FPA: alla PA servono più competenze per affrontare la ripresa

Secondo un sondaggio condotto da FPA su il 12,5% dei dipendenti pubblici giudica le proprie competenze “inadeguate” per il lavoro svolto quotidianamente,

Pubblicato il 03 Giu 2021

Gianni-Dominici-200×300

Le competenze giocheranno un ruolo chiave per consentire alla Pubblica amministrazione di guidare la ripartenza dell’economia italiana. Questo il principale risultato dell’indagine “PA motore della ripresa: quali azioni per un’amministrazione competente, semplice, smart e digitale”, realizzata su quasi 1000 dipendenti della Pubblica Amministrazione da FPA, società del gruppo DIGITAL360. Una ricerca che arriva a meno di un mese di FORUM PA 2021, l’evento digitale che dal 21 al 25 giugno sarà dedicato al tema “Connettere le energie vitali del Paese” (è possibile seguire sui social l’hashtag #road2forumpa2021), con l’obiettivo di creare e rafforzare connessioni tra amministrazioni pubbliche, aziende e territori attorno alle missioni, agli obiettivi e agli interventi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Innanzitutto, il sondaggio FPA rivela come i dipendenti pubblici intervistati riconoscano l’esigenza di un nuovo approccio nel reclutamento del personale, come evidenziato dalle linee programmatiche del Ministero per la PA. Secondo i lavoratori, i cambiamenti prospettati dal Ministero possono decisamente migliorare le politiche di assunzione delle amministrazioni soprattutto attraverso la ridefinizione delle procedure per individuare i fabbisogni di personale (per il 79,2% degli intervistati) , nonchè rivedendo drasticamente le procedure dei concorsi attraverso prove più orientate a verificare le competenze trasversali (71,6%). Poi, in minor misura, serve introdurre nuovi incentivi per l’esodo di persone vicine all’età pensionabile e con professionalità inadeguate (64,6%).

Il reclutamento di nuovi e profili e competenze, appare oggi più mai necessario per rispondere alle sfide del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), la PA oggi ha urgente bisogno di nuovi profili. In particolare, secondo il giudizio dei dipendenti pubblici, servono soprattutto esperti di trasformazione digitale (evidenziati dal 61,2% di intervistati), di pianificazione, progettazione e controllo (48,4%), in gestione e rendicontazione dei progetti UE (44,5%),  nonchè in gestione di risorse umane e finanziarie (40%) e di project financing (37,7%).

Ma qualcosa va fatto anche per i dipendenti già presenti in organico: il 12,5% dei dipendenti pubblici giudica le proprie competenze “inadeguate” per il lavoro svolto quotidianamente, ammettendo che servirebbe più formazione; l’1% le trova “insufficienti”, perché completamente distanti dal lavoro svolto; ben il 42,9% le ritiene “superiori”, evidenziando anche uno spreco di capitale umano. Per il 43,7% sono “adeguate” al ruolo. La formazione, insomma, dovrebbe svolgere un ruolo cruciale. Eppure, oltre un quinto (26,2%) dei lavoratori non ha usufruito di alcuna attività formativa organizzata dalla sua organizzazione nell’ultimo anno. Chi ne ha usufruito, ha svolto corsi in prevalenza su contenuti giuridico-normativi (il 56,2% del totale) e sulle procedure per lavorare in smart working (42,1%); in minor misura, nel 24,3% dei casi, una formazione tecnico-specialistica, nel 21% su temi manageriali, nel 19,9% sull’informatica e nel 14,8% di comunicazione. Un’offerta formativa che – secondo il sondaggio di Forum PA – non risponde le esigenze strategiche, perché, secondo l’esperienza degli stessi dipendenti, chi lavora nel pubblico dovrebbe essere formato in particolare su competenze trasversali (secondo il 62,5%), tecnologiche (61,9%) e organizzative (57%).

In positivo c’è da segnalare il lascito dell’esperienza smart working: a detta del campione, nell’ultimo anno l’organizzazione della PA è spesso migliorata per disponibilità di tecnologia (per il 46,3%), per formazione sugli strumenti tecnologici (45%), e per ripensamento dei processi (43%), mentre i principali peggioramenti si evidenziano nella comunicazione interna. Al contrario, i dipendenti pubblici, di fatto, non hanno ancora visto risultati apprezzabili derivati a seguito del cosiddetto Decreto-legge “Semplificazioni” (DL 76/2020). Nonostante le importanti innovazioni normative introdotte su diversi aspetti dell’attività amministrativa, dopo quasi 7 mesi dalla conversione in legge, nella stragrande maggioranza dei casi non si sono percepiti effetti del decreto nella nuova disciplina della responsabilità dirigenziale (nessun effetto per 88,6%), come anche nella nuova regolamentazione del reato di abuso di ufficio (87,4%), nella semplificazione del procedimento amministrativo (84,7%).

Gianni Dominici, Direttore Generale di FPA

Risultati positivi sono invece indicati sul fronte della digitalizzazione: grazie alla spinta imposta della pandemia, rispetto ai grandi pilastri della trasformazione digitale della PA del Piano triennale dell’AgID, si evidenziano miglioramenti nei servizi digitali ai cittadini (per il 77,4% degli intervistati), nella razionalizzazione delle infrastrutture tecnologiche e nella migrazione in cloud (51,6%) e nell’integrazione dei sistemi con le piattaforme abilitanti (44,7%).  Molte amministrazioni pubbliche però non hanno rispettato la scadenza del 28 febbraio per integrare i sistemi con SPID, CIE, PagoPA e appIO. Secondo i lavoratori, le ragioni del ritardo sono in parte tecniche (difficoltà a integrare nuove soluzioni con sistemi preesistenti, per il 61,4%), in parte legate all’assenza di competenze interne (per il 57,5%), anche se il 52,2% evidenzia una vera e propria “assenza di pianificazione” per questo obiettivo.

“I dipendenti pubblici che hanno risposto alla nostra indagine sono ormai consapevoli che solo investendo su competenze e formazione e introducendo nuove modalità e criteri nella selezione del personale potremo avere una PA in grado di sostenere la ripartenza del Paese – sottolinea Gianni Dominici, Direttore generale di FPA -. È un tema in questo momento al centro anche del dibattito politico, sul valore della PA e delle persone che vi lavorano c’è un’attenzione in positivo che mancava da anni. E anche qui, come è avvenuto per la digitalizzazione o per il lavoro agile, la pandemia è stato un fattore dirompente che, nonostante la tragicità degli eventi, ha aperto nuove prospettive al di là dell’emergenza, che sono la base su cui costruire il futuro”.

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