Il tema della sovranità digitale europea non può più ridursi a una questione geografica di data center o di localizzazione delle sedi. A ricordarlo è stato John Gazal, Vice President Southern Europe di OVHcloud, nel corso del convegno “Il Cloud tra AI e sovranità: strategie e politiche industriali per un nuovo ecosistema digitale” organizzato dall’Osservatorio Cloud Transformation del Politecnico di Milano.
Gazal ha spiegato come provider nativi europei e cloud sovrani stiano oggi ricevendo una crescente attenzione da parte delle imprese e delle istituzioni. Tuttavia, la sola origine geografica o giuridica di un servizio cloud non basta più a definire la sovranità: «Siamo sovrani by design, ma questo non è sufficiente. È necessario, ma non basta».
Secondo Gazal, per comprendere il valore aggiunto del cloud sovrano occorre tornare a quella che fu la promessa originaria della nuvola. La prima, e forse la più importante, è la reversibilità. Un cloud veramente aperto deve consentire ai clienti di muoversi liberamente tra diversi provider, senza vincoli o dipendenze tecnologiche. «La nuvola non può essere una prigione – ha sottolineato –. Con soluzioni open source il cliente ha libertà di muoversi. Se c’è un lock-in tecnologico, quello non è cloud».
È questo il punto di partenza di una riflessione che mette al centro l’autonomia dell’utente e la capacità europea di proporre standard aperti e interoperabilità reale, valori spesso trascurati in un mercato dominato da logiche proprietarie.
Indice degli argomenti
Trasparenza e sostenibilità come pilastri del modello europeo
Un secondo pilastro del cloud sovrano individuato da Gazal riguarda la trasparenza dei costi. Il dirigente di OVHcloud ha osservato come il modello di pricing dei provider europei si distingua per chiarezza e prevedibilità, aspetti che assumono un peso crescente per i responsabili IT. «Quando parlo con clienti che lavorano con attori americani, mi dicono che i nostri prezzi sono più competitivi. Ma il vero vantaggio è che sono più chiari, più trasparenti. È più facile per un CIO prevedere i costi».
La leggibilità del modello economico si traduce in una gestione più efficiente dei budget e in un rapporto di fiducia tra fornitore e cliente, dimensione che in Europa è sempre più centrale nella trasformazione digitale delle imprese pubbliche e private.
Il terzo elemento sottolineato da Gazal è la sostenibilità ambientale. Un principio che, secondo il manager, fa parte del DNA stesso dei provider europei: «Noi, siccome siamo fabbricanti, compriamo tutto green. Lo diciamo, ma lo possiamo dimostrare».
Nel panorama cloud globale, dove l’impatto energetico dei data center rappresenta una delle principali sfide, l’approccio europeo si fonda su una filiera di approvvigionamento sostenibile e su un impegno concreto verso l’efficienza energetica. La riduzione dell’impronta ecologica diventa così non solo un vantaggio competitivo, ma una responsabilità condivisa verso l’intero ecosistema digitale.
Innovazione europea e parità tecnologica con gli hyperscaler
Per Gazal, tuttavia, la sfida principale del cloud sovrano risiede nella capacità di innovare al livello dei grandi hyperscaler internazionali. «È fondamentale essere a livello degli americani» ha affermato, ricordando come OVHcloud abbia investito negli ultimi anni nello sviluppo del Public Cloud, del PaaS e del DBaaS.
Il percorso, spiega, è stato complesso e oneroso, ma ha consentito di costruire un’offerta in grado di coprire l’intero catalogo di servizi avanzati: Kubernetes, AI e Quantum Computing. «Abbiamo scelto di prendere la sfida del Public Cloud e del PaaS. È difficile, abbiamo fatto un investimento molto grosso, ma oggi possiamo dire di offrire tutto il catalogo».
L’obiettivo è garantire che le imprese europee non siano costrette a scegliere tra sovranità e performance, ma possano accedere a tecnologie avanzate senza rinunciare alla trasparenza e alla tutela dei dati. La presenza di progetti legati all’intelligenza artificiale e al quantum dimostra che l’innovazione europea è già in atto e non si limita più al terreno normativo o infrastrutturale.
L’esempio dell’Agenzia Spaziale Europea: la sovranità come condizione
Nella parte conclusiva del suo intervento, Gazal ha citato un caso emblematico di collaborazione tra istituzioni e provider europei: quello dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA).
Nel processo di migrazione verso il cloud, l’ESA ha posto una condizione chiara: l’infrastruttura doveva garantire piena sovranità del dato. Una scelta che, pur rappresentando una sfida tecnica e organizzativa, dimostra come sia possibile coniugare autonomia tecnologica e innovazione.
«L’Agenzia Spaziale Europea è molto interessante perché è l’unica istituzione che, quando ha fatto il suo movimento nel cloud, ha detto: con una condizione, sovranità del cloud» ha raccontato Gazal. L’esperienza ha attirato l’attenzione anche fuori dai confini europei: «La NASA lo sta vedendo».
L’episodio sintetizza l’ambizione di un’Europa che non vuole limitarsi a “proteggere” i propri dati, ma intende valorizzarli attraverso infrastrutture e piattaforme di proprietà o controllo europeo, capaci di competere in qualità e sicurezza con le alternative globali.
Investire nella sovranità tecnologica europea
La riflessione di John Gazal si chiude con un invito a proseguire il percorso di crescita comune: «Noi europei dobbiamo continuare a investire e offrire un’innovazione a livello della concorrenza».
Il cloud sovrano non è dunque un traguardo, ma un processo di evoluzione continua, che richiede collaborazione tra imprese, istituzioni e centri di ricerca. L’obiettivo è costruire un ecosistema europeo competitivo, sostenibile e indipendente, capace di coniugare efficienza, trasparenza e innovazione. Le quattro dimensioni individuate da Gazal — reversibilità, trasparenza, sostenibilità e innovazione — delineano un modello europeo di cloud computing che, pur partendo da una visione regolamentare e culturale diversa da quella americana, sta dimostrando di poter competere su scala globale.