In Italia sono stati individuati 282 “innovatori” che hanno adottato il Design Thinking, in particolare membri del board direttivo, esperti IT, addetti Marketing e vendite e Designer, appartenenti a 215 imprese di diversi settori, soprattutto finanza e assicurazioni, energia, informazione e comunicazione, PA. Il 56% di questi, come vedremo, è costituito da utenti esperti che adottano la metodologia da più di un anno e rappresentano esempi di adozione del Design Thinking principalmente per progettare nuove esperienze per gli utenti, prevedere trend tecnologici e sviluppare piattaforme o ecosistemi di innovazione. Chi lo adotta da meno di un anno, lo impiega soprattutto per sviluppare nuovi prodotti o servizi, progettare esperienze utenti, promuovere nuovi valori, attitudini, comportamenti.
Nella consulenza si contano 291 progetti in Europa basati sul Design Thinking, sviluppati da società di consulenza strategica, agenzie digitali, studi di design e di sviluppo tecnologico. 128 di questi progetti sono stati avviati in Italia, dove è coinvolto mediamente il 48% dei dipendenti di ogni unità aziendale e il Design Thinking ha generato il 40% dei ricavi, soprattutto nei settori finanza, assicurazioni e manifattura. In Italia l’approccio che produce più ricavi nella consulenza basata su Design Thinking è il Creative Problem Solving (32%), seguito dal Creative Confidence (25%), dalla Sprint Execution (24%) e dall’Innovation of Meaning (15%).
Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Design Thinking della School of Management del Politecnico di Milano, presentata a Milano al convegno Mapping Design Thinking: Transformations, Applications and Evolutions.
“In un momento in cui siamo inondati da informazioni e in cui le innovazioni tecnologiche si susseguono a grande velocità – ha affermato Roberto Verganti, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Design Thinking for Business – il Design Thinking consente di orientarsi e mantenere alta la concentrazione su ciò che veramente è in grado di coinvolgere tutti i livelli aziendali e di portare valore a un potenziale cliente. Le imprese italiane sono più consapevoli e mature rispetto al passato, ma spesso non sfruttano ancora tutte le potenzialità dei modelli alternativi di innovazione”.
“Il Design Thinking – ha commentato Francesco Zurlo, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Design Thinking for Business – si sta trasformando da accessorio per imprese focalizzate su nicchie di consumatori a elemento centrale per il business di qualsiasi impresa. Il Design Thinking è un catalizzatore di innovazione per le imprese, perché aiuta a catturare il potenziale delle innovazioni tecnologiche e a trasformarlo in prodotti o servizi significativi e accessibili all’utenza. La sua diffusione in settori molto diversi fra loro, inoltre, ne evidenzia il ruolo di supporto a progetti strategici”.

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Innovatori esperti e meno, ecco come si comportano coloro che adottano il Design Thinking
Tra i 282 innovatori di cui si è detto, 156 sono gli Adopter, ossia gli utilizzatori esperti con più di tre anni di esperienza, e 126 “Wannabe”, che hanno appena iniziato il loro percorso con un’esperienza media di sei mesi.
“I numeri – ha suggerito Stefano Magistretti, Ricercatore senior dell’Osservatorio Design Thinking for Business – riflettono il divario di esperienza e di maturità fra i due gruppi . Gli Adopter generano ricavi per 546 milioni di euro contro i 442 dei Wannabe. Il gap si allarga ulteriormente se si considerano gli investimenti in innovazione: 1.848 milioni di euro (di cui 480 in Design Thinking) per gli Adopter e appena 740 milioni per i Wannabe (-149%). Il 60% delle realtà più esperte è costituito da grandi imprese, mentre il 56% dei Wannabe sono PMI. Insomma: una realtà a due velocità e un divario che rischia di aumentare”.

D’altro canto, come anticipato, il Design Thinking trova applicazione in diversi settori. Il 15% degli innovatori italiani opera nella finanza e nelle assicurazioni, il 14% nell’energia, il 14% nel settore informazione e comunicazione, e l’11% nella PA. Le figure professionali più rappresentate sono il board direttivo, presenti nel 26% del campione, e gli esperti IT, in organico nel 25% delle imprese. Seguono ruoli dedicati all’Innovazione (17%), addetti Marketing & Sales (16%) e Designer (15%).
L’approccio più adottato dagli Adopter è la Sprint Execution (30%), seguito da Creative Problem Solving (26%), Creative Confidence (24%), Innovation of Meaning (18%). La Sprint Execution è utilizzata prevalentemente nel settore informazione e comunicazione (42%), che invece usa poco la Creative Confidence (11%). Nella PA domina la Creative Confidence (33%), mentre è scarsamente usato l’Innovation of Meaning (8%). L’energia si concentra sull’Innovation of Meaning (26%), mentre il retail preferisce il Creative Problem Solving (39%). Creative Problem Solving è l’approccio a cui è destinato il budget più alto (32%). Nel settore retail il più finanziato è la Sprint Execution, anche se non è l’approccio più diffuso in questo ambito. Nell’energia il budget più alto è dedicato al Creative Problem Solving (33%) anche se è il meno adottato (14%). La PA investe soprattutto in Creative Problem Solving (35%), Sprint Execution (27%) e Creative Confidence (25%), con investimenti marginali in Innovation of Meaning (8%). L’approccio che ha visto la crescita più netta degli investimenti è la Sprint Execution (33%, di cui il 17% in modo significativo), seguito dal Creative Problem Solving (30%, di cui il 12% significativamente), dall’Innovation of Meaning (24%, di cui il 13% molto) e dal Creative Confidence (24%, di cui il 12% in modo deciso).