultati tangibili è fondamentale ripensare le basi dell’organizzazione, lavorando su data quality, certificazioni, sistemi, architetture cloud. Senza un ERP che garantisca una data governance pervasiva su tutti i processi, dell’AI non se ne farà nulla. Per questo la sua adozione è prima di tutto una scelta di strategia e di visione. Sono questi i prerequisiti per mettere a fattor comune strumenti che cambiano il modo di prendere le decisioni».

Squadra e spogliatoio: dove si rafforzano motivazione e fiducia

Nel basket. così come nelle aziende. esistono precondizioni che rendono possibile il gioco di squadra: fiducia reciproca, allineamento tra le persone, assunzione di responsabilità, chiarezza sugli obiettivi.

Riccardo Pittis, top player del basket italiano degli anni ‘80 e ‘90 e oggi mental coach e TEDx speaker – Il playmaker invisibile: viaggio nell’AI che tutto trasforma – Milano, 3 dicembre 2025 (Alterna company Altea Federation)

«Il gioco non è solo quello che succede in partita. È tutto ciò che viene fatto prima e che ti permette di giocare davvero – ha raccontato Riccardo Pittis, top player del basket italiano degli anni ‘80 e ‘90 e oggi mental coach e TEDx speaker -. In questo contesto lo spogliatoio è un ambiente metafisico: non è solo il luogo dove ci si spoglia per entrare in campo, ma quello in cui si creano davvero le squadre, attraverso la conoscenza, l’empatia e la fiducia. È lì che si costruiscono i legami che poi si traducono in gioco. Perché nello spogliatoio si crea un patto tra i giocatori e l’allenatore sull’impegno da mettere in campo. C’è il guardarsi negli occhi, l’avere una visione chiara degli obiettivi, una comunicazione diretta, una forte motivazione. Ed è questo atto di fiducia reciproca che rende possibile affrontare anche ciò che potrebbe sembrare un’impresa impossibile».

frontier firm | credits cliente Altea Federation
Il playmaker invisibile: viaggio nell’AI che tutto trasforma – Milano, 3 dicembre 2025 (Alterna company Altea Federation)

La metafora del primo quarto applicata al business

Nel gergo cestistico il primo quarto è il momento in cui si verifica se la squadra funziona davvero. Nelle aziende corrisponde alla fase in cui diventa evidente se persone, processi e sistemi intelligenti riescono a lavorare insieme. È qui che si capisce se l’AI è in grado di agire come un playmaker invisibile.

«Il playmaker, più che colui che segna, è colui che fa segnare – ha fatto notare Pittis -. In azienda l’AI offre ottimi assist, ma a fare canestro sono le persone, che vanno messe nelle condizioni di lavorare bene. Il talento ti permette di arrivare in campo, ma non ti basta. Sono i comportamenti, l’allenamento, l’impegno e la credibilità che costruisci nel tempo a determinare se resti in squadra. Per questo è fondamentale far emergere i punti di forza di ciascuno. Mettere una persona in un ruolo che non è il suo è uno degli errori più grandi perché non potrà mai esprimere davvero il proprio potenziale. Una squadra non nasce dalla somma delle individualità. Servono complementarità ed equilibrio tra ruoli diversi, con ogni giocatore nel posto giusto per far funzionare il sistema. Per trovare la via migliore al canestro bisogna coinvolgere tutti i giocatori: nel basket lo chiamiamo far girare la palla. Nelle aziende la strategia è analoga: bisogna coinvolgere le persone nei processi, nei progetti, farle sentire parte attiva della costruzione della soluzione. È questo che genera motivazione e quella disponibilità a dare qualcosa in più quando serve davvero. Consapevoli che l’errore fa parte del gioco. Se sbagli hai due possibilità: subire l’errore oppure andare a prenderti il rimbalzo. Il rimbalzo è la seconda opportunità. Ma non ti cade in mano: devi andartelo a costruire. Ed è qui che torna il tema del mindset: il modo in cui affronti l’errore determina se ti blocchi o vai avanti».

I team ibridi delle frontier firm: quando persone e AI iniziano davvero a lavorare insieme

Che si tratti di un gioco di squadra o del lavoro di un team, tutto funziona quando ruoli, comportamenti e responsabilità sono chiari. Nelle frontier firm, la collaborazione tra esseri umani e AI diventa davvero operativa e produttiva attraverso regole, linguaggi condivisi e aspettative definite.

«Pensare che un agente possa rimpiazzare l’uomo è semplicemente irrealistico – ha sottolineato Mascoli -. Una persona, nel suo lavoro, non gestisce solo attività, ma relazioni, contesti, priorità che cambiano, tensioni tra reparti, equilibri informali che nessun algoritmo può leggere fino in fondo. Il vero valore dell’AI è nel modo in cui ci obbliga a ripensare l’organizzazione del lavoro: decidere quali attività affidare agli agenti, quali mantenere alle persone, come definire le regole di ingaggio tra umano e digitale. L’AI può accelerare, suggerire, simulare ma la mediazione, la decisione e la responsabilità appartengono alle persone. Solo così la collaborazione tra chi lavora e i sistemi intelligenti diventa concreta e misurabile. Non è sano che una persona passi il 90% della propria vita lavorando: un professionista che sta meglio lavora meglio, produce di più e mette più passione in quello che fa. L’AI dovrebbe servire proprio a questo: togliere frizioni inutili e permettere alle persone di concentrarsi su ciò che fa davvero la differenza. Cambiano anche le competenze richieste. Saper lavorare con l’AI diventerà sempre più un tratto distintivo dei talenti, perché chi usa bene questi strumenti è in grado di incidere di più sui risultati dell’azienda. Investire oggi sull’AI significa investire sul futuro delle persone e delle organizzazioni».

Giuseppe Mascoli, CEO di Alterna – Il playmaker invisibile: viaggio nell’AI che tutto trasforma – Milano, 3 dicembre 2025 (Alterna company Altea Federation)

Secondo quarto: l’esperienza di CTA Group

Nel basket il secondo quarto è quello in cui il gioco prende ritmo, i meccanismi diventano più fluidi, le decisioni iniziano a pesare sul punteggio. In azienda è il momento in cui l’AI, una volta implementata, inizia a incidere sull’operatività quotidiana: sui tempi, sulle priorità, sulla qualità delle decisioni. Ed è questo il percorso di CTA Group, gruppo industriale specializzato nella fornitura di tubazioni in acciaio, con 16 società operative nel mondo e circa 250 milioni di euro di fatturato e oggi diventata a pieno titolo una frontier firm. Il Gruppo ha intrapreso un percorso di digitalizzazione e modernizzazione dei processi aziendali partendo dalla revisione delle piattaforme, dalla centralità dei dati e dalla costruzione di un’infrastruttura solida che prepara il terreno all’AI.

«La metafora della partita e delle regole nel business si chiama governance – ha raccontato Massimo Gallo, Chief Process Officer di CTA Group -. Noi a un certo punto ci siamo resi conto che nelle nostre aziende questa governance mancava. Negli anni, anche attraverso varie politiche di acquisizione, siamo cresciuti moltissimo e avevamo bisogno di presidiare e armonizzare i ritmi, i processi , gli obiettivi e i risultati. Per questo ci siamo rivolti ad Alterna. Quando abbiamo visto partire in modo così fluido le nostre sedi a Singapore e Hong Kong, in contesti culturali completamente diversi dal nostro, lì ho capito che avevamo imboccato la strada giusta. Da quel momento abbiamo lavorato sull’organizzazione, creando dei ruoli C-level per governare processi e macrofasi operative. Tutto questo è diventato la base per introdurre anche l’intelligenza artificiale come playmaker virtuale. L’AI è uno strumento potentissimo, ma senza regole aziendali, senza policy e senza KPI rischia di diventare pericolosa perché non è mai una verità assoluta. Ecco perché misurare l’impatto reale degli agenti sui processi è fondamentale: senza numeri non esiste trasformazione che tenga. Ma servono etica, trasparenza, responsabilità, sicurezza e soprattutto misurazione».

Terzo quarto: l’esperienza di Leone 1947, da azienda artigianale a frontier firm

Il terzo quarto della partita nel basket è quello più critico perché è quello in cui la fatica si fa sentire, emergono gli errori, si rischia di perdere lucidità. Nelle trasformazioni aziendali è il momento in cui i nodi vengono al pettine: sbagli, fallimenti, scelte difficili, rinunce necessarie. La strategia del rimbalzo trova la sua traduzione industriale in Leone 1947, storico marchio italiano specializzato in abbigliamento e accessori per gli sport da combattimento.

Da sinistra: Riccardo Pittis (mental coach e TEDx speaker), Massimo Gallo (Chief Process Officer di CTA Group) , Cristina Leone (co-owner di Leone 1947), Giuseppe Mascoli (CEO di Alterna) – Il playmaker invisibile: viaggio nell’AI che tutto trasforma – Milano, 3 dicembre 2025 (Alterna company Altea Federation)

«Veniamo da una cultura artigianale, familiare, velocissima nel decidere e molto creativa – ha raccontato Cristina Leone, co-owner di Leone 1947 -. Quella reattività è stata per anni il nostro punto di forza, il nostro asso nella manica. Ma, a un certo punto, ci siamo ritrovati a giocare in un campionato diverso. Quando siamo saliti di livello, quel gioco non era più fluido. Il ritmo era cambiato, lavoravamo con clienti più strutturati di noi, avevamo tre realtà internazionali che operavano in modi diversi, i dati che gestivamo non ci supportavano come dovevano. Non è stato facile ammettere che non bastava più continuare a lavorare come avevamo fatto fino a quel momento. Il sistema informativo aziendale necessitava di un ammodernamento. Abbiamo dovuto rallentare e capire che era arrivato il momento di sviluppare una cultura dei dati e avere la consapevolezza che ogni innovazione inizia da una base solida Alternaci ha mostrato un nuovo percorso culturale e organizzativo grazie a cui abbiamo reso i dati visibili, creato un linguaggio comune e messo le basi per poter usare l’AI in modo più diffuso in futuro. Oggi la utilizziamo già in ambiti specifici, come la creatività, la grafica, i contenuti ma il progetto è di portarla progressivamente su tutti gli altri processi. Le regole, come gli schemi di gioco, servono solo a una cosa: permettere la creatività. E oggi sentiamo di aver ritrovato fiducia nelle persone e anche nel futuro digitale dell’azienda. La tecnologia non ha spento l’identità artigianale del marchio: l’ha resa più governabile e scalabile».

Quarto quarto: una vittoria non si misura solo dal punteggio

Nell’ultimo tempo della partita i punti contano, ma non bastano a spiegare perché hai vinto. Anche nel business il successo di un progetto di trasformazione digitale non coincide mai solo con il ROI: significa capire se l’organizzazione funziona davvero meglio, se le decisioni scorrono più rapide, se le persone lavorano con meno attrito, se la collaborazione diventa più fluida.

«L’AI non è magia, è matematica. I veri segnali che un progetto funziona non sono solo i KPI: sono l’energia delle persone, la fiducia nei processi, la capacità di prendere decisioni migliori in modo fluido – ha concluso Mascoli -. La vera misura del successo è la capacità di tenere insieme innovazione, sperimentazione, rischio controllato e apprendimento continuo. Bisogna imparare ad aiutare le persone a sperimentare, anche accettando una quota di rischio negativo. Non ha senso è puntare tutto su pochi progetti enormi. È molto meglio lavorare su tanti piccoli esperimenti: se su cento iniziative da diecimila euro ne fallisce il 10%, è un rischio assolutamente accettabile. Se invece fallisce un solo progetto da un milione, l’impatto su tempi, risorse e conto economico è completamente diverso. È in questa capacità di diversificare il rischio, di distribuire l’innovazione su più tentativi misurabili, che si costruisce una trasformazione solida. È in questo equilibrio tra risultato, metodo e fiducia che un’organizzazione può vincere la sua partita, aiutando le persone a lavorare con più lucidità e meno pressione».

Il contributo del partner al successo delle frontier firm

È su questa qualità del funzionamento interno che una frontier firm misura la propria maturità operativa ed è nello stesso perimetro che diventa evidente quanto il partner abbia contribuito a portare a casa il risultato finale.

«Nei progetti complessi il partner giusto fa la differenza soprattutto quando arrivano i problemi – ha commentato Gallo -. In Alterna abbiamo trovato competenza tecnica, ma soprattutto capacità di guidare il progetto anche sotto pressione, senza ansia e senza scaricare colpe. È una cultura molto simile alla nostra: niente ricerca del colpevole, ma reazione immediata per trovare la soluzione. Ed è questo che rende possibile affrontare trasformazioni vere ed efficaci».

«Avere al nostro fianco un partner e non un semplice erogatore di servizi è stato decisivo – ha aggiunto Leone -. Avevamo bisogno di qualcuno che ci aiutasse a capire come centrare tutti i nostri obiettivi. Non avevamo una cultura IT interna e il valore vero è stato trovare un compagno di squadra come Alterna con cui abbiamo costruito le soluzioni insieme, in una logica di co-creazione quotidiana. In questo modo abbiamo ritrovato la fiducia nel futuro digitale dell’azienda senza tradire la nostra identità».

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