Venturi: aprire alla globalizzazione

Per Stefano Venturi, amministratore delegato di Cisco, è necessario dare fiducia e stimoli all’azione di una classe manageriale e imprenditoriale che sembra spenta e impaurita. Invece di chiuderci a riccio perché arriva la Cina dovremmo prendere esempio da Marco Polo e guardare al mondo come fonte di ricchezza. Per cogliere le opportunità si dovrebbero “aprire” le aziende alla globalizzazione in una logica di rete.

Pubblicato il 23 Mar 2006

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ZeroUno: Su quali elementi agire per creare le condizioni  che favoriscano un percorso di globalizzazione del business e in genere un aumento delle capacità competitive delle imprese?
Venturi: Faccio una prima osservazione, come appartenente alla comunità dei manager. Il principale ostacolo che vedo oggi mi sembra la psicologia prevalente che si pecepisce nel mondo degli imprenditori, dei manager, degli amministratori delegati più concentrati sulle paure e i problemi che sulle opportunità. E allora le energie che partono dalle idee e che normalmente fanno muovere i capitali e le iniziative si spengono; gli stessi imprenditori cercano di investire meno e non cercano finanziamenti per le loro attività. Oggi l’Italia è, non a caso, il paese dove i fondi esteri investono meno, come risulta anche da una recente indagine dell’American Chamber of Commerce, che colloca il nostro paese fra gli ultimi in termini di investimenti americani in Europa.
Queste graduatorie sono lo specchio di quanto la classe imprenditoriale abbia fiducia in se stessa e nel futuro. Come possiamo cambiare questa situazione? A mio parere con un’iniezione di fiducia, con un invito all’azione e con strumenti che aiutino a giocare la partita in un mercato sempre più globalizzato.
L’invito all’azione deve venire dalla politica, ma anche dalla società civile, dalle associazioni, dalla gente: invece di chiuderci a riccio perché arriva la Cina dobbiamo cogliere le opportunità. Ricordiamoci di Marco Polo e della potenza della Repubblica di Venezia raggiunta grazie alla globalizzazione, che allora consisteva negli scambi con l’Oriente fatti dai mercanti.
L’Italia ha dei valori da vendere. Spesso guardiamo con sufficienza business come il Fashion o il Turismo. Ma nei paesi emergenti, appena si supera la soglia di povertà si compra un marchio. In Italia non solo abbiamo i loghi, ma abbiamo la capacità di crearne di continuo. Dobbiamo imparare a brevettare i marchi in questi paesi e creare un sistema di produzione che renda i prodotti accessibili anche per i paesi che si stanno arricchendo.

ZeroUno: Per poter cogliere le opportunità dei nuovi mercati come dovrebbero trasformarsi le imprese italiane? Come possono essere supportate dalle tecnologie innovative in questa evoluzione?
Venturi: Per cogliere le nuove opportunità è necessaria una trasformazione anche “mentale”: l’azienda deve aprirsi, riducendo la distinzione fra dentro e fuori. Ciò che consente questa evoluzione è la rete come sistema globale di scambio di informazioni. Oggi siamo davvero entrati nell’era dell’informazione: anche chi fa auto muove più informazioni che bulloni.
Diventa dunque rilevante gestire in modo efficiente le informazioni, ossia in maniera economica all’interno dell’azienda e portandovi entità esterne.
Non basta collegarsi a Internet, ma è necessario trasformare i processi aziendali per trarne vantaggio. La nuova era prevede il self-service dell’informazione, mentre l’e-mail è ormai uno stumento superato. La vera rivoluzione di Internet è infatti la disintermediazione dell’informazione: chiunque dal mondo deve poter accedere alle informazioni della mia azienda sia da un punto di vista marketing sia in termini di business operation.
In Italia la situazione è ancora molto arretrata: un numero piccolissimo di aziende usa questi strumenti; e anche chi li usa li ha messi in aggiunta agli strumenti tradizionali senza cambiare i processi. C’è dunque ragione di ottimismo, perché c’è grande posibilità di migliorare.
Certo non tutti potranno cogliere le opportunità. In Italia c’è ancora un certo numero di aziende, nate spesso da spinoff di grandi imprese, che fa lavori conto terzi, limitandosi a produrre componenti su commessa. Queste corrono i maggiori rischi di essere schiacciate dalla globalizzazione. Ma ci sono anche aziende che hanno un marchio, un marketing, una forza vendita proprie, una strategia di prodotto, che fanno innovazione. A queste l’Ict serve tantissimo soprattutto se interpretata con le nuove tecnologie e nuovi strumenti.
Ma bisogna ricordare che Internet e il web non si possono utilizzare per aprire l’azienda se non si usano adeguati sistemi di sicurezza. Cisco offre la sicurezza già a bordo della rete anziché com esistema aggiuntivo. Si possono usare le reti Ip come reti di telefonia e video per mantenere relazioni costanti e a costi ridotti con i dipendenti e i partner nel mondo. La rete si può far carico della protezione dei dati anche in termini di disaster recovery e duplicazione dei dati; lo storage non è più patrimonio del singolo host, ma può essere la rete a gestirlo.

ZeroUno: Cosa può fare Cisco, che è oggi è la signora della rete, per diffonderne la cultura, non solo dal punto di vista tecnologico, ma come modello organizzativo per le imprese e per la società?
Venturi: Facciamo diverse cose, ma vorrei citarne soprattutto due. La prima è l’iniziativa delle Networking Accademy: ne abbiamo create circa trecento, una trentina di università e il resto scuole superiori o di formazione professionale. L’obiettivo è creare competenze sulle reti innovative che spesso le Pmi faticano a trovare sul mercato a un costo adeguato. Con questa attività (su cui abbiamo investito circa 20 milioni di euro) formiamo gli insegnanti sulla base di un curriculum che in un anno consente agli studenti, a cui viene rilasciata una certificazione, di essere pronti per il mercato. Quest’anno ci sono settemila studenti che saranno pronti ad essere operativi sul mercato. Un’esperienza innovativa è stata la scuola fatta nel carcere di Bollate, per riconvertire i detenuti a un lavoro moderno.
Un’altra attività, che facciamo gratuitamente, si rivolge alle aziende che ce lo chiedono e dove c’è un elevato commitment del management per l’innovazione, è la consulenza rivolta a verificare il gap fra l’apertura in rete dell’Ict e gli obiettivi aziendali.

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