La Open Platform Organization non è solo una nuova architettura organizzativa. È la risposta strutturale a un cambiamento profondo dei mercati, dei clienti e della commistione di generazioni che oggi vivono dentro le aziende e fuori dalle aziende. Un modello che abbandona linee di riporto rigide e funzioni verticali separate, dove ogni decisione passa dai vertici e ogni società acquisita mantiene processi e ruoli duplicati.
La filosofia dell’Oper Platform Organization è una trasformazione radicale del modo di pensare l’azienda, il suo purpose e il ruolo che le persone possono giocare nella creazione del valore. L’urgenza nasce da una sfida che oggi tocca tutte le imprese: restare rilevanti in un contesto dove l’innovazione non è più solo tecnologica, ma riguarda il modo in cui cambiano i bisogni, la natura delle domande e le aspettative rispetto alle risposte ricevute dalle organizzazioni. Oggi i clienti non cercano più semplicemente un prodotto o un servizio: si aspettano soluzioni capaci di anticipare problemi, generare valore nel tempo e garantire esperienze coerenti e consistenti.
In sintesi, la Open Platform Organization è un cambio di paradigma in un modello che sostituisce la tradizionale logica piramidale e gerarchica con una rete piatta e distribuita. Una struttura fondata su micro‑team imprenditoriali, piccoli gruppi autonomi di poche persone che operano come delle micro‑enterprise: definiscono strategie, obiettivi, investimenti e si assumono la responsabilità diretta dei risultati.
Azionando un network di collaborazioni, i team si coordinano tramite contratti interni e piattaforme condivise, non attraverso funzioni verticali. È un sistema che punta alla zero distance, cioè a mettere ogni persona in contatto diretto con il cliente senza filtri organizzativi, così che le decisioni vengano prese vicino ai problemi e la responsabilità del valore creato sia condivisa. In questo modo l’organizzazione smette di costruirsi attorno alla propria struttura in maniera autoriferita. Diventa aperta, per ricostruirsi partendo dall’esterno per rispondere in modo più veloce, integrato e continuo alle necessità del cliente.
Indice degli argomenti
Dal confronto all’azione: la decisione di cambiare tutto
È in questo scenario che Var Group ha scelto di dare vita al proprio modello di Open Platform Organization. Lo ha raccontato in un evento in cui ha coinvolto alcune tra le voci più autorevoli della scena internazionale per riflettere su come ripensare l’impresa – non solo nei processi o nei servizi – ma nelle sue fondamenta organizzative e culturali.

“Negli ultimi dieci anni Var Group è cresciuta moltissimo: quando sono arrivata in azienda nel 2014 il fatturato era di 156 milioni di euro che oggi sono diventati 870 milioni – racconta Francesca Moriani, CEO di Var Group –. Eravamo 650 persone, oggi siamo 4.400. Lavoravamo praticamente solo a Empoli, oggi siamo presenti in 15 Paesi in tutto il mondo. Risultati grandiosi ma a un certo punto ci siamo resi conto che crescere non è sufficiente se l’organizzazione non è in grado di tenere il passo delle nuove domande del mercato. Nel 2022 abbiamo iniziato a realizzare che qualcosa non funzionava come avrebbe dovuto. C’era uno scollamento tra il servizio che erogavamo e il livello di soddisfazione dei clienti. Il motivo? Non riuscivamo ad aiutarli ad avere una visione d’insieme di quello di cui avevano bisogno perché, crescendo, avevamo instaurato modelli e processi sempre più rigidi e compartimentati. Spendevamo più tempo a parlare tra di noi e a risolvere i conflitti interni che a occuparci delle aziende che hanno bisogno dei nostri servizi. La domanda stava cambiando e noi non eravamo abbastanza veloci nel rispondere”.
Dal prodotto alla relazione: perché la logica lineare non basta più
Per capire il contesto e la portata di questo nuovo modello organizzativo e dell’evoluzione del rapporto tra imprese e clienti bisogna fare un passo indietro. Per decenni le aziende hanno perseguito un modello di business incentrato su una logica lineare: identificare una domanda e progettare un prodotto o un servizio come risposta. Il problema è che oggi la domanda è diventata frammentata e imprevedibile.
Non basta aspettare che il cliente formuli un’esigenza per poi reagire: la vera sfida è saper leggere in anticipo i bisogni reali – spesso inespressi – e organizzarsi per accompagnarli lungo percorsi che non si esauriscono in una transazione, ma diventano relazioni continue, partecipative e co‑creative.
Per riuscirci serve un sistema interconnesso, più aperto e adattivo, capace di superare barriere e silos. Passando da una logica di reazione a una logica di relazione a valore aggiunto, Var Group ha scelto di riprogettarsi dall’interno con coraggio e chiarezza di intenti.
“Abbiamo aperto un cantiere, scegliendo di farci aiutare da Kopernicana, una società di consulenza fatta di gente folle come noi di cui Quintarelli era parte attiva – ha precisato Moriani –. Non ho chiesto di aggiustare qualche processo o di rivedere qualche ruolo. Ho detto chiaramente che volevo un cambio radicale. Volevo un’organizzazione che fosse veloce, che non si perdesse in burocrazia, dove le persone non avessero paura di alzare la mano e dire questo non funziona. Ci vuole coraggio per dirlo, ma se non hai la forza di guardarti dentro e cambiare davvero, non puoi chiedere alle persone di fare altrettanto. Un’azienda, anche se molto spesso oggi più o meno consapevolmente ce lo dimentichiamo, ha un ruolo che è anche sociale: creare un indotto che non sia solo fine a sé stesso, ma capace di far stare bene più persone possibili”.

Per spiegare un’intuizione diventata visione ed azione, Moriani ha scritto un libro dal titolo emblematico “Braveship – Il coraggio di innovare: perché intraprendere un viaggio verso la leadership diffusa”. A metà strada tra il racconto biografico e il saggio manageriale, l’autrice scrive e descrive il suo approccio a “…un nuovo modo di agire, portato avanti in gruppi fatti in un’altra maniera. Un modo di essere scintille, inneschi, micce, leader in maniera diffusa. Senza dipendere dai soliti apripista. Senza essere a carico di guru, saggi, maestri di pensiero più o meno inconsapevoli che finiscono per essere un collo di bottiglia per l’intera azienda.
L’idea di fondo? Non più leadership accentrate, ma una cultura diffusa in cui le cose succedono perché chiunque si prende la responsabilità di guidarle, senza attendere istruzioni dall’alto.
Dalla crescita alla scelta consapevole di rimettersi in gioco
Per non restare imprigionati dalla complessità Var Group ha scelto di muoversi, trasformando la crescita in occasione di cambiamento profondo: organizzativo e culturale.
“A un certo punto mi sono resa conto che serviva una scossa culturale prima che tecnica – ha puntualizzato Moriani –: le persone avevano bisogno di sentirsi libere di esprimersi. La libertà di espressione è sempre stata per me un valore personale e volevo che diventasse un valore aziendale: l’innovazione non può nascere dove c’è paura. L’obiettivo era tornare a mettere il cliente al centro, ripartendo dalle persone che, attenzione, non sono asset da gestire. Vanno gestiti i problemi. Delle persone ci si prende cura. Senza persone, senza team, la partita non si vince. In Var Group puntiamo sulle persone, le persone vincono in team, i team girano se si rispettano, si conoscono e si divertono. Così promuoviamo una intelligenza collettiva senza schemi o barriere”.
Zero distance: un’impresa che si organizza partendo da chi la vive
Questa rivoluzione del principio di relazione dai clienti ai dipendenti Var Group lo ha esteso non per compiacere il cliente o assecondarne ogni richiesta. L’obiettivo è conoscere davvero il cliente, fino quasi ad anticiparne i bisogni meglio di quanto non sappia farlo lui stesso. Il che richiede un cambio di prospettiva radicale: costruire l’organizzazione dall’esterno verso l’interno, partendo da chi, a seconda del suo journey, può essere semplice utente, consumatore, acquirente, cliente, membro fedele, prosumer o partner. Un cambio di rotta necessario affinché un’azienda possa mettere la propria competenza nel risolvere problemi reali.
“L’obiettivo è raggiungere una distanza zero dal cliente, il che non significa abdicare alle proprie responsabilità. Il cliente non ti dà questa possibilità – ha commentato William Fischer, docente di innovazione e management alla MIT Sloan School of Management e all’IMD di Losanna –. Significa avvicinarsi abbastanza al cliente, o all’utente (e qui c’è una distinzione importante, perché a volte il cliente è un intermediario tra te e l’utente finale), per arrivare a conoscerlo forse meglio di quanto lui stesso si conosca, aiutandolo a risolvere i problemi che incontra nella sua vita. Serve un approccio outside-in: l’organizzazione è orientata verso l’esterno, andando incontro a un futuro che non conosciamo e in cui le aspettative continueranno a crescere: i clienti vorranno di più e lo vorranno subito”.
Come sottolinea Fischer, la maggior parte delle organizzazioni dovrà accedere a competenze che oggi non possiede e dovrà riuscirci senza gonfiare i propri organici e senza inglobare tutto all’interno. Le imprese dovranno imparare a costruire relazioni solide e a lavorare in ecosistemi, creando connessioni con partner e reti di competenze esterne. È lì che si giocherà la capacità di restare rilevanti.
Open Platform Organization: la lezione di Haier e l’adattamento di Var Group
Tra i modelli di Open Platform Organization che hanno ispirato Var Group c’è quello sviluppato da Haier, colosso cinese degli elettrodomestici e delle soluzioni smart home. Nato dalla visione del fondatore Zhang Ruimin, il modello RenDanHeYi (letteralmente significa collegare ogni persona a ogni utente per creare e distribuire valore – NdR) ha cambiato per sempre l’idea stessa di impresa. Oggi un’azienda di centinaia di migliaia di persone opera come un insieme di micro‑imprese autonome, connesse e responsabili che interagiscono direttamente con i clienti senza filtri, trasformando i dipendenti in imprenditori e non più in esecutori.
“RenDanHeYi significa superare la dipendenza. Non sei più un dipendente che riceve istruzioni: sei una persona che si prende responsabilità e che viene misurata sul valore che riesce a creare insieme al cliente – ha spiegato Emanuele Quintarelli, CEO e founder di Chaordic e tra massimi esperti di modelli organizzativi post‑gerarchici -. E questo cambia tutto: cambia il concetto di stipendio, perché non è più deciso da un capo ma è legato al risultato che porti; cambia il modo in cui ci si organizza, perché una multinazionale non è più fatta di grandi funzioni e reparti ma di piccole squadre autogestite. Ogni team decide la propria strategia, sceglie le persone e gestisce direttamente il proprio conto economico. Il secondo passo è la connessione tra questi team. Non ci sono linee di riporto ma contratti di collaborazione: tanti nodi che si legano intorno a un bisogno del cliente”.

Questo insieme di nodi costituisce una ecosystem community: ciascuno porta una parte di valore e tutti insieme rispondono al bisogno del cliente, redistribuendo il valore creato. Infine, ci sono le piattaforme condivise, che forniscono servizi di supporto come HR, legale, finance. Queste piattaforme funzionano come fornitori interni, ma se non sono in grado di offrire un servizio utile e competitivo, i team possono rivolgersi all’esterno.
Come funziona il modello in Var Group
In sintesi, la Open Platform Organization di Var Group si traduce in una struttura a micro‑team di 10‑15 persone, ciascuno con autonomia di strategia, obiettivi e gestione economica. Questi team – chiamati micro‑enterprise – lavorano come piccole imprese dentro l’impresa, si connettono in una rete di relazioni basata su contratti interni di collaborazione e non su gerarchie.
“Oggi vediamo in Var Group cose che fino a due anni fa erano impensabili – ha detto Moriani –. Le persone prendono decisioni, propongono nuove iniziative, si assumono responsabilità senza aspettare un via libera dall’alto. Questo cambia la velocità con cui rispondiamo al mercato e allo stesso tempo crea un clima più sano: meno conflitti interni e più energia concentrata sul cliente”.
È così che l’Open Platform Organization prende forma in Var Group: una struttura organizzativa che trasforma la crescita in collaborazione continua. No alle gerarchie, sì a ruoli e responsabilità. No ai formalismi, sì a un modello organizzativo basato sulla collaborazione, sulla conoscenza condivisa che ci valorizzi innanzitutto come persone. Stimolando l’ascolto, il dialogo e la comprensione, la cultura del feedback e della retrospettiva.
“L’adozione di Axi, una tecnologia sociale che permette a chiunque di proporre idee, sfidare processi e prendere decisioni, ha accelerato la responsabilizzazione delle persone – chiarisce Moriani -. Questo sistema, ancora in evoluzione, ha l’obiettivo di dare velocità e libertà ai team, creando valore diretto per i clienti. Nel 2025 abbiamo concentrato i nostri investimenti su due fronti: formazione e pratica. Il nostro obiettivo? Continuare a essere un’azienda dove si sta bene e si vive bene”.
Leaderful, non leaderless: il coraggio di cambiare stile di guida
Un’impresa che sceglie di aprirsi e responsabilizzare le persone ha bisogno di una guida diversa: meno centrata sul controllo, più capace di facilitare. Come è emerso durante l’evento, la trasformazione è prima di tutto una questione di leadership.
“Quando si parla di modelli organizzativi nuovi, le persone spesso pensano subito alla tecnologia o alle procedure. Ma la vera difficoltà non è quella – ribadisce Stuart Crainer, Co-founder Thinkers50 -. La parte difficile è culturale: è cambiare la testa delle persone, il modo in cui si è sempre gestito il potere nelle aziende. Nella maggior parte delle organizzazioni la cultura del comando è molto radicata. E questo è naturale: per decenni il management è stato abituato a controllare, a dare ordini, a verificare che tutto si muova secondo piani decisi dall’alto. Rompere questo schema è un passaggio doloroso, perché mette in discussione la sicurezza personale di chi comanda. Molti leader dicono di essere pronti ad aprirsi, a condividere, ma nel momento in cui devono davvero lasciare andare il controllo, hanno paura di perdere autorità, di non essere più indispensabili».
Un’organizzazione moderna ha bisogno di capi che sappiano guidare in un altro modo: persone che abilitano, che liberano energie, che costruiscono fiducia. La fiducia è la parola chiave perché senza trasparenza non c’è collaborazione vera, ascoltando quello che gli altri hanno da dire, anche se non sei d’accordo. In molte aziende invece prevale il timore di sbagliare, di essere giudicati, di essere puniti. È questo impedisce alle persone di essere creative e responsabili.
“Prima di cambiare le strutture i leader devono chiedersi se sono disposti a perdere il controllo, a perdere il potere, a diventare trasparenti, a fidarsi delle persone – ha concluso Moriani -. La trasformazione parte da lì: se non sei pronto, non puoi guidarla. Vuol dire che ogni persona deve sentire di avere il diritto e la responsabilità di fare la cosa giusta per il cliente. Questo non si ottiene con un organigramma. Si ottiene cambiando la mentalità collettiva. Non ci sarà mai zero distance se la gente ha paura o se pensa che quello che conta è solo fare carriera. Se vuoi davvero costruire un’organizzazione moderna devi accettare che il cambiamento non è un progetto: è un viaggio. Non c’è un punto d’arrivo, c’è la scelta di muoversi ogni giorno nella direzione giusta, anche quando fa paura. E la direzione giusta è quella che mette il cliente e le persone davanti a tutto il resto”.
Questo approccio è valso a Var Group il Zero Distance Excellence Award, il riconoscimento internazionale promosso da IMD Business School e Haier Model Research Institute che premia le organizzazioni capaci di abbattere le distanze interne ed esterne, costruendo ambienti di lavoro piatti, aperti e responsabilizzanti. Un traguardo che non rappresenta un punto di arrivo, ma la conferma che la strada intrapresa con il modello di Open Platform Organization è quella giusta.