L’adozione dell’AI non è soltanto una questione tecnologica, ma un processo che richiede un cambiamento culturale profondo e un clima di fiducia tra aziende e strumenti digitali. È questo il messaggio centrale che emerge dall’intervento di Alessandro Favretto e Antonio Autorino, AI Business Developer Manager di DGS, che hanno illustrato come l’intelligenza artificiale possa essere integrata nelle organizzazioni solo se accompagnata da un approccio metodologico capace di ridurre le distanze tra persone e tecnologie.
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La variabilità dei progetti di intelligenza artificiale
Secondo Favretto, la differenza rispetto ai tradizionali progetti IT risiede nella maggiore variabilità che caratterizza l’introduzione dell’intelligenza artificiale. Nei progetti classici gli obiettivi, i costi e i KPI erano definiti sin dall’inizio, mentre nell’AI gli impatti possono spaziare dal miglioramento di un singolo processo fino alla trasformazione di interi modelli di business.
L’approccio strategico diventa quindi fondamentale: non si tratta di replicare schemi preconfezionati, ma di costruire percorsi personalizzati per ciascuna realtà. Come ha spiegato Favretto, «la strategia è quella cosa che viene costruita e ritagliata sul cliente specifico». In questo senso, la fase di definizione non si limita agli aspetti tecnici, ma implica la scelta di sponsor interni in grado di sostenere i progetti, intercettando figure che abbiano una visione sull’evoluzione futura dell’organizzazione.
Superare la dicotomia “AI contro l’utente”
Autorino ha posto l’attenzione su un tema ricorrente nel dibattito pubblico: la contrapposizione tra intelligenza artificiale e persona. Una narrazione che, a suo avviso, non rispecchia la realtà: «Non possiamo più parlare di una differenza tra utente e AI. Dobbiamo trovare un modo di parlare di distanza».
Questa distanza non è una competizione, ma un ostacolo da ridurre per permettere alle tecnologie di diventare parte integrante della quotidianità aziendale. Portare l’AI “nella comfort zone” degli utenti significa avvicinare strumenti e processi alle abitudini consolidate, evitando di imporre soluzioni che rischiano di generare resistenze. In quest’ottica, la fiducia è un prerequisito, perché consente alle persone di percepire i benefici senza sentirsi minacciate o sostituite.
Fiducia e governance: strumenti per ridurre la distanza
DGS ha sviluppato un metodo che unisce aspetti tecnologici e culturali, con l’obiettivo di costruire fiducia attorno ai progetti di AI. Secondo quanto illustrato da Autorino, ciò avviene attraverso tool di explainability, modelli di governance, sistemi di monitoraggio dei KPI e guardrail che guidano l’uso dei modelli in modo trasparente.
La fiducia, quindi, non è solo un principio astratto, ma si traduce in pratiche concrete che permettono al cliente di mantenere il controllo. «Ti aiutiamo sulla governance di questi modelli, sull’explainability e sulla strategia di quali use case implementare», ha sottolineato Autorino, ricordando come questi strumenti servano a mantenere l’AI all’interno dei parametri di affidabilità richiesti dalle imprese.
Cultura e accompagnamento oltre la formazione
Se la fiducia è una componente tecnologica e metodologica, la cultura organizzativa rappresenta l’altro pilastro per l’adozione dell’AI. Favretto e Autorino hanno evidenziato che non basta proporre percorsi di education o literacy: è necessario un vero accompagnamento.
Con questo termine non si intende il semplice affiancamento di specialisti per un numero limitato di giornate, ma una collaborazione strutturata che si traduce in partnership con i clienti. In alcuni casi, ha spiegato Autorino, si arriva a stipulare contratti di risk and sharing, che vincolano fornitore e impresa ai medesimi obiettivi di risultato. Un approccio che riduce la percezione di rischio e facilita la sperimentazione di nuove soluzioni.
L’importanza della maturità organizzativa
Favretto ha sottolineato che l’adozione dell’AI non deve essere confusa con il pionierismo a tutti i costi. Le tecnologie evolvono rapidamente e la tentazione di rincorrere ogni novità può generare instabilità. «Essere un po’ troppo pionieri forse non paga», ha osservato durante l’intervento, spiegando come molte organizzazioni abbiano bisogno di un periodo di consolidamento per gestire l’impatto non solo tecnologico, ma anche organizzativo e di modello di business.
Questa fase di maturità diventa essenziale per rendere l’adozione sostenibile, permettendo alle imprese di integrare le soluzioni senza subire interruzioni nei processi o disallineamenti nelle competenze interne. La velocità dell’innovazione non deve quindi tradursi in fretta decisionale, ma in una capacità di assorbire i cambiamenti gradualmente.
Cultura e fiducia come fattori trasversali
L’intervento di Favretto e Autorino evidenzia come l’adozione dell’AI sia oggi un percorso che va oltre la dimensione tecnica. La cultura e la fiducia sono fattori che attraversano settori e dimensioni aziendali, accomunando pubblica amministrazione, industria, servizi finanziari ed energia.
L’AI, nelle parole dei due manager di DGS, può certamente contribuire all’efficientamento, ma il vero valore emerge quando riduce le distanze tra persone e tecnologie, permettendo alle imprese di rivedere i propri processi e, in alcuni casi, riscrivere le regole stesse del proprio funzionamento.