L’ impresa come direttore d’orchestra

I confini tra outsourcing e offshore   possono non essere facilmente identificabili e la definizione può essere molto relativa a seconda che la si veda a livello di singola impresa, di impresa multinazionale o di paese

Pubblicato il 09 Apr 2005

Outsourcing o offshore? L’argomento è oggetto di dibattito poiché la distinzione lascia spazio a interpretazioni diverse. Resta infatti da chiarire se il caso di una società multinazionale che, per le sue operazioni, deve investire nei paesi stranieri, nell’interscambio di attività operativa, manifatturiera o di ricerca, tra le società e la capogruppo, possa in realtà definirsi un semplice outsourcing o un offshoring.
Le varianti sotto questo profilo sono molteplici e includono anche il caso in cui una società offshore di un paese esegua lavori in outsourcing per conto di altre società dello stesso paese di origine. La definizione dell’outsourcing o dell’offshore è quindi molto relativa a seconda che la si veda a livello di singola impresa, di impresa multinazionale o, in modo ancora più esteso, a livello paese (vedi figura a pagina 91). Nonostante il tentativo fatto da ZeroUno (vedi articolo di pagina 32) di dare definizioni precise e il più oggettive possibili alle diverse componenti di questo fenomeno, non trattandosi di esperienze consolidate ma di un processo in divenire, il dibattito è aperto. Una di queste interpretazioni (che è difficile mappare esattamente sulla base della griglia elaborata da Gartner, vedi figura a pagina 83) vede nel finanziamento la distinzione più significativa, dove, nel caso dell’outsourcing, chi si avvale di questo servizio in genere non apporta contributi finanziari (se non il pagamento del servizio), mentre nell’offshoring i contributi costituiscono la base per la compartecipazione alla proprietà. Infine per quanto riguarda la motivazione e il vantaggio competitivo, l’outsourcing si avvale delle capacità, delle conoscenze tecnologiche e degli investimenti fatti in proprio da parte di chi propone l’outsourcing.
In entrambe le forme, quale ne sia la linea e il rischio imprenditoriale che si ritiene di perseguire, la mira comune è la riduzione dei costi della produzione (anche se la scelta di esternalizzare porta spesso con se elementi di ottimizzazione della capacità di delivery di servizi It – ndr). Forse è per questo motivo che in genere si aggregano le due definizioni che, nella sostanza, si basano sui fondamentali del costo del lavoro, della conoscenza e delle regole riguardanti le relazioni tra i paesi.

I timori
Nel periodo del boom industriale degli anni ’60, l’outsourcing era utilizzato dalle grandi aziende e dalle multinazionali quale strumento di garanzia della loro politica della piena occupazione; infatti in caso di riduzione del lavoro l’insourcing garantiva il lavoro ai propri dipendenti. Questo modello di cuscinetto occupazionale out/in è entrato rapidamente in crisi quando l’outsourcer, nella sua autonomia imprenditoriale, ha ridotto il differenziale di conoscenza, di investimenti e di qualificazione rispetto a chi gli subcontrattava il lavoro. L’out/in si è così trasformato da motivo di sicurezza del posto di lavoro a motivo di incertezza e paura di perdita dell’occupazione a conseguenza dell’iniziativa imprenditoriale dell’outsourcer. Questo fenomeno, di crescita dell’autonomia, è difficile da contenere in quanto è un processo “naturale” delle “economie comunicanti”. Il fenomeno non è limitato ai soli aspetti economici, ma è implicitamente esteso a tutti i “valori comunicanti” dal wellfare, al tenore di vita, ai tipi di beni e servizi e alla qualità economica e socio politica della vita. Il timore è che questo processo possa divenire un processo continuo a conseguenza del differenziale di sviluppo economico e sociale delle geografie e dei paesi.
L’It non è il primo settore d’industria a soffrire di questo fenomeno; esso è stato preceduto dai settori tipici del periodo dello sviluppo industriale quali quello della meccanica e del tessile. Non altrettanto è avvenuto nella siderurgia, dove il rapporto tra costo del prodotto, inclusi gli investimenti occorrenti e l’intelligence necessaria, e il costo del trasporto non favoriscono il travaso; altrettanto vale per gli altri settori di industria e commerciali, dove abitudini e gusti locali hanno un peso preponderante su ciò che proviene da paesi diversi.
Il sistema economico, che per sua natura segue la regola del vantaggio e si basa sulla struttura socio economica normativa e legislativa, non riesce a frenare questa erosione di business e questo travaso di valori. Il fenomeno a cascata dell’economia comunicante è già evidente nell’outsourcing dai paesi occidentali a quelli orientali e, altrettanto, tra questi ultimi, per esempio da India a Cina.
Outsourcing e offshore accelerano i processi del travaso, ma non c’è possibilità di frenare un processo che vede come naturale equilibrio la competizione dai singoli individui alle imprese, alle nazioni.
A fronte di questa dinamica la sola domanda valida è: quanto veloce sarà questa turbolenza e quando potrà stabilizzarsi ? Senza avanzare eccessive speculazioni sembra che solo l’equivalente livello economico, sociale e politico dei paesi coinvolti in questo travaso consentirà di equilibrare il fenomeno.

Il punto di equilibrio dell’outsourcing
Il timore della perdita della proprietà intellettuale è un falso problema poiché nella realtà dei fatti di oggi qualsiasi cosa è copiabile; la sola differenza è il tempo occorrente, dove solo le tecnologie più complesse ed evolute (nucleare, nanotecnologie, processori IT complessi, architetture di sistema IT, architettura di servizi dell’impresa – Erp, Crm, Scm) richiedono tempi superiori all’anno. A questa condizione si aggiunge quella della forte crescita della “potenza intellettuale” quantitativa e qualitativa derivante dall’elevato numero di laureati che ogni anno paesi quali la Cina e l’India sono in grado di creare, oltre 2,5 milioni a fronte dei meno di 1 milione per Usa ed Europa. La potenza intellettuale è la nuova frontiera su cui si gioca la competizione socio economica e politica.
A livello paese, per non perdere colpi di natura finanziaria, è forse opportuno investire nei paesi a livello di economia più basso onde accelerare il raggiungimento dell’equilibrio. In questi termini forse si possono interpretare gli autorevoli solleciti fatti in questi tempi dai nostri politici e dai nostri responsabili delle associazioni industriali. In questo caso, il ritorno atteso, oltre al contenimento della fuga, sta anche nel ritorno dei profitti.
L’attuale ritmo di investimenti in R&D non è sufficiente a frenare il processo di outsourcing e di offshoring (valga a dimostrazione la situazione degli Usa nei confronti di India e Cina). Se la tesi del differenziale è valida, solo un alto potenziale in R&D può riuscire a mantenere il differenziale di livello. Tornando alla metafora dei vasi comunicanti, la maggiore capacità di un vaso in rapporto agli altri riesce a mantenere un livello del liquido (economia nel’analogia) più alto degli altri con una relativa indipendenza dalla capacità di travaso.
I paesi che riescono ad avere più risorse e più qualificazione a minor costo sono quelli che potenzialmente hanno più possibilità di successo. Quantità, qualità e costo sono i parametri determinanti la capacità di prevalere nell’ambito internazionale; in altre parole sono i nuovi “muri”, o i nuovi vantaggi competitivi, in costruzione, destinati però anch’essi ad essere abbattuti nel tempo dall’introduzione di nuovi paradigmi economico commerciali (per esempio: open source) e dalla progressione dei paesi competitori per effetto delle “conoscenze comunicanti”.
Fintanto che il vantaggio competitivo tra Cina e India verso gli Usa sta nel rapporto di cinque a uno per la Cina e di tre a uno per l’India, questi rapporti fanno sì ovviamente che ci sia ora un orientamento all’outsourcing diretto in Cina per usufruire del maggior vantaggio.
Certamente esistono problemi tecnici e di comunicazione con i paesi oggetto di outsourcing: la difficoltà della lingua, le difficoltà di comprensione di ambienti con esigenze molto evolute nei processi di business e il livello di qualità del prodotto finito; ma sono superabili.

Outsourcing o offshore: l’approccio ai processi di business

Fonte: ZeroUno

Direttori d’orchestra
La dinamica evolutiva in termini di motivazioni è passata dall’azione di cuscinetto occupazionale, che consentiva la garanzia della piena occupazione, alla riduzione dei costi, che trae vantaggio dai bassi salari praticati in altre geografie, fino alla razionalizzazione e contenimento degli investimenti, dando così origine nell’ordine all’emergere di buffer di forza lavoro, di sviluppo di capacità e conoscenze, tali da poter dare una contribuzione progettuale, e via via fino alla utilizzazione degli investimenti e della conoscenza a spese di terzi.È a questo ultimo livello possibile, e di fatto si è verificato, l’emergere di un nuovo modello di impresa “orchestratrice” capace di avvantaggiarsi della competizione giocata sui valori della forza lavoro, della conoscenza e degli investimenti delle terze parti.

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