Questa serie di quattro articoli nasce dal desiderio di offrire ai lettori uno sguardo rigoroso e approfondito su temi che spesso vengono trattati con una certa superficialità: il potere, la leadership e il consenso nelle organizzazioni. Non, quindi, semplici slogan o ricette motivate dal buon senso, ma un’analisi che tiene insieme il rigore concettuale e l’applicazione pratica, con l’obiettivo di aiutare CIO e manager a leggere con maggiore lucidità le dinamiche di influenza e guida nei contesti complessi.
A firmare questa serie è il Prof. Luca Baiguini, docente di People Management and Organization alla School of Management del Politecnico di Milano e autore di numerosi volumi dedicati ai temi della leadership e del management, l’ultimo dei quali (Fate pace con il potere. Contro la retorica della leadership – Egea, 2024) è dedicato proprio a queste tematiche Il filo conduttore è quindi, questo: per guidare organizzazioni complesse non bastano competenze tecniche o posizioni formali di comando. Occorre comprendere come il potere si esercita, come il consenso si genera e come la leadership prende forma. Buona lettura.
Indice degli argomenti
Gli articoli della serie
- Che cos’è il potere?
Una definizione di potere come causazione sociale, e una distinzione tra le sue forme principali: potere coercitivo, potere economico, leadership.
- Che cos’è la leadership?
La leadership come forma di potere fondata sul consenso, diversa ma non opposta alle altre forme. Il consenso, quindi come risorsa per chi guida progetti complessi.
- Gli attributi del potere e le sue dinamiche
Una mappa per leggere e misurare il potere: sfera, campo, peso, efficacia, stabilità. E le dinamiche con cui il potere si esercita e si trasforma nel tempo.
- Leadership e consenso
Le strategie per generare consenso (logica del nemico e logica del progresso), le forme della leadership (carismatica, ideologica, pragmatica), e le principali critiche da cui guardarsi per non trasformare la leadership in mito.
Quando parliamo di potere, nel linguaggio quotidiano delle organizzazioni, sembra di evocare un tabù. È una parola che mette a disagio, perché rimanda a immagini di abuso, prevaricazione, imposizione autoritaria, giochi politici che sottraggono trasparenza e meritocrazia ai processi aziendali.
Per questa ragione, spesso la si sostituisce con termini più rassicuranti, come “leadership”, “influenza”, “autorevolezza”, che sembrano portare con sé un’aura di positività. Eppure, se osserviamo con attenzione la vita reale dei progetti, dei team e dei contesti complessi che ogni CIO o manager si trova quotidianamente a gestire, diventa chiaro che il potere non è un accidente patologico, un elemento da bandire o un vizio da condannare. Al contrario, è un ingrediente strutturale della vita organizzativa. Non possiamo non averci a che fare: possiamo solo comprenderlo meglio e imparare a esercitarlo in modo più consapevole.
Il potere come causazione sociale
Che cos’è dunque il potere? Una definizione che ci arriva dalla scienza della politica recita così:
Il potere è la capacità di un attore sociale (A) di determinare la condotta di un altro attore sociale (B) dovuta ad una disparità di risorse in favore di A.
In altre parole, A diventa la causa del comportamento di B, nel senso che è in grado di influenzarlo, di orientarlo, o persino di impedire che egli agisca in una certa dimensione. Non si tratta quindi soltanto di “far fare” qualcosa, ma anche di “non far fare” qualcosa.
Pensiamo, ad esempio, a un manager che dispone della facoltà di bloccare il rilascio di un deliverable se non ha superato la fase di validazione prevista: in quel momento il comportamento del team — consegnare o meno — non dipende esclusivamente dalla volontà interna del gruppo, ma è determinato da una decisione esterna che si innesta nella relazione di potere fra le due parti.
In questo senso, il potere non è un attributo personale che qualcuno possiede come un oggetto che può portarsi appresso ovunque e comunque. Esso vive e prende forma soltanto dentro la relazione fra attori sociali: esiste un A, esiste un B, ed esiste una relazione che lega i due in un determinato contesto.
La disparità di risorse e le 3 forme del potere
Perché una relazione di potere possa esistere, deve sempre essere presente una disparità di risorse a favore di chi lo detiene. Se due attori dispongono delle stesse opportunità e dello stesso accesso a risorse significative, nessuno dei due può realmente determinare la condotta dell’altro. È la differenza, più o meno marcata, a rendere possibile l’esercizio del potere.
Questa disparità si concretizza in tre forme, che possiamo considerare come i principali modi in cui il potere si manifesta nelle organizzazioni:
- il potere coercitivo, che si fonda sulla forza e consiste nella possibilità di sottrarre a un altro attore qualcosa di desiderato o di impedirgli di ottenerlo. In termini organizzativi può assumere la forma di un veto, di una esclusione, di un vincolo imposto che non lascia alternative;
- il potere economico, che deriva dal controllo su risorse materiali come denaro, budget, strumenti, tempo, e che consente a chi le gestisce di orientare con forza le scelte altrui;
- la leadership, che è a sua volta una forma di potere e si fonda su risorse simboliche come il prestigio, la reputazione, la competenza riconosciuta, la capacità di dare senso e direzione. È una forma di potere particolare, che opera attraverso il consenso e il riconoscimento volontario da parte di chi lo subisce.
Nella vita reale dei progetti queste forme raramente si presentano in modo isolato. Più spesso, si intrecciano e si rafforzano a vicenda: un responsabile può ricorrere alla forza del veto su una decisione, utilizzare il controllo delle risorse economiche per incentivare certi comportamenti e, contemporaneamente, far leva sulla propria credibilità per orientare i membri del team verso la direzione desiderata.
Potere potenziale e potere attuale
Nello studio del potere, si distinguono due attributi fondamentali del potere, che servono a spiegarne le dinamiche:
- parliamo di potere potenziale quando ci riferiamo all’insieme dei comportamenti che A potrebbe ottenere da B, grazie alla sua posizione o alle risorse di cui dispone. È come un capitale inespresso, una riserva di possibilità che rimane latente finché non viene utilizzata.
- Il potere attuale, invece, è il potere agito, quello che si traduce in azione concreta e produce effetti reali sul comportamento di B. È quando il CIO non si limita a sapere che potrebbe modificare la roadmap, ma lo fa davvero, ridisegnando le priorità.
La trasformazione di un potere potenziale in potere attuale viene definita esercizio del potere.
Ora, le teorie del potere si fondano su un assunto: l’esercizio del potere non è mai gratuito, comporta sempre un costo. Non soltanto costi economici, come l’impiego di fondi aggiuntivi o la necessità di estendere i tempi del progetto, ma anche costi politici e relazionali, che si manifestano sotto forma di conflitti, resistenze, perdita di consenso o erosione della fiducia.
Intenzione e interesse
Non ogni comportamento che risulta favorevole ad A è automaticamente il prodotto di una relazione di potere. Perché si possa parlare di potere, occorre che il comportamento di B sia collegato a un’intenzione o a un interesse di A. Possiamo distinguere, a questo proposito, tre possibilità.
C’è innanzitutto l’intenzione manifesta, quando A chiede esplicitamente a B di agire in un certo modo. C’è poi l’intenzione velata, quando A comunica la propria aspettativa in modo indiretto e B la coglie senza bisogno di una prescrizione esplicita. Infine, c’è la situazione in cui B agisce in un modo che A non aveva chiesto né espresso, ma che corrisponde comunque a un interesse di A: un comportamento non intenzionalmente richiesto, che tuttavia finisce per favorire chi detiene il potere.
Queste tre forme ci aiutano a comprendere che il potere non si esprime soltanto in ordini diretti e vincolanti, ma anche attraverso segnali impliciti e dinamiche spontanee che finiscono per avvantaggiare chi detiene le risorse e la posizione.
Credibilità e percezione
Un altro elemento fondamentale per comprendere il potere è che esso non dipende solo dalla disponibilità di risorse oggettive, ma anche dal modo in cui queste vengono percepite da chi le subisce. La stessa risorsa può avere un effetto decisivo su un attore e risultare quasi irrilevante su un altro: il potere è sempre funzione della sensibilità di B.
Inoltre, il potere diventa reale soltanto quando chi lo esercita è percepito come credibile, cioè capace e disposto a utilizzare effettivamente le risorse di cui dispone. Una minaccia o una regola che non vengono mai fatte valere si svuotano di significato e finiscono per indebolire la posizione di chi le formula. Al contrario, anche poche risorse, se utilizzate con coerenza e continuità, costruiscono una percezione stabile di affidabilità e di autorevolezza.
Implicazioni per chi guida team e progetti
Riconoscere la natura del potere significa accettare che esso non è una deviazione dalla normalità, ma un tratto costitutivo della vita organizzativa. Ogni progetto complesso è attraversato da dinamiche di potere: ignorarle significa privarsi di una delle chiavi interpretative più efficaci per capire ciò che accade realmente.
Per un CIO o per un manager, questo si traduce nella capacità di comprendere le dinamiche del potere, di valutare attentamente i costi connessi al suo esercizio e, di conseguenza, di bilanciare le tre forme — coercitivo, economico e leadership.
Dalle intenzioni ai risultati concreti
Il potere, in sintesi, è una forma di causazione sociale. Non è una proprietà personale che qualcuno può possedere in astratto, ma una relazione che prende vita nelle disparità di risorse e nella percezione che gli altri hanno di quelle risorse. È ciò che rende possibile coordinare azioni, dare coerenza alle decisioni, garantire direzione ai progetti.
Imparare a riconoscerlo e a esercitarlo con consapevolezza non significa cedere all’abuso o accettare logiche di dominio, ma al contrario dotarsi degli strumenti per governare i processi organizzativi con maggiore lucidità. Senza questa consapevolezza, le organizzazioni rischiano di essere guidate solo da intenzioni e buoni propositi; con essa, invece, possono trasformare quelle intenzioni in risultati concreti, sostenibili e duraturi.