Cosa ci insegna l’esperienza Unicredit?

A commento dell’adozione della soluzione Credit Scoring di Sas nel progetto di compliance a Basilea II del Gruppo Unicredit, chiediamo, a Gianni Spreca (nella foto), consulting director di Idc Italia, un parere sui vantaggi della scelta di inserire pacchetti best-of-breed di analisi e valutazione dei dati in progetti complessi e altamente personalizzati

Pubblicato il 08 Feb 2007

p56-soreca-70

ZeroUno: Visto quanto ha fatto Unicredit per dare ai responsabili dello sviluppo dei modelli di rischio uno strumento che ne acceleri e semplifichi il lavoro, vorremmo sapere quanto di questa esperienza, in termini di scelte tecnologiche ed organizzative e di metodologia di esecuzione, si possa evidenziare a vantaggio di chi si trovi in analoghe condizioni.
Gianni Soreca: Per rispondere correttamente, bisogna distinguere tra la soluzione che è stata implementata, che è perfettamente aderente agli orientamenti del mercato, e il contenuto di business dell’iniziativa. Per cominciare, nonostante i modelli di rischio di organizzazioni così complesse siano sempre molto personalizzati (nel senso che le pratiche di fido di due banche diverse, anche se dello stesso gruppo, non saranno mai impostate su criteri uguali) la tendenza dei grandi vendor di soluzioni Cpm, Bpm e anche Bi, è quella di costruire una sorta, per così dire, di best-of-breed ‘ex ante’ [in sostanza, “ilmeglio” ma standardizzato ndr].

ZeroUno: Che intende dire con questa espressione?
Soreca: Che se fino a poco tempo fa era l’utente stesso, nel nostro caso la banca, a comprare quel che c’era di meglio sul mercato per poi costruirsi in casa la soluzione da dare agli utenti finali, oggi i grandi Isv e anche i maggiori system integrator provano a costruire soluzioni che rappresentano dei best-of-breed fornibili con determinati ‘flavour’ all’interno della propria offerta. Il caso più tipico è quello di Oracle, che in ambito Bi ha comprato una quantità di società al top della qualità e costruisce, sulla propria piattaforma, una soluzione che può tranquillamente essere considerata un best-of-breed, ne cura la manutenzione e sviluppa, sull’esperienza sia propria sia delle società acquistate, una serie di modelli che offre all’utente pronti per l’uso. Questo approccio, che fino a pochi anni fa sarebbe stato rifiutato anche da una media organizzazione, oggi viene molto ben accettato da qualsiasi dipartimento It. Questo, soprattutto, per il buon motivo che i responsabili It si sono stancati di sentirsi dire di essere in ritardo sulle richieste degli utenti. L’acquisto di una soluzione già fatta permette loro di dare subito una risposta e di guadagnare tempo per i successivi aggiustamenti. Anche grandi system integrator, come Accenture, entrano nelle aziende proponendo piccoli progetti che coprono solo una parte dello sviluppo di nuove soluzioni ma dove possono mettere ugualmente a frutto le loro competenze.

ZeroUno: È una strada che ritiene vantaggiosa per ogni tipo d’impresa?
Soreca: Questo approccio, finalizzato a una misura immediata dei risultati, è comunque importante per l’It perché può tranquillizzare l’utente dandogli subito uno strumento con cui lavorare e non impedisce, una volta che il pacchetto sia ben integrato nei sistemi, di poterlo perfezionare realizzando uno strumento davvero efficace. La scelta Unicredit nasce, a mio parere, proprio dal bisogno di far ordine nella complessità che si è venuta a creare con la fusione con la banca tedesca e di farlo con soluzioni unificate e di facile impiego. Sas, forte anche della sua esperienza in grandi organizzazioni e ambienti centralizzati, si è quindi presentata con un modello di metadati precostruito e una soluzione parzialmente precostruita che già rispondeva alle esigenze generiche di una banca e che era pronta per essere personalizzata su quelle di Unicredit.

ZeroUno: Allora il compito dell’It manager è soprattutto quello di valutare quale delle soluzioni che offre il mercato si possa meglio calare nella sua realtà, sia organizzativa, come processi, sia di sistema, come tecnologia. Come aiutarlo in questo processo
Soreca: In primo luogo, deve rendersi conto che l’approccio ’compro io e me l’aggrego io’ oramai non funziona più. Deve pensare a quante volte ha dovuto fare lo stesso ciclo di operazioni per ogni applicativo o tool che gli è stato venduto o che ha voluto comprare: ogni volta ha dovuto imparare a estrarre i dati, disegnare il data warehouse, definire le metriche, fare training agli utenti, curare il roll-out della soluzione e così via. Se moltiplichiamo il costo di queste attività per ciascuna delle soluzioni implementate immaginiamo i costi che si sono dovuti registrare a consuntivo. Il Cio deve allora scegliere qualcosa che migliori la disponibilità dell’informazione all’utente finale ma che nel contempo, come ha sottolineato anche il responsabile di Unicredit, non sia una rottura rispetto a quanto fatto in passato. Oggi, anche in Italia, all’utente interno di una banca, ma anche di aziende di altri settori, non basta più un report fornito dopo 48 ore. Ha sempre più bisogno di valutare e decidere in tempo reale, su dati elaborati in maniera consistente e integrata e, soprattutto, allineati ai continui cambiamenti. Spetta quindi al Cio verificare quanto questo sia possibile e, in aggiunta, verificare che l’impatto architetturale della soluzione proposta sia molto ridotto e che quindi il suo Tco sia contenuto, adeguato ai budget limitati di cui in questo momento l’It può disporre.

ZeroUno: Oltre che a dare uno strumento d’uso immediato all’utente, la soluzione preconfezionata ha anche il vantaggio, per l’It, di poter mostrare subito dei risultati al board…
Soreca: Certamente. Non sentirsi più dire ‘siete in ritardo di sei mesi’ per un Cio rappresenta già un Certamente. Non sentirsi più dire ‘siete in ritardo di sei mesi’ per un Cio rappresenta già un bel ritorno d’investimento.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati

Articolo 1 di 2