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L’AI-readiness parte dai dati: l’importanza della semantica per portare l’AI in azienda



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L’intervento di Adriano Ceccherini, Chief Business Officer di SAP Italia, al convegno dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano, esplora il significato di AI-readiness come capacità di integrare l’intelligenza artificiale nei processi aziendali valorizzando la semantica del dato, la continuità informativa e una cultura condivisa tra tecnologia e persone

Pubblicato il 16 dic 2025



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Per costruire una reale AI-readiness, non basta adottare tecnologie di intelligenza artificiale: è necessario ripensare la qualità, la semantica e il contesto del dato.

A sottolinearlo è Adriano Ceccherini, Chief Business Officer di SAP Italia, che nel corso di un intervento al convegno “Data & Decision Intelligence: pilotare l’AI per usarla davvero!” promosso dall’Osservatorio Big Data & Business Analytics, Politecnico di Milano, ha spiegato come il vero vantaggio competitivo derivi dalla capacità delle imprese di trasformare i dati aziendali in conoscenza utilizzabile, e non soltanto in numeri accumulati in archivi digitali.

Ceccherini ha richiamato l’attenzione su un punto spesso trascurato: i dati non sono solo consumati dalle applicazioni aziendali, ma vengono anche generati da esse, in modo continuo e diffuso, all’interno di ogni processo produttivo e gestionale. «Le nostre applicazioni», ha spiegato, «non solo gestiscono e specializzano l’azienda, ma sono anche produttori fondamentali di dati, a volte in grandi moli, altre volte con un valore più qualitativo, estremamente ricco dal punto di vista semantico».

Questa distinzione, tra quantità e qualità informativa, diventa cruciale quando si parla di AI-readiness: la capacità di un’organizzazione di essere pronta a utilizzare l’intelligenza artificiale non dipende solo dalla disponibilità di dataset estesi, ma soprattutto dal fatto che questi dati siano coerenti, leggibili, interpretabili e contestualizzati.

Dalla produzione al management: il dato come risorsa produttiva

Il dato non è più un sottoprodotto dei processi aziendali, ma una risorsa primaria, generata e utilizzata in modo circolare. Ceccherini lo descrive come un elemento “produttivo” al pari dei beni materiali: nasce nelle operations, nella gestione della fabbrica, nella logistica o nel punto vendita, e ritorna a nutrire i processi decisionali.

Da questa prospettiva, le piattaforme tecnologiche assumono un ruolo di connettori: preservano la semantica e il contesto dei dati generati, assicurando che possano essere riutilizzati in modo fluido per alimentare modelli di analisi, previsioni o decisioni operative. È un cambio di paradigma rispetto al passato, in cui la gestione del dato era frammentata in silos funzionali o applicativi.

L’obiettivo, secondo Ceccherini, è rendere il flusso informativo «seamless, senza interruzioni», in modo che i dati prodotti da un reparto possano essere immediatamente disponibili per un altro, oppure per un algoritmo di analisi predittiva. In questa visione, la qualità della catena decisionale dipende dalla continuità semantica del dato lungo tutto il suo ciclo di vita, dalla generazione alla fruizione.

Il valore della semantica e del contesto

Alla base dell’AI-readiness c’è un concetto che Ceccherini considera essenziale: la semantica del dato. Un dato, per essere realmente utile all’intelligenza artificiale, deve essere autodescrittivo, appartenere a un catalogo e poter essere consultato sia da esseri umani sia da sistemi intelligenti.

Questo significa che non basta raccogliere informazioni: occorre arricchirle di metadati e di significato, preservando il contesto in cui sono state prodotte. È ciò che permette di passare da un approccio puramente tecnico a uno realmente cognitivo, in cui il dato è interpretabile anche da modelli di machine learning e da agenti intelligenti.

Il principio è semplice, ma di grande impatto: senza semantica, non esiste intelligenza artificiale affidabile. Un’informazione decontestualizzata può generare risultati distorti o poco rilevanti. Al contrario, un sistema in grado di comprendere la struttura e il significato del dato può offrire analisi più coerenti e decisioni più fondate.

Ceccherini ha sottolineato come questa visione non sia legata a un modello tecnologico specifico, ma a una filosofia di progettazione: costruire infrastrutture in cui il dato, sin dalla sua origine, mantenga un’identità chiara e verificabile. Solo così le imprese possono affrontare con efficacia la sfida della scalabilità e della trasparenza nell’uso dell’intelligenza artificiale.

Integrazione e fluidità: rendere l’AI invisibile ma efficace

Uno degli aspetti più interessanti dell’intervento di Ceccherini riguarda il rapporto tra tecnologia e processi umani. La maturità digitale non si misura dalla quantità di strumenti adottati, ma dal modo in cui questi si integrano nel lavoro quotidiano.

«Quando realizziamo una soluzione», ha spiegato, «il supporto decisionale è annegato all’interno dell’applicazione, spesso in modo trasparente». L’obiettivo è rendere la tecnologia quasi invisibile, perché sia percepita non come un sistema esterno da consultare, ma come un’estensione naturale delle attività operative.

Questo approccio si traduce in un modello di AI embedded, in cui l’intelligenza artificiale agisce all’interno dei workflow aziendali per suggerire decisioni, ottimizzare risorse o anticipare problemi. È una strategia che riduce le barriere all’adozione e consente di diffondere il valore della tecnologia in modo capillare.

L’AI-readiness, in questa prospettiva, non è una condizione tecnica ma organizzativa: è la capacità di far convivere dati, persone e processi in un ambiente coeso, in cui il passaggio dall’azione umana a quella algoritmica avviene senza attriti.

Dai “mattoncini” ai framework: costruire soluzioni adattabili

Ceccherini ha descritto il sistema dei “mattoncini” — le componenti di base e i layer semantici — come la struttura fondativa su cui costruire soluzioni flessibili e adattabili alle esigenze specifiche. Questi elementi, ha spiegato, possono essere utilizzati da partner e fornitori per creare applicazioni personalizzate, senza dover ricominciare da zero.

È un approccio modulare, che promuove l’interoperabilità e la collaborazione tra attori diversi dell’ecosistema tecnologico. Il risultato è una maggiore rapidità di sviluppo e una migliore capacità di risposta ai cambiamenti del mercato.

Questa architettura aperta è uno dei pilastri della AI-readiness: consente di integrare nuovi strumenti e metodologie senza compromettere la coerenza del sistema informativo. In un contesto in cui le imprese adottano sempre più applicazioni di intelligenza artificiale, mantenere un’infrastruttura semantica unificata diventa una condizione di sopravvivenza competitiva.

Dalla fabbrica al management: una cultura del dato condivisa

L’AI-readiness non è solo una questione tecnologica, ma anche culturale. Ceccherini ha insistito sull’importanza di «portare la tecnologia di base dai lavoratori ai manager», ribaltando la logica tradizionale in cui l’innovazione nasceva nei vertici per poi diffondersi verso il basso.

In molte imprese, la trasformazione digitale fallisce non per limiti tecnici, ma per mancanza di consapevolezza diffusa. È la cultura del dato a determinare se l’intelligenza artificiale sarà un supporto o un ostacolo. Quando le persone comprendono il valore dei dati che producono e utilizzano, l’intero sistema diventa più reattivo, trasparente e capace di apprendere.

Questa democratizzazione dell’accesso informativo è uno dei passaggi più complessi, ma anche più strategici: significa garantire che il dato non resti confinato a specialisti o analisti, ma diventi una risorsa condivisa tra chi opera sul campo e chi prende decisioni strategiche. È così che l’AI può diventare davvero uno strumento quotidiano e non un progetto isolato.

Verso un’AI che potenzia, non sostituisce, il decision-making

L’intervento di Adriano Ceccherini mostra come la transizione verso l’AI-readiness non possa limitarsi a un aggiornamento infrastrutturale. Richiede una visione integrata, in cui la semantica del dato, la continuità dei processi e la cultura aziendale convergano per creare un ecosistema realmente intelligente.

L’intelligenza artificiale, in questa visione, non è un fine, ma un mezzo per migliorare la capacità delle organizzazioni di comprendere se stesse. E il dato, finalmente, torna al suo ruolo originario: essere un linguaggio condiviso tra persone e macchine, capace di trasformare la complessità in conoscenza.

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