L’Edge AI rappresenta uno dei punti di svolta più significativi nella trasformazione digitale delle imprese e delle infrastrutture. Con la crescente quantità di dati generati da sensori, dispositivi e macchine connesse, spostare la capacità di elaborazione “al bordo” – cioè nel punto in cui il dato nasce – diventa una scelta strategica. Ridurre i tempi di latenza, contenere i costi di banda e garantire maggiore autonomia operativa sono obiettivi centrali, ma a fronte di nuovi vantaggi emergono sfide altrettanto complesse: dalla sicurezza distribuita alla governance dei dati, fino al tema delle competenze tecniche e manageriali.
Durante il confronto “Edge AI, pensare veloce, agire vicino”, tenutosi nell’ambito dei Digital360 Awards, esperti di tecnologia e innovazione come Francesco Salvini (Digital Evangelist di Digital Value), Massimo Chiriatti (Chief Technical Innovation Officer di Lenovo) e Massimo Fedeli (direttore del Dipartimento per lo sviluppo di metodi e tecnologie di Istat) hanno approfondito i punti chiave di questo equilibrio tra prossimità, efficienza e controllo.
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Dall’intelligenza centralizzata a quella distribuita
L’Edge AI nasce come risposta ai limiti di un modello tradizionale, quello dell’intelligenza artificiale gestita interamente nel cloud o nei grandi data center. Come spiegato da Salvini, il paradigma si ribalta: «L’intelligenza artificiale al bordo agisce nel momento stesso in cui il dato viene creato, rendendolo immediatamente fruibile e utile».
L’idea è quella di avvicinare la capacità cognitiva della macchina alla sorgente informativa, superando la dipendenza dai flussi continui di dati verso il cloud. Ciò consente una maggiore rapidità di risposta, fondamentale in contesti dove la latenza può determinare un vantaggio competitivo o, in certi casi, la sicurezza operativa.
Chiriatti descrive con chiarezza la dimensione concreta di questa tecnologia: «Usiamo l’Edge computing dove non c’è un data center. È un oggetto piccolo, silenzioso, che può essere installato su treni, navi, autobus o in fabbrica. Analizza i dati dove nascono, senza bisogno di inviarli in rete».
Un esempio emblematico è quello delle telecamere industriali o di sicurezza: invece di inviare lo streaming continuo al cloud, l’elaborazione avviene localmente. Solo quando un evento rilevante – una persona che passa, un’anomalia nel prodotto – viene individuato, il sistema invia un segnale di allerta. Il risultato è una drastica riduzione del throughput di banda e dei costi di latenza, due elementi spesso trascurati nelle architetture puramente centralizzate.
Velocità contro sicurezza: il nuovo compromesso dell’Edge
Portare l’intelligenza artificiale “sul campo” non è solo una questione tecnologica, ma un cambio di paradigma nella gestione del rischio. Come sottolinea Salvini, «il vero compromesso è fra velocità e sicurezza».
Ogni nodo Edge, infatti, introduce nuove superfici di attacco. L’espansione di dispositivi connessi e autonomi implica che la vulnerabilità non è più concentrata in un punto, ma distribuita. A fronte di apparati “secure by design”, aumenta la complessità dell’orchestrazione e della protezione dei dati.
La governance del dato diventa così l’elemento cardine del modello. Gli strumenti di controllo esistono, ma non sono ancora pienamente centrati sull’AI. Salvini ricorda che la normativa europea, dal GDPR all’AI Act, fornisce un quadro utile ma non esaustivo: «Oggi possiamo analizzare il dato e capire se c’è un’esfiltrazione di informazioni. Tuttavia, quando il dato lascia il device, entriamo in un’altra dimensione, quella della cybersecurity».
La protezione inizia dal basso, dal singolo apparato, che può adottare meccanismi di self encryption, strong authentication e cifratura end-to-end, ma la sfida reale è mantenere la tracciabilità e l’integrità lungo tutta la catena di trattamento.
Hybrid Cloud: la convergenza fra Edge e intelligenza centralizzata
Se la forza dell’Edge è nella rapidità di esecuzione, la sua debolezza sta nella capacità di coordinamento. La risposta, secondo Salvini, è l’Hybrid Cloud: una struttura in cui «la sovranità del dato resta locale, ma la potenza del cloud fornisce controllo e governance».
Il cloud, dunque, non scompare ma assume un ruolo diverso, diventando il livello di supervisione. I dispositivi Edge elaborano e reagiscono in tempo reale, mentre le piattaforme centrali raccolgono solo porzioni significative di dati, utili per analisi aggregate o addestramento di modelli più complessi.
Questo equilibrio consente di ridurre il traffico informativo e allo stesso tempo garantire una visione sistemica. È un modello già visibile in diversi settori industriali, dalla meccatronica alla logistica intelligente, dove piccole unità di calcolo locali si affiancano a infrastrutture cloud per ottimizzare processi e consumi.
Sicurezza fisica e protezione del dato
Chiriatti pone l’attenzione anche sulla sicurezza fisica dei sistemi Edge, spesso collocati in ambienti non controllati. «Sull’infrastruttura utilizziamo un sistema anti-tampering: se qualcuno tenta di aprire il dispositivo, il server si autodistrugge, impedendo l’accesso ai dati».
È una misura estrema, ma necessaria in scenari dove i dispositivi possono trovarsi in spazi pubblici o in impianti industriali non presidiati. Si tratta di una sicurezza hardware complementare a quella software, che ribadisce quanto la fiducia nei sistemi distribuiti debba essere costruita su più livelli.
Competenze e cultura: il capitale umano dell’Edge AI
La dimensione tecnologica non basta. Chiriatti lo evidenzia con lucidità: «Per la governance servono prima di tutto le competenze». Il rischio è quello di delegare completamente al cloud o ai vendor esterni, perdendo la capacità di gestione interna.
L’approccio “AI first” – adottare l’intelligenza artificiale come risposta automatica a ogni problema – è considerato da lui un errore di prospettiva: «Molti progetti pilota falliscono perché non lavorano sui dati dell’azienda, sui processi e sugli obiettivi reali».
L’Edge AI, per essere efficace, richiede quindi una integrazione profonda tra tecnologia e business, tra infrastruttura tecnica e strategia organizzativa. Le imprese devono costruire team capaci di interpretare i dati, non solo di raccoglierli, e di trasformarli in decisioni operative senza dipendere esclusivamente da piattaforme esterne.
Il valore del dato e la sfida dell’integrazione
La di Fedeli amplia il discorso: in un’istituzione che “vive di dati”, la vera difficoltà è l’integrazione tra fonti eterogenee, provenienti da sistemi diversi e con formati non uniformi.
Questo tema è importante anche per le aziende che vogliono sfruttare l’Edge AI: elaborare in tempo reale è inutile se i dati restano frammentati o non interoperabili. La capacità di armonizzare i dataset e renderli utilizzabili in modo coerente rappresenta il passo decisivo per costruire un’economia realmente basata sull’informazione.
Edge AI come infrastruttura della prossimità digitale
Il modello emergente descritto dai relatori definisce l’Edge AI come una rete intelligente di prossimità, capace di unire velocità di decisione, risparmio di risorse e tutela del dato. È un ecosistema ibrido che redistribuisce il potere computazionale, ma anche le responsabilità.
Non si tratta solo di spostare i server più vicino ai sensori, ma di ripensare il modo in cui i sistemi interagiscono con l’ambiente e con le persone. Ogni nodo diventa un punto di elaborazione, un frammento di intelligenza diffusa che, se governato correttamente, può trasformare la produzione, la mobilità e la pubblica amministrazione.
Come sottolineato dagli esperti, la vera innovazione non risiede nell’automazione in sé, ma nella capacità di equilibrare autonomia locale e controllo centrale, creando un sistema in cui i dati non solo circolano più velocemente, ma producono valore in modo sicuro, misurabile e sostenibile.




























