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I nuovi cavi di Singapore tagliano fuori la Cina

Entro il 2033 il piano digitale di questo piccolo grande Paese prevede il raddoppio dei siti di approdo per cavi sottomarini. Un’ambizione che andrà a minare gli interessi della Cina, già molto chiari, sulla connettività nelle aree del Pacifico

Pubblicato il 14 Lug 2023

Immagine di Vismar UK su Shutterstock

C’è un nuovo progetto di connettività digitale con cui la città-stato ha annunciato sostanziose novità, destinate a creare scompiglio in quella battaglia “tecnogeopolitica” in atto, da cui nessuno si può sentire esentato. Tra i tanti buoni propositi presentati, quello che più ha fatto il giro del mondo riguarda i cavi sottomarini. Singapore sembra voglia raddoppiare il numero di punti di approdo entro i prossimi dieci anni.

Un hub neutro per connettere il business globale

Grazie ai suoi attuali 26 cavi e ai relativi tre siti di approdo, questo Paese ha già una considerevole importanza nella geografia della connettività. Si può considerare come un vero e proprio hub in grado di collegare il sud-est asiatico al mondo. Lo fa a ovest, con il punto detto Tuas e il “suo” cavo SeaMeWe-3, lungo 39.000 km. Lo fa a est, con gli altri due siti di atterraggio, a meno di 50 km di distanza. Con il nuovo piano, l’obiettivo è quello di rafforzare questo suo ruolo, contraddistinguendosi come un elemento neutrale, capace di promuovere politiche favorevoli ai business altrui.

Questo posizionamento può suonare come un implicito attacco alla Cina, anch’essa molto interessata a espandere la propria infrastruttura di cavi sottomarini, investendovi 500 milioni di dollari, ma non solo. Il Regno di Mezzo si è anche offerto di dare una mano ai Paesi del Pacifico nel costruire collegamenti migliori con il mondo.

Un piano digitale per nuove applicazioni Ai

Il sospetto altruismo della Cina deve portae a riflettere. Il suo interesse per queste nazioni è infatti dovuto alla loro importanza strategica internazionale, quando si parla di collegamenti. Molti cavi che collegano gli Stati Uniti all’Asia transitano e dipendono da questi sbarchi per l’energia. Lasciare i giochi in mano a un Paese come la Cina, anche se indirettamente, può apparire pericoloso. Già qualche brivido di paura lo si è provato lo scorso febbraio, quando un cavo che collegava le isole di Taiwan è stato tagliato da un peschereccio cinese e un altro da una nave da carico sconosciuta.

La prospettiva di poter passare attraverso Singapore è quindi interessante, anche se per farlo la capacità extra richiesta potrà introdurre un po’ di latenza in più, dirigendosi a ovest verso l’Europa e poi attraverso l’Atlantico. La città-stato è convinta di poter sviluppare un’offerta strategicamente allettante e ha intenzione di investirci 7,4 miliardi di dollari, affondando le mani anche nel settore privato.

Questa mossa, sfogliando il suo piano digitale, risulta accompagnata da altri provvedimenti che potenzieranno il livello di innovazione tecnologica di Singapore. C’è quello che riguarda lo sviluppo di data center green, con investimenti compresi tra 7,4 e 8,9 miliardi di dollari.

C’è poi l’aggiornamento dell’infrastruttura hardware nazionale, per arrivare a una velocità di 10 gigabit entro i prossimi cinque anni. Un percorso che passa per il decuplicarsi della larghezza di banda della Nationwide Broadband Network (NBN) e per l’allocazione dello spettro sia per lo sblocco di reti Wi-Fi più veloci che per le reti standalone 5G.

Tutto ciò non è altro che il frutto della forte consapevolezza, da parte del governo, di come oggi sia necessario attrezzarsi per poter supportare le nuove applicazioni, in primis quelle che prevedono operazioni ad alta intensità di dati o un uso massiccio dell’intelligenza artificiale.

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