Una questione di volontà (politica)

Pubblicato il 06 Mar 2006

“Occorre che tutto il mondo della politica capisca che l’Ict e l’innovazione tecnologica non sono “settori” della nostra industria, ma l’ ‘ambiente’ all’interno del quale si devono muovere tutte le iniziative del sistema industriale italiano”. E chi non sottoscriverebbe una premessa simile proveniente, tra l’altro, dal mondo politico (in questo caso da un esponente della Casa delle Libertà)?
Alla sfera politica, Casa delle Libertà e Unione, a Confindustria e Sindacato (Cisl), ZeroUno ha chiesto lumi in merito alle strategie delineate, alla vigilia del confronto elettorale di aprile, in tema di innovazione, sviluppo competitivo di impresa e di sistema paese soprattutto attraverso l’uso dell’Ict (vedi articolo esteso da pag. 30 a pag. 53). Ne è emerso, come non era del tutto scontato, un livello di preparazione e una serie di visioni interessanti, che se perseguite con metodo e convinzione, certamente potrebbero portare a risultati positivi. Il punto, peraltro, è proprio questo: la capacità di attuazione. Che non significa trovare gli strumenti attuativi adeguati; significa condividere, tra le forze di governo che verranno, una priorità che veda la tecnologia come uno degli strumenti primari di crescita sociale ed economica del paese.
Serve, è quanto emerso dai nostri interlocutori, un “colpo di reni” che porti il paese non solo ad essere utilizzatore di Ict ma ponga la tecnologia come “patto sociale” da cui far scaturire nuove iniziative di ripresa.
Fuori da ogni slogan, il percorso è oggettivamente difficile, ma gli ambiti di attenzione e di intervento cominciano ad essere ben delineati. Ad esempio, come sostiene Confindustria, “assurge ad alta priorità l’informatizzazione delle circa 400 mila aziende italiane al di sotto dei 10 dipendenti; un’informatizzazione che vada oltre la fase di ottimizzazione di costi di queste realtà, ma investa pesantemente il miglioramento di efficienza dei processi interni, perché la tecnologia rappresenti davvero, agli occhi di questi imprenditori, un valore di business e non un costo”. Su queste imprese, che hanno scarsa conoscenza degli strumenti agevolativi, scarsi skill, fanno poca Ricerca e hanno scarsa propensione a collaborare in una logica di rete con altre imprese e soggetti sul territorio (associazione e università), la tecnologia, se portata con adeguati linguaggi e operatori preparati, potrà portare davvero nuovi livelli di efficienza e competitività.
Su queste realtà, diventerà fondamentale e non più prorogabile, nei prossimi anni, l’applicabilità di modelli di gestione di impresa che abbiano, nella componente tecnologica, una delle leve di miglioramento di efficienza e di flessibilità. “Proprio sui distretti – osserva infatti la Cisl – sarà massima nei prossimi dieci anni, la pressione competitiva”.
Altro motore che siamo riusciti a rimettere in moto ma che dovrà trainare più di quanto abbia fatto finora è la Pubblica amministrazione perché, osserva la Casa delle Libertà “è fondamentale l’erogazione di sempre nuovi servizi ai cittadini per diffondere quella cultura digitale di cui il paese ha bisogno”. Ma più che una strategia “a pioggia” avrà senso, come sostiene l’Unione, “connettere le esperienze di progetti innovativi e procedere ad una selezione di quelli a cui conferire risorse e condizioni particolari, ad esempio esperienze eccellenti nell’ambito della Ricerca, anche in collegamento a reti internazionali”.
Riqualificazione, formazione (creare rapidamente nuove competenze per ridurre l’impatto sul lavoro che si viene a determinare da un utilizzo diffuso e centrale delle tecnologie, quindi riqualificare e valorizzare le risorse umane); accessibilità diffusa alla reti digitali. Insomma una bella visione di insieme che possiamo considerare “up to date” alle esigenze di un Paese moderno e in linea con la vision dettata dall’agenda di Lisbona. E allora la domanda sorge spontanea: perché? Perché non siamo ancora riusciti a rendere diffusa una cultura digitale che sappia essere da traino all’innovazione, per un cambiamento negli usi, nelle abitudini, nei modelli di fare impresa, nella ricerca e nella scuola, mettendoci al passo con paesi più evoluti? Convinti che lo scenario sia oggettivamente complesso e non sia per nulla facile trovare le soluzioni, non vogliamo dare una risposta di comodo, ma siamo fermamente convinti che l’assunto con cui abbiamo iniziato questo editoriale debba essere fatto proprio dalla sfera politica (indipendentemente dalle colorazioni). Serve infatti quella “volontà attuativa” che vada oltre la definizione di strategia e superi la messa in campo di azioni di dettaglio, che spesso generano sì innovazione ma attraverso iniziative scollegate che non riescono ad incidere su una dimensione di “sistema”. Per questo serve davvero una priorità di tipo politico, una considerazione e una volontà di voler attribuire alle tecnologie digitali quel ruolo di traino e di pervasività per definire un quadro all’interno del quale si debbano muovere tutte le iniziative del sistema industriale italiano. Anche perché, e qui chiudiamo, esiste oggi nella società, soprattutto fra le nuove generazioni, una crescita spontanea, una naturale disponibilità a fare propria una cultura digitale, un naturale utilizzo di informatica che sta rapidamente crescendo come elemento integrato al modo di vivere e di comunicare (fruizione di servizi on line sui più disparati dispositivi). Questa, che lo si accetti o meno, è una vera e propria marea montante. E’ la nuova società che avanza e che inesorabilmente, travolgerà con il proprio impatto culturale, ogni aspetto della nostra vita, dalla sfera sociale (nuovi modelli di relazioni, comunicazioni e consumi) all’impresa (che dovrà capire queste nuove modalità di lavoro al proprio interno e di consumo da parte dei mercati) alla sfera politica, la quale dovrà essere in grado di portare il paese, a livello infrastrutturale (mercato del lavoro, sistema finanziario, sistema formativo, infrastrutture digitali), ad essere integrato e allineato con le nazioni più avanzate, altrimenti rischierà di perdere quel ruolo importante nel gruppo dei paesi-guida che già oggi, è inutile nascondercelo, vediamo sempre più allontanarsi.

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