Quando si parla di intelligenza artificiale applicata al mondo del lavoro, il rischio più comune è quello di partire dallo strumento anziché dal bisogno. Molte organizzazioni hanno adottato tecnologie AI spinte dall’entusiasmo o dalla pressione competitiva, salvo poi scoprire che i benefici erano ben lontani dalle aspettative. Secondo Emily Rose McRae, Senior Director Analyst di Gartner, ciò accade perché si parte dal punto sbagliato: dalla soluzione, e non dal problema.
Nel corso del podcast ThinkCast, McRae ha illustrato un approccio radicalmente diverso. Il punto di partenza, suggerisce, dovrebbe essere una conversazione aperta con i team su ciò che rende il lavoro lento, frustrante o inefficiente. Solo dopo aver identificato questi “punti dolenti” ha senso chiedersi se l’AI possa essere una risposta valida.
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Il metodo dei due passaggi: dai problemi alle soluzioni
L’approccio consigliato da Gartner si basa su un processo in due fasi:
- Prima si raccolgono, in modo sistematico, le criticità vissute dai dipendenti: attività ridondanti, workflow disfunzionali, mansioni a basso valore che sottraggono tempo a compiti più strategici.
- Poi si passa alla valutazione delle possibili soluzioni, coinvolgendo sia gli esperti IT che quelli HR.
Secondo McRae, è molto più efficace chiedere al team cosa ostacola il loro lavoro quotidiano che introdurre uno strumento nuovo sperando che venga adottato spontaneamente.
Molte delle frustrazioni aziendali sono note da tempo, ma raramente vengono affrontate in modo strutturato. AI in ufficio significa anche saper ascoltare e valorizzare l’esperienza di chi lavora sui processi ogni giorno.
Coinvolgere HR e IT nel modo giusto
Una volta raccolte le esigenze, il secondo passaggio chiave è l’analisi congiunta tra risorse umane e tecnologia. Le soluzioni efficaci emergono spesso dall’intersezione tra bisogni operativi e possibilità tecniche, e richiedono un dialogo continuo tra chi conosce il lavoro e chi conosce gli strumenti.
McRae sottolinea l’importanza di coinvolgere anche le funzioni specialistiche, in particolare quelle che sviluppano o gestiscono i tool interni. L’esperienza dimostra che i casi d’uso più promettenti non sono quelli generici o replicabili ovunque, ma quelli nati da integrazioni specifiche nei workflow esistenti, dove l’AI non è una “aggiunta”, ma una parte del processo.
L’efficacia dell’’AI in ufficio dipende anche dalla capacità di tradurre il bisogno in requisiti tecnici chiari. Il team HR è chiamato a svolgere un ruolo fondamentale per facilitare la comunicazione tra chi vive il problema e chi deve sviluppare la soluzione.
Esempi di buone e cattive applicazioni
McRae cita un esempio emblematico. Automatizzare il processo di cambio indirizzo di un dipendente in tutti i sistemi HR è tecnicamente fattibile, e l’AI può aiutare. Ma si tratta di un’operazione che accade di rado, e il ritorno sull’investimento sarebbe minimo. Viceversa, automatizzare o semplificare l’accesso e la sintesi di grandi moli di documenti, come nel caso delle analisi legali o delle richieste di procurement, può generare un valore molto più tangibile.
Il criterio da seguire non è la spettacolarità del caso d’uso, ma la frequenza e il costo-opportunità associato all’attività. Troppo spesso l’adozione dell’intelligenza artificiale viene spinta da casi d’uso che colpiscono l’immaginazione, ma non incidono sulla produttività reale.
L’esempio peggiore è quello dei rollout aziendali di AI generativa senza un piano chiaro di adozione, formazione e misurazione del valore. McRae osserva che molte aziende hanno già dovuto fare marcia indietro dopo aver introdotto strumenti che i dipendenti non usavano o che generavano risultati scadenti. Il rischio più grande, in questi casi, non è solo economico: è l’erosione della fiducia interna nei confronti della trasformazione tecnologica.
Ritorno sull’investimento: scegliere battaglie sensate
Per evitare delusioni e sprechi, l’intelligenza artificiale in ufficio deve essere trattata come un progetto di trasformazione organizzativa, non come un esperimento isolato. Questo implica una valutazione rigorosa delle priorità: quali problemi vale davvero la pena affrontare con l’AI, e quali invece richiedono soluzioni più tradizionali?
McRae invita i leader a non considerare l’adozione dell’AI come un vantaggio competitivo immediato. Non esiste, afferma, un vero “first mover advantage” in questo campo. Al contrario, muoversi troppo in fretta, senza una strategia solida, può portare a fallimenti visibili e controproducenti. È meglio aspettare, osservare e apprendere dai casi concreti che funzionano.