Jeremy rifkin: il web “energetico”, terza rivoluzione industriale

Per contrastare la crisi ambientale sotto la quale rischiamo di soccombere, Jeremy Rifkin ipotizza una terza rivoluzione industriale: produzione di energia rinnovabile basata sull’idrogeno e condivisione e distribuzione della stessa attraverso reti intelligenti. E l’Unione Europea potrebbe avere un ruolo di primo piano

Pubblicato il 30 Gen 2009

Fellow alla Wharton School, Presidente della Foundation on Economic Trends, Consulente su trend scientifici e tecnologici (Consigliere del Primo Ministro Zapatero, lo è stato anche di Angela Merkl e di Romano Prodi Presidente della Commissione Ue) – ma anche bollato di allarmismo in patria, Time lo ha definito ”lo scienziato vivente più odiato”- Jeremy Rifkin è intervenuto, nei lavori della quattro giorni Idc Innovation Forum 2008, sul tema della “Sfida ambientale, modelli economici e nuove tecnologie per uno sviluppo sostenibile”. Muovendo da previsioni ecologiche anche comprensibilmente cupe, presenta la visione della terza rivoluzione industriale che ha origine dalla contemporaneità di due discontinuità prossime venture e tra loro in sinergia: energetica (fonti alternative) e comunicativa (grid basato sul Web energetico). E prevede un ruolo di leadership proprio per la Comunità Europea, vista emergere nella innovazione e nelle tecnologie per una condivisione dell’energia in rete (con la partnership pubblica/privata annunciata dalla Commissione Ue a ottobre 2007, per l’introduzione commerciale di una nuova economia dell’idrogeno rinnovabile).
Da un punto di vista geologico, le future generazioni si riferiranno a noi come all’era dei combustibili fossili, mettendoci in fila dietro le ere dei ghiacci, del bronzo e del ferro. Siamo al tramonto di una civiltà e di una economia che su un mix di combustibili fossili (petrolio, carbone, gas e nucleare) fondano energia, trasporti e riscaldamento. Abbiamo quattro problemi strutturali non più sostenibili: cambiamenti climatici, debito dei paesi sottosviluppati ingestibile con il barile oltre i 110 dollari, volatilità delle economie in “supply shortage” sul petrolio residuo, “picco globale del petrolio” previsto entro qualche decade. Per l’effetto serra diciamo solo che sono stati studiati scenari di riscaldamento del pianeta da 4 a 10° Celsius al 2100, tutti catastrofici; un aumento di 3° è uno scenario “intermedio” che ci porterebbe indietro al pliocene (3 milioni di anni fa), con flora, fauna ed ecosistema totalmente diversi dal nostro; “dobbiamo” mantenere l’aumento al 2100 sotto i 2°, non esiste un piano B rispetto a politiche più vicine possibili a zero emissioni di carbonio. E guardiamo al quarto fattore, il previsto picco globale del petrolio.
Serve una terza rivoluzione industriale, la rivoluzione del “Web energetico”, che come le due precedenti è abilitata da una convergenza di nuovi regimi nell’energia e nelle comunicazioni. Così è stato per la prima, in cui la tecnologia del vapore alimentato a carbone non sarebbe decollata usando manoscritti o comunicazioni verbali, cioè senza carta stampata; così è stato per la seconda in cui forme di comunicazione elettrica/elettronica di prima generazione (telegrafo, telefono, radio, televisione e calcolatori) hanno fatto sinergia in vario modo con motore a scoppio e petrolio. Similmente ha già fatto le prime mosse la rivoluzione del Web energetico che usa i principi e il potenziale tecnologico che hanno reso possibile Internet e vaste reti globali distribuite per riconfigurare le griglie (grid) di produzione energetica, in modo da produrre energia rinnovabile e distribuirla da un punto a un altro (peer to peer), in forma decentrata, proprio come è già possibile farlo con l’informazione. È il World wide web energetico [come titola un libro di Rifkin, edito da Tarcher/Penguin, ndr]. Già, ma come è costruita una rete del genere? E com’è possibile che soddisfi un’economia nazionale o globale con la sola energia rinnovabile (sole, vento, idrologico, geotermale, maree, biomasse)?
Il Web energetico è costruito su tre pilastri: le forme rinnovabili di energia, l’idrogeno come sistema per immagazzinare energia altrimenti intermittente nelle varie forme, e un “intergrid” intelligente. Le forme rinnovabili, dal limbo di frazione del mix globale energetico, stanno crescendo rapidamente, con miliardi di euro investiti in R&d e la domanda business e di abitazioni private che spinge per consumi indipendenti ed efficienti.
Il limite dell’intermittenza delle fonti è superabile adottando sistemi di immagazzinamento: fra varie alternative di nicchia, emerge l’idrogeno che, a partire dall’elettricità delle forme rinnovabili, viene prodotto per elettrolisi dall’acqua (fanno eccezione le biomasse che lo producono direttamente); e l’idrogeno con batterie rigenera elettricità, producendo solo acqua e calore come prodotti secondari. È l’economia, oltre che l’immagazzinamento dell’idrogeno, su cui punta la Commissione Ue con l’annuncio di ottobre 2007 per accelerarne l’introduzione commerciale nei 27 stati membri. È questo comunque il secondo pilastro, di cui la Ue si è già dotata.
Il terzo è la riconfigurazione della rete di distribuzione energetica europea, secondo le linee guida di un intergrid intelligente, su cui stanno lavorando con progetti pilota le varie società di Utility europee. L’intergrid si articola in tre componenti chiave: dei “Minigrid” che consentono a privati di produrre localmente energia (per esempio con celle solari) per propri consumi e di avere un rapporto bidirezionale con la rete di distribuzione (rivendita dell’eventuale eccesso sul fabbisogno, fruizione del solo differenziale energetico necessario); sensori intelligenti in ogni apparecchiatura domestica o d’ufficio, con un’interconnettività pervasiva e un software che può rimodulare in tempo reale i flussi nei momenti di picco, ed arrivare ad un “pricing dinamico”; e (un po’ più avanti nel tempo) reti di utility intelligente che percepiscono i cambiamenti di tempo, ambiente, flussi solari e venti, con capacità di aggiustamento continuo fra fonti distribuite e domanda capillarmente distribuita.
L’obiettivo di un intergrid continentale Ue è di consentire ad ogni stato membro di produrre la sua energia e, di nuovo, condividere con il resto d’Europa i surplus: per esempio solari (Italia), venti (Regno Unito), idrologici (Portogallo), riciclo forestale (Slovenia), biomasse (Polonia). L’immagazzinamento in idrogeno permette una razionalizzazione e un’efficienza di livello continentale. La Ue, secondo Rifkin, è posizionata per emergere come leader nella terza rivoluzione industriale, con capacità di esportare know-how e tecnologie verdi: tecnologie per energie rinnovabili di nuova generazione, produzione di batterie a idrogeno fisse o mobili, reinvenzione dell’automobile, trasformazione di milioni di edifici in piccole centrali di produzione di energia.
E qui c’è la risposta anche alla seconda domanda, sottolinea Jeremy Rifkin: come fa a bastare la sola energia rinnovabile a livello continentale o globale? Si possono fare anche i conti di dettaglio, ma è lo stesso principio per cui nel mondo Ict le tecnologie grid di seconda generazione permettono al business di collegare migliaia di piccoli personal computer, ottenendo una capacità elaborativa distribuita di un ordine di grandezza superiore al più grande supercomputer esistente. Allo stesso modo, milioni di produttori locali di energia rinnovabile, con accesso a una rete di utility intelligente e capace di immagazzinamento strategico su un territorio sufficientemente grande, hanno il potenziale di produrre e mettere in comune molti più Megawatt e Gigawatt delle vecchie forme centralizzate di energia, petrolio, gas e nucleare su cui si deve far oggi affidamento. ]

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