Dietro ogni connessione, ogni comunicazione istantanea e servizio digitale che attraversa le nostre giornate, esiste una rete di persone che lavora per immaginare ciò che ancora non c’è.
In Italia, un esempio di tutto questo prende forma nei tre centri di Ricerca e Sviluppo di Ericsson, a Genova, Pisa e Pagani (Salerno), dove oltre seicento tra ingegneri, ricercatori e giovani talenti, danno vita a un laboratorio diffuso di innovazione e di collaborazione tra industria, università e istituzioni pubbliche.
L’intera direzione della Ricerca e Sviluppo è affidata ad Alessandro Pane, in Ericsson da più di quarant’anni, con una lunga esperienza internazionale.
Durante un recente incontro con la stampa, Pane ha raccontato come questo ecosistema lavori per coniugare tecnologia, innovazione e impatto sociale, soffermandosi, in particolare, sul valore che viene attribuito ai brevetti e alle demo: le dimostrazioni applicative che trovano il loro momento di sintesi negli R&D Italy Innovation Days, gli ultimi dei quali si sono svolti nella sede di Pagani.
«Qui la tecnologia non è un prodotto, ma un processo continuo, alimentato dal confronto tra discipline, esperienze e generazioni» osserva Pane. «Le demo servono a questo, a creare opportunità. Non tutte diventeranno soluzioni commerciali, ma tutte ci aiutano a capire cosa si può costruire sopra la rete, e quanto la rete stessa sia pronta a sostenerlo».
Indice degli argomenti
Tre poli, un’unica architettura della conoscenza
Ognuno dei tre centri rappresenta un tassello di un ecosistema che unisce competenze e sperimentazione. Da questa sinergia nascono ogni anno circa 250 nuove idee, di cui 50-60 si trasformano in brevetti, contribuendo a un patrimonio complessivo di 1.000 innovazioni depositate dal 2.000 ad oggi. Tra questi sono 11 i brevetti legati ad applicazioni di AI e machine learning.
A Genova, nei laboratori del Parco Tecnologico degli Erzelli, si concentrano le attività legate al 5G, al cloud e alla prototipazione hardware, insieme all’Innovation Garage, uno spazio di co-innovazione aperto a studenti e startup.
A Pagani, territorio un tempo manifatturiero, si è sviluppato un polo d’eccellenza per la cybersecurity, la gestione del software di rete e le intercettazioni legali dei dati. Qui si analizzano minacce informatiche, si sviluppano sistemi di protezione e si gestisce la manutenzione di oltre 30mila nodi di rete.
«Anche se parliamo di 5G – spiega Pane – non dobbiamo dimenticare che c’è ancora una lunga coda di 4G e, in certi settori come quello ferroviario, persino di 2G. Passare dal 2G al 5G è un salto importante e complesso».
A Pisa, nel campus del CNR, un team di scienziati lavora su fotonica integrata e trasporto ottico, le tecnologie che costituiranno l’ossatura delle future reti 6G.
Complessivamente, le ricercatrici rappresentano il 23% del totale, mentre i giovani sotto i 35 anni sono circa un quinto. «Ogni brevetto è una storia di tentativi, intuizioni con un suo lungo iter di revisioni» spiega Pane.
Le Challenge e le Demo: il metodo del fare
Le Innovation Challenge sono di fatto delle competizioni interne aperte a tutti i laboratori e servono a trasformare le intuizioni in demo funzionanti: prototipi tangibili che permettono di testare le potenzialità delle reti e aprire la strada a nuovi scenari d’uso.
Durante gli Ericsson R&D Italy Innovation Days di ottobre, a Pagani sono state presentate 15 demo, organizzate in quattro aree tematiche:
- Reti cognitive, capaci di adattarsi in tempo reale a eventi complessi, come la congestione generata da uno stadio pieno o da un grande concerto.
- Smart city, con soluzioni come quella che ottimizza i percorsi dei mezzi di raccolta dei rifiuti in base al riempimento reale dei cassonetti per ridurre costi e impatto ambientale.
- Connettività satellitare per estendere la copertura oltre la rete terrestre e garantire continuità anche in mare aperto. La demo realizzata è di una nave che si allontana dalla costa senza perdere connettività.
- Trustworthy systems, che sfruttano l’AI per monitorare i nodi della rete, prevenire intrusioni e reagire in modo dinamico a minacce o anomalie, essenziali in contesti mission-critical come la guida autonoma o la chirurgia da remoto.
«Le demo – spiega Pane ci servono per capire dove possiamo migliorare, per misurare la maturità della rete e per immaginare nuovi servizi».
Quando la ricerca incontra la vita reale
Molte delle dimostrazioni nascono da bisogni concreti, e mostrano come la rete possa diventare un’infrastruttura sociale oltre che tecnologica.
Tra i progetti più significativi, quello delle ambulanze connesse, sviluppato con Bourelly Group, in cui l’AI analizza in tempo reale i tracciati ECG dei pazienti e li trasmette al pronto soccorso durante il trasporto per supportare la diagnosi medica.
Un altro esempio è Kokono, una culla intelligente ideata da De-LAB Società Benefit e STMicroelectronics, che monitora i parametri vitali dei neonati nei villaggi ugandesi, con l’obiettivo di individuare i sintomi precoci di malaria o polmonite.
Tutte le demo raccontano la stessa idea: la rete non è solo infrastruttura, ma ambiente vitale in cui si intrecciano dati, persone e decisioni.
Conoscenza, non solo prodotti
Ogni prototipo è parte di un processo di apprendimento. «Solo il 10% delle demo arriva alla fase di implementazione reale – precisa Pane – ma non è quello il punto. Il valore non sta nel prodotto, bensì nella conoscenza che il processo genera. Ogni esperimento ci insegna qualcosa sull’efficienza, la sostenibilità e la sicurezza della rete».
La ricerca, per Ericsson, è un investimento collettivo che richiede continuità, fiducia e politiche di sostegno. «L’Italia ha competenze di altissimo livello – aggiunge Pane – ma servono strumenti per proteggerle e valorizzarle. I nostri competitor internazionali godono di incentivi fiscali e programmi di supporto: noi no, e questo ci penalizza». Ed infine, conclude ribadendo: «Il nostro compito è fornire la connettività. Spetta ad altri – imprese, istituzioni e cittadini – usarla per costruire il futuro. Le demo servono proprio a questo: non a mostrare ciò che c’è, ma ad aprire la strada a ciò che ancora non c’è».

























