Prospettive

Il PNRR e le reti ultraveloci, la promessa di un’Italia connessa

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza destina 6,71 miliardi di euro per la realizzazione della banda ultra-larga e il 5G. Il nostro Paese punta a raggiungere gli obiettivi europei di trasformazione digitale, compresi quelli sulla connettività, in anticipo di ben 4 anni rispetto alla data del 2030 fissata dall’Europa. Antonio Capone, Responsabile scientifico dell’Osservatorio 5G & Beyond del Politecnico di Milano e consulente del ministero per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale, spiega perché è un’ambizione realistica, nonostante gli inevitabili ostacoli

Pubblicato il 04 Gen 2022

5g e PNRR digitalizzazione pubblica amministrazione

Sul tavolo ci sono 6,71 miliardi di euro. Sono le risorse previste dal PNRR (Piano nazionale di ripresa e resilienza) per le reti ultraveloci, cioè la banda ultra-larga e il 5G. L’ambizione, riportata nello stesso PNRR, è quella di “raggiungere gli obiettivi europei di trasformazione digitale in netto anticipo sui tempi, portando connessioni a 1 Gbps su tutto il territorio nazionale entro il 2026”. In sostanza, l’Italia punta a conseguire i requisiti di connettività contenuti nel Digital Compass 4 anni prima della data fissata per le nazioni europee.

Le tappe per avvicinarsi a questa meta sono monitorate su un sito ad hoc del Governo italiano, insieme allo stato dell’arte delle 6 Missioni contemplate dal PNRR. Per comprendere come il nostro Paese si stia muovendo sul fronte specifico delle reti ultraveloci, ne abbiamo parlato con il professor Antonio Capone, Responsabile scientifico dell’Osservatorio 5G & Beyond della School of Management del Politecnico di Milano e consulente del ministero per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale.

Il Piano Italia a 1 Giga per la creazione di una rete VHCN

“In questo momento – spiega il professor Capone – la normativa europea prevede interventi distinti per quanto riguarda le connessioni fisse, quindi la banda-ultralarga, e il 5G”. Per quanto attiene alla banda-ultralarga, dal 6 agosto al 15 settembre 2021 il Piano Italia a 1 Giga è stato sottoposto a una consultazione pubblica, che si è conclusa, e a gennaio 2022 usciranno i bandi di gara per la creazione dei vari lotti con l’assegnazione delle procedure per la realizzazione dell’intervento. I 3,5 miliardi del Piano serviranno a creare una rete VHCN (Very High Capacity Network) con prestazioni target di 1 Gb al secondo in download e 200 Mg al secondo in upload.

“Il piano sulle reti fisse – continua Capone – è basato sul principio di neutralità tecnologica e servirà le unità abitative con reti FTTH in fibra oppure mediante FWA con prestazioni tecnologiche che tipicamente fanno riferimento a sistemi radio 5G a frequenza in onde millimetriche”. Anche sul 5G l’intenzione è di arrivare a una copertura completa entro il 2026. “In particolare, si è deciso di andare a intervenire ovunque non ci siano almeno 30 Mb al secondo in downlink disponibili per gli utenti nei vari pixel da 100 metri in cui è stato diviso il territorio nazionale. Devono essere ovviamente pixel di rilevanza, perché il territorio nazionale è fatto da zone non popolate, montuose o non raggiungibili. Andando perciò a considerare solo quelli che si trovano in aree poco popolate oppure su vie di comunicazione stradali o ferroviarie, ne rimangono poco più di 50 mila”.

foto Antonio Capone
professor Antonio Capone, Responsabile scientifico dell’Osservatorio 5G & Beyond della School of Management del Politecnico di Milano e consulente del ministero per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale

Il rilegamento delle stazioni radio base esistenti in attesa del 5G

Le unità di misura che sul reticolato geografico del Piano prendono il nome di “pixel” e che possiedono le caratteristiche summenzionate vengono ritenute zone cosiddette “a fallimento di mercato”. Per questo motivo si chiede agli operatori di costruire nuovi siti per coprire anche le aree periferiche.

“Questo obiettivo ambizioso – dice ancora Antonio Capone – viene messo insieme a un’altra misura molto importante, quella che riguarda il rilegamento delle stazioni radio base esistenti. In Italia, abbiamo una percentuale di circa 30-35% di stazioni radio base che non hanno la fibra per il rilegamento in quello che si chiama collegamento di backhauling, ma hanno ponti radio sufficienti per prestazioni vicino al 4G, ma diventano un fattore limitante per il 5G. Non solo, ma senza un backhauling in fibra non si riesce neanche a far evolvere l’architettura della rete radiomobile verso quella virtualizzazione che consente di integrare le applicazioni cloud con gli apparati di rete del 5G. I finanziamenti pubblici per aumentare la qualità della infrastruttura di rete delle stazioni radio base diventano un elemento abilitante perché permettono agli operatori privati di fare ulteriori investimenti per avere quelle applicazioni a bassa latenza che rappresentano una delle speranze di accelerazione dell’economia che associamo al 5G”.

Gli ostacoli nonostante le risorse del PNRR per le reti ultraveloci

Nonostante le risorse messe a disposizione dal PNRR per la banda ultra-larga e il 5G, ci possono essere delle insidie e dei possibili rallentamenti, a cominciare da quelli burocratici che nei mesi scorsi hanno preso talvolta la forma dell’opposizione di alcuni Comuni alla concessione dei permessi.

Ma questo non è il principale impedimento che il professor Capone vede sulla strada del pieno dispiegamento delle reti ultraveloci. “Ci sono una serie di ostacoli – chiarisce – come quelli dovuti al fatto che ad esempio in Italia abbiamo limiti elettromagnetici sensibilmente più bassi che in altri Paesi in termini di potenza e questo costringe gli operatori a installazioni più complicate o a usare potenze più basse con coperture più ridotte rispetto a quelle potenzialmente usufruibili in Paesi a noi vicini, come la Francia o la Germania che comunque hanno limiti uguali a quelli delle raccomandazioni internazionali”.

Un altro fattore di criticità è il costo pagato dagli operatori per ottenere le frequenze in Italia, il più alto in tutta Europa. Questo significa che le risorse investite non potranno essere convogliate a beneficio dell’infrastruttura. Un ulteriore elemento di freno è il livello di competitività nei prezzi. “Negli ultimi 8 anni c’è stato un calo del 30% dei ricavi medi per utente da parte degli operatori italiani, mentre in altri Paesi europei le perdite sono state sensibilmente più basse e addirittura in Gran Bretagna ci sono stati degli aumenti. Purtroppo, quando il livello di competitività supera una certa soglia, con una politica molto aggressiva sui prezzi, questo rende felici gli utenti finali, ma per l’operatore vuol dire margini più ridotti e minore capacità di investimento”.

Le ragioni a favore di un futuro positivo nella connettività in Italia

Tutto ciò premesso, non mancano gli aspetti che fanno ben sperare in una positiva conversione di quanto prospettato nel PNRR in realtà. “Gli operatori – sottolinea infatti Capone – hanno dichiarato che da qui al 2026 la copertura del 5G a 700 MHz, che sarà implementato sulle frequenze che adesso sono del digitale terrestre, sarà pressoché completa, pari al 99,4% della popolazione. Si tratta di un 5G un po’ particolare, su una frequenza più bassa rispetto ai requisiti del 5G, ma importante per raggiungere anche luoghi remoti perché con 700 MHz la propagazione è molto favorevole”.

Non solo. La previsione è che, sempre entro il 2026, l’80% del territorio sarà servito dalle frequenze più preziose del 5G, quelle attorno ai 3,6 GHz. Se questa roadmap verrà confermata, non soltanto la stragrande maggioranza della popolazione sarà coperta da rete 5G, ma le aziende “potranno investire per sviluppare applicazioni di tipo business che fanno leva sulla presenza di questa infrastruttura condivisa. Se poi si aggiunge che l’intervento dello Stato aiuterà a rendere questa infrastruttura ancora più performante grazie ai rilegamenti in fibra e alla copertura di aree periferiche, comprese quelle delle vie di comunicazione che sono essenziali per alcune applicazioni di mobilità, ne esce fuori un quadro ragionevolmente confortante, con qualche elemento di criticità economica e normativa, ma tutto sommato confortante”.

Che cosa potrà generare il PNRR unito agli investimenti privati

La somma di investimenti pubblici, provenienti in gran parte dal PNRR, e di investimenti privati sulle reti ultraveloci, dovrebbe generare benefici incrementali che uno studio Ambrosetti del 2020 ha quantificato in 96,5 miliardi di euro di Pil cumulati tra il 2020 e il 2025 e 180,5 miliardi di euro tra il 2020 e il 2030. “Ci siamo sempre dimenticati – afferma in conclusione il professor Capone -, nelle varie stime fatte sui vantaggi dovuti alla trasformazione digitale sia nella pubblica amministrazione sia nel mondo produttivo che mancava un anello. L’anello mancante era l’infrastruttura di connettività avanzata condivisa. Questo anello si sta creando grazie al 5G e, nella connettività locale, con la banda ultra-larga che raggiunge prestazioni molto elevate di almeno 300 Mb al secondo. Questo cambiamento rende la trasformazione del mondo produttivo realmente praticabile. È vero, in un percorso tracciato i rischi possono essere tanti, però se le cose vanno come progettato credo che il vantaggio sarà oggettivamente significativo”.

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