La rivoluzione del lavoro flessibile non è affatto finita. Nonostante i titoli internazionali che annunciano un “ritorno in ufficio”, i dati presentati durante la 14ª edizione dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano raccontano un quadro molto diverso. Come ha spiegato Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio, il fenomeno non sta regredendo: si sta trasformando. E il suo futuro, oggi più che mai, passa attraverso la sinergia tra Smart Working e AI.
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L’onda lunga dello Smart Working
Il numero degli smart worker in Italia è tornato a crescere, dopo la lieve flessione del 2024. La ricerca dell’Osservatorio indica che la diffusione del lavoro agile continua ad aumentare nelle grandi imprese, oggi vicine alla soglia dei due milioni di lavoratori flessibili, mentre la Pubblica Amministrazione mostra segnali di ripresa, compensando il calo osservato nelle piccole e medie imprese.
Secondo Corso, «non è corretto parlare di ritorno indietro. Due aziende su tre hanno oggi un modello flessibile, e il trend di medio periodo è stabile o in crescita». Il riferimento è anche al Flex Index, un indicatore internazionale che analizza oltre 10.000 aziende statunitensi: il 66% di queste adotta modelli flessibili, contro un terzo che mantiene la piena presenza in ufficio.
In Italia, la crescita è più graduale, ma continua. Le imprese prevedono un ulteriore aumento entro il 2026, trainato non solo dai grandi gruppi e dalla PA, ma anche da un progressivo allineamento delle medie imprese ai modelli più maturi. «Le medie aziende stanno seguendo con un certo ritardo il comportamento delle grandi», ha osservato Corso, sottolineando che la platea potenziale degli smart worker resta ampia: circa il 21% dei lavoratori che oggi non fanno Smart Working ritiene di poter svolgere da remoto almeno la metà delle proprie attività, senza perdita di efficacia.
Il punto di svolta tecnologico
Ma la vera novità del 2025 non riguarda i numeri, bensì la trasformazione qualitativa del lavoro. «È difficile oggi ragionare a tecnologie date», ha spiegato Corso. «L’Intelligenza Artificiale sta cambiando le attività lavorative, modificando il mix tra concentrazione, comunicazione, collaborazione e creatività».
Con l’adozione dell’AI, cambia il modo stesso di lavorare: non solo i processi, ma anche gli spazi fisici, le policy aziendali e la distribuzione delle attività. L’AI permette di automatizzare i compiti ripetitivi, liberando tempo per le attività a maggiore valore aggiunto, e apre a nuove figure professionali che potranno godere di maggiore autonomia e flessibilità.
Corso invita però a una riflessione di fondo: la flessibilità non è soltanto una questione di luogo, ma diventa una leva strategica per guidare l’adozione dell’AI in modo partecipato. «Lo Smart Working può diventare una leva per coinvolgere le persone nell’utilizzo efficace dell’Intelligenza Artificiale», ha dichiarato, sottolineando che la tecnologia, da sola, non basta: serve un ecosistema di fiducia, responsabilità e apprendimento continuo.
L’intersezione tra libertà e coesione
Nel suo intervento, Umberto Bertelè, chairman degli Osservatori Digital Innovation, ha proposto una lettura più ampia: la ricerca di libertà individuale nel lavoro deve convivere con la necessità di coesione organizzativa. «Nella mia vita, la voglia di essere libero ha contato molto», ha ricordato. «Ma il contatto diretto con le persone è altrettanto importante. C’è una parte del nostro apprendimento che non riguarda la conoscenza, ma il comportamento, e questo si impara solo stando insieme».
Bertelè ha citato esempi internazionali che mostrano la diversità dei modelli di flessibilità. Negli Stati Uniti, dove il lavoro da remoto è più diffuso, la media annua di lavoro è di 1811 ore, contro le 1571 europee: la maggiore libertà si accompagna a un carico di lavoro più elevato. Inoltre, il lavoro a distanza resta «una prerogativa delle persone più forti e più ricche», segno che la flessibilità è anche una questione di potere contrattuale e ruolo professionale.
Il tema centrale, ha osservato, è l’impatto dello Smart Working sulla cultura d’impresa. «Alcuni leader, come quelli di Amazon e Uber, sostengono che la distanza fisica indebolisca la cultura aziendale», ha spiegato citando un’analisi dell’Economist. «Ma gli studi mostrano risultati contrastanti: il lavoro in presenza favorisce agilità e innovazione rapida, mentre il lavoro da remoto rafforza concentrazione e produttività individuale». In altre parole, non esiste un modello unico vincente: ciò che conta è la capacità dell’organizzazione di bilanciare libertà e appartenenza.
Le nuove regole della flessibilità
Anche Fiorella Crespi, direttrice dell’Osservatorio Smart Working, ha sottolineato come le organizzazioni italiane si trovino oggi in una fase di consolidamento dei modelli ibridi. Nelle grandi imprese e nella Pubblica Amministrazione prevale un approccio strutturato, con policy definite e iniziative di accompagnamento, mentre nelle PMI resta diffusa una gestione più informale, basata sul rapporto diretto tra capo e collaboratore.
La ricerca individua cinque modelli di Smart Working: Onsite Flex, ibrido con policy, ibrido con linee guida, ibrido a libera scelta e full remote. La tendenza dominante è l’ibrido, che combina autonomia e presenza, con un numero medio di 10 giornate di lavoro da remoto al mese nelle grandi aziende, 8 nella PA e circa 5 nelle piccole imprese.
Tuttavia, il margine di personalizzazione resta limitato: «Nelle grandi imprese e nella Pubblica Amministrazione il modello è spesso uguale per tutte le professionalità», ha spiegato Crespi, «mentre nelle PMI esiste più flessibilità, con solo il 31% che applica regole identiche a tutti».
L’eterogeneità dei modelli rispecchia anche l’evoluzione degli spazi di lavoro: le aziende stanno abbandonando gli ambienti unici per soluzioni multipurpose e collaborative, pensate per sostenere interazione e innovazione. Crescono i modelli “clubhouse”, sedi aziendali che diventano punti di incontro più che luoghi di presenza obbligatoria, e le logiche hub & spoke, con più sedi decentrate.
Verso un nuovo equilibrio
La relazione tra Smart Working e AI non è solo tecnologica, ma sociale e culturale. L’AI impone alle organizzazioni di ripensare la distribuzione dei compiti e il senso stesso del lavoro umano, mentre lo Smart Working diventa il contesto in cui queste trasformazioni possono essere gestite con maggiore autonomia e sostenibilità.
Corso lo sintetizza con una prospettiva precisa: «Dobbiamo chiederci in che modo Smart Working e AI possano rendere i lavori più attrattivi, più sicuri e meno usuranti, rispondendo alla sfida della longevità lavorativa».L’adozione dell’AI, se accompagnata da modelli flessibili e inclusivi, può contribuire a costruire organizzazioni più resilienti, capaci di coniugare innovazione e benessere, efficienza e libertà.





























