La trasformazione introdotta dall’intelligenza artificiale non riguarda soltanto i processi automatizzati o la potenza degli algoritmi, ma investe in profondità la governance dei dati e le competenze necessarie per gestirla. Secondo Enrico Galimberti, Pre-sales Director di Irion, la diffusione di tecnologie di AI sta spingendo le imprese a ripensare il ruolo del data manager, figura destinata a evolvere da funzione prevalentemente operativa a presidio strategico della qualità, tracciabilità e significato del dato.
Intervenendo al convegno Data & Decision Intelligence: pilotare l’AI per usarla davvero!, organizzato dall’Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano, Galimberti ha delineato i principi di un modello di gestione dei dati “aumentato”, capace di sostenere la crescente complessità delle architetture aziendali e delle normative in materia di governance.
Indice degli argomenti
Dal controllo manuale all’automazione intelligente
L’aumento esponenziale dei volumi informativi e la crescente domanda di soluzioni di intelligenza artificiale impongono una revisione radicale delle modalità di gestione del dato. Come sottolinea Galimberti, l’AI «porta le aziende a ripensare un po’ il loro modello di governance e quality». Il data manager non può più quindi limitarsi alla manutenzione operativa dei flussi informativi, ma deve assumere una responsabilità più ampia nel garantire la qualità e la coerenza dei dati utilizzati dai modelli di intelligenza artificiale.
La sfida è duplice. Da un lato, servono strumenti capaci di automatizzare i controlli di qualità, riducendo tempi e costi. Dall’altro, occorre mantenere la supervisione umana necessaria a evitare che l’automazione comprometta la comprensibilità dei processi decisionali. Secondo Galimberti, «le aziende devono ripensare gli strumenti di governance puntando a capability aumentate: augmented data quality, augmented data governance».
Questi strumenti si basano su meccanismi di suggerimento automatico dei controlli, che possono individuare in modo autonomo anomalie, proporre regole di validazione e assegnare punteggi di affidabilità ai dataset. L’utente, spiega Galimberti, «ha la possibilità di metterli a terra con un click», ottenendo un risparmio significativo rispetto alle pratiche tradizionali. Il concetto di “data quality aumentata” segna così il passaggio verso una governance proattiva, in cui il controllo non è più una fase successiva al trattamento del dato, ma parte integrante del suo ciclo di vita.
Il data lineage come chiave di efficienza e compliance
La tracciabilità del dato, o data lineage, è un altro pilastro della governance moderna. In molti settori, la capacità di ricostruire l’origine, le trasformazioni e l’utilizzo di ogni informazione non è più soltanto una buona pratica, ma spesso un obbligo regolatorio.
Il problema, osserva, è che si tratta di un’operazione ancora fortemente manuale e time consuming, che può rallentare i progetti di AI e limitare la scalabilità delle iniziative di data governance. Tuttavia, l’adozione di soluzioni in grado di automatizzare la raccolta delle informazioni sui flussi di dati consente di abbreviare i tempi e migliorare l’affidabilità complessiva del sistema.
Nell’esperienza citata da Galimberti, l’impiego di piattaforme con capacità di “lineage automatizzato” permette di ridurre in modo significativo l’impegno necessario per documentare i processi, abilitando una gestione più efficiente e trasparente. Il vantaggio non si misura soltanto in termini di velocità di implementazione, ma anche nella possibilità di migliorare la qualità dal livello tecnico a quello di business, integrando gli aspetti operativi con una visione strategica sul valore del dato.
Questo approccio trasforma il data manager in garante della trasparenza e dell’affidabilità, capace di tradurre la complessità tecnica in un linguaggio comprensibile anche ai responsabili di funzione e agli organi di controllo.
Dal catalogo al “mercato culturale” dei dati
Un altro punto centrale dell’intervento riguarda la nuova funzione del Data Marketplace. Tradizionalmente, questo strumento è concepito come un catalogo aziendale dove vengono raccolti e condivisi dataset, spesso accompagnati da metadati descrittivi e indicatori di qualità. Tuttavia, Galimberti propone un’evoluzione concettuale: il marketplace come intermediario culturale.
«Tante aziende stanno pensando di implementare soluzioni di Data Marketplace», spiega, ma l’obiettivo non dovrebbe limitarsi alla distribuzione delle informazioni. La vera sfida è «portare la cultura dei dati all’interno dell’azienda». In questa prospettiva, il Data Marketplace diventa uno spazio di alfabetizzazione e di confronto, dove i Data Scientist e i Data Product Owner possono collaborare nella costruzione e nella comprensione dei prodotti dati.
Galimberti suggerisce di arricchire questi ambienti con un “AI badge” che raccolga informazioni sui bias, i parametri e i modelli utilizzati per generare i dati, offrendo così una forma di etichettatura trasparente e tracciabile. La disponibilità di strumenti di spiegazione automatica, di video e contenuti interattivi contribuisce a rendere il dato un oggetto narrativo e conoscitivo, e non solo tecnico.

«Il data marketplace deve evolvere: deve diventare un “intermediario culturale”, uno spazio di alfabetizzazione e confronto.
Enrico Galimberti, Pre-sales Director di Irion
In questa visione, il data manager diventa anche facilitatore di cultura organizzativa, figura che connette mondi spesso distanti: il linguaggio dei dati e quello del business. Il suo compito è guidare l’azienda verso una gestione consapevole e partecipata dei propri asset informativi.
Dalla funzione operativa al presidio strategico
Il filo conduttore dell’intervento di Galimberti è l’evoluzione della professione del data manager. Da tecnico della qualità e della compliance, diventa architetto del valore informativo. «Il ruolo del data manager potrà cambiare, passando da un ruolo più operativo, come oggi, a un ruolo anche strategico», afferma.
In questa prospettiva, la data governance non è più soltanto uno strumento di controllo, ma un motore abilitante della trasformazione aziendale. L’integrazione tra AI e processi di gestione del dato consente di creare un ecosistema in cui la qualità, la tracciabilità e la comprensione del dato diventano condizioni per l’innovazione.
Questo cambiamento richiede nuove competenze: capacità analitiche, visione sistemica, ma anche sensibilità etica e culturale. Il data manager del futuro dovrà comprendere i meccanismi dell’intelligenza artificiale, i rischi legati ai bias e le implicazioni normative, mantenendo però una prospettiva centrata sul valore organizzativo del dato.
In parallelo, il rapporto tra tecnologia e persone cambia: l’automazione non sostituisce la competenza, ma la amplifica. Strumenti di data quality aumentata e piattaforme di governance intelligenti diventano alleati che consentono ai professionisti di concentrarsi sulle attività a maggiore impatto decisionale.
Il data manager come architetto della fiducia nei dati
Alla base di questa evoluzione c’è un principio di fiducia. Le aziende che riescono a costruire processi affidabili di gestione e controllo dei dati possono sviluppare sistemi di intelligenza artificiale più robusti, trasparenti e replicabili. Il data manager diventa quindi il garante della credibilità delle decisioni automatizzate, colui che assicura che i modelli si basino su dati accurati e coerenti con le politiche aziendali.
Galimberti evidenzia che alcune organizzazioni stanno già sperimentando modelli di governance distribuita, che consentono ai diversi team di lavorare in autonomia pur mantenendo standard di qualità centralizzati. Questo approccio, supportato da strumenti intelligenti, permette di coniugare efficienza e controllo, evitando la frammentazione che spesso ostacola i progetti di intelligenza artificiale su larga scala.In questa transizione, la figura del data manager assume un valore strategico analogo a quello del Chief Data Officer o del Chief AI Officer, contribuendo alla costruzione di un ecosistema informativo solido, in cui la governance non è vincolo ma fattore abilitante di innovazione e responsabilità.











