Innovazione e competitività nelle imprese italiane: servono coraggio e misure strutturali

I dati dimostrano che l’impresa italiana mediamente innova poco e quando lo fa è per esigenze di razionalizzazione dei processi, diventa indispensabile adottare misure che impongano una svolta strutturale alle politiche sin qui seguite. Articolo di Giancarlo Capitani (nella foto) amministratore delegato di NetConsulting

Pubblicato il 20 Feb 2007

capitanipiccola

Il tema dell’innovazione e la sua correlazione con il grado di efficienza e di competitività delle imprese e dei sistemi paese è, come noto, tanto costantemente dibattuto quanto poco praticato in Italia. La pubblicazione recente di alcune ricerche e indagini effettuate da Enti istituzionali offre un quadro aggiornato del problema e stimola considerazioni su quali azioni occorrerebbe da subito intraprendere nel nostro paese i cui gap in materia sono sempre più evidenti e gravi.

In diminuzione l’introduzione di innovazioni
Un’indagine Istat pubblicata lo scorso mese di novembre (L’innovazione nelle imprese italiane – Anni 2002-2004) evidenzia come, sull’universo delle imprese superiori ai 10 addetti, “solo” il 36,4% di quelle industriali e il 27,1% di quelle dei servizi abbia introdotto innovazioni nel periodo 2002-2004 e come queste percentuali risultino in riduzione rispetto al triennio precedente. Per quanto riguarda la tipologia di innovazione, le imprese, contrariamente a quanto abitualmente si pensa, hanno mostrato una maggiore propensione verso le innovazioni di solo processo, mentre è modesta la quota di quelle che innovano esclusivamente prodotti e servizi.
Ma attraverso quali fonti e quali strumenti le imprese hanno innovato? Quale è stato, dunque, il rifilo dell’innovazione effettuata?
Le risposte a questi quesiti sono significative. La spesa per tipo di attività innovativa è stata destinata, per il 46,4% nelle imprese industriali e per il 48,8% in quelle di servizi, all’acquisto di macchinari e impianti innovatori, mentre per le fasi a monte (progettazione) e a valle (formazione) le quote relative sono molto basse, rispettivamente del 5,5% e dell’1,8% nelle imprese industriali e del 3,4% e del 3,2% in quelle di servizi.
Più rilevanti sono state le innovazioni “non tecnologiche” introdotte, quali, per esempio, l’adozione di nuovi modelli organizzativi o di nuove tecniche manageriali o commerciali, mentre poche imprese hanno introdotto innovazioni nel marketing.
Il quadro di sintesi che questi dati ci restituiscono è quello di un’impresa che mediamente innova poco e quando lo fa è per esigenze di razionalizzazione dei processi e, in definitiva, per realizzare guadagni di produttività attraverso una riduzione dei costi di produzione. Ma ciò che appare più rilevante è che le tecnologie supportano le innovazioni in quanto incorporate nei macchinari acquistati, ma non entrano in un ridisegno generale dei processi.
La curiosità, a questo punto, è capire quale ruolo assuma l’IT nei processi innovativi.

Il ruolo dell’It nei procesi innovativi
Ed anche in questo caso una risposta autorevole proviene dall’Istat che, in una sua recente indagine, ha analizzato la dinamica e la destinazione degli investimenti effettuati dalle imprese italiane nel periodo 1970-2005 (Investimenti fissi lordi, stock di capitale e ammortamenti – Anni 1970-2005) da cui emerge che sul totale degli investimenti effettuati, la quota relativa ai sistemi hardware (“macchine per ufficio”) passa dal 2% del 2003 all’1,7% del 2005, e quella del software dal 3,8% del 2003 al 3,6% del 2005.
La conferma che proviene da questi dati è che la tecnologia IT è una voce ancora scarsamente rilevante negli investimenti innovativi delle imprese italiane (vedi figura).

Ma vi sono due altri aspetti rilevanti che queste indagini ci segnalano. Il primo è che, nonostante la complessità dei fenomeni innovativi richieda in misura sempre maggiore la cooperazione con altri soggetti innovatori sia privati (altri imprese, consulenti, clienti) che pubblici (Centri di Ricerca, Università), le imprese ne fanno uno scarso ricorso e sono trascurabili gli accordi con Enti Esteri, mentre i principali soggetti coinvolti sono i fornitori. Il secondo aspetto rilevante è legato ai maggiori fattori che ostacolano l’innovazione che le imprese hanno segnalato, tra i quali oltre ai costi e alla mancanza di risorse finanziarie e fonti di finanziamento, viene indicata la mancanza di personale qualificato.
Dunque, l’approccio adottato dalle imprese nei processi innovatori è di tipo monodico e non vengono sfruttati i vantaggi e le economie derivanti da interazioni sistemiche con altri soggetti innovatori, ma il Sistema Paese nel suo complesso non sembra essere in grado di fornire input supportati all’innovazione.
Questa assenza di un ecosistema per l’innovazione è la causa principale del posizionamento nei livelli inferiori della scala dei Paesi più innovatori pubblicata nel Global Innovation Scoreboard Report (2006) dell’Unione Europea, dove l’Italia figura al 27° posto.
È possibile introdurre dei correttivi a questa situazione attraverso politiche pubbliche di indirizzo e sostegno all’innovazione? La risposta è affermativa a condizione che si adottino misure che impongano una svolta strutturale alle politiche sin qui seguite.
Le misure essenziali sono almeno quattro:
– una politica organica per il finanziamento pubblico alla ricerca che metta in relazione la ricerca di base al suo utilizzo industriale a partire dalla ricognizione delle tecnologie nelle quali il Paese possa esprimere un vantaggio competitivo;
– politiche di sostegno all’innovazione a livello locale valorizzando le competenze e le specializzazioni dei distretti, prendendo come riferimento il Programma per lo Sviluppo dei Poli di Competitività messo in atto dal Governo francese;
– una relazione più stretta tra università e imprese che consenta alle prime di rendere più funzionale il sistema formativo alla creazione delle competenze di cui il Paese necessita e alle seconde di accedere a esse a costi più contenuti;
-un sistema di soggetti privati (Banche, società di Venture Capital, Fondi di Private Equità) che siano specializzati e sappiano condividere il rischio con le imprese stesse.
È evidente che l’insieme di queste misure presuppongano da un lato l’attivazione di una cabina di regia a livello governativo dotato di poteri e risorse e, dall’altro, imprese che abbiano coraggio e voglia di innovare per essere più efficienti e competitive.Sono queste le speranze e gli auspici per il 2007.


* Giancarlo Capitani è amministratore delegato della società di ricerche di mercato NetConsulting, tel. 02.4392901, capitani@netcons.it

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