IIct: riciclare per l ’ambiente e per il business

La sensibilizzazione agli effetti che la rapida obsolescenza degli apparati ict ha sull’ambiente, porta da un lato allo sviluppo di tecnologie eco-sostenibili e dall’altro a norme sulla gestione e recupero dei ‘rifiuti tecnologici’ la cui applicazione può anche tradursi in nuovo business

Pubblicato il 02 Gen 2005

MILANO – Se ne parla da anni, ma il tema del rapporto fra tecnologia e ambiente resta sempre’ caldo’ ;ed è particolarmente sentito nel mondo dell’ It, dove è ormai ricorrente registrare da parte dei produttori hardware dichiarazioni circa il fatto che la tecnologia, ritenuta spesso responsabile di impatti negativi, possa invece contribuire ad uno sviluppo eco-sostenibile e all’insegna della tutela ambientale. Il fenomeno, facile immaginarlo, offre notevoli spunti di analisi e fra questi anche il fatto che le attività incentrate sul riciclo dei rifiuti informatici sta diventando, soprattutto negli Stati Uniti, un business da cavalcare con attenzione, anche in relazione al supporto fornito in proposito dalle istituzioni governative competenti. Si pensi per esempio all’Asset Recovery Services Program realizzato dalla californiana Gateway, uno dei marchi più noti dell’informatica consumer americana: si tratta di un programma di riciclaggio che contempla il ritiro (previa cancellazione dei dati sensibili) dei vecchi computer di qualsiasi produttore, la rottamazione delle macchine, il recupero delle parti riciclabili ed un accumulo di credito (se le macchine sono in condizioni tali da poter essere rimesse in commercio)per i futuri acquisti di hardware. Un modello che ricalca quello, di successo, relativo alla rottamazione e alla permuta delle automobili usate e che soddisfa le direttive del governo federale e delle amministrazioni locali, le associazioni ambientaliste e le casse della Gateway del caso, che riceve un contributo di 30 dollari per ogni pezzo (Pc, notebook, server, monitor…) ritirato dalle aziende. La questione del riciclaggio dei Pc usati e le iniziative per la rivendita di computer assemblati con componenti usati, operazione che unisce gli interessi di bilancio alla salvaguardia ambientale, sta interessando naturalmente anche i grossi calibri del computing mondiale. Di Ibm e del suo programma di ‘asset recovery’ parliamo nell’articolo che segue, mentre Hp ha lanciato un programma mondiale di ritiro e "riciclo responsabile" dei consumabili per stampanti. Un’ altra strada è quella di produrre apparecchi limitando al minimo i consumi di energia. Non è facile, e per averne una prova basta chiedere a Philips i requisiti necessari per poter etichettare un prodotto (nel caso, monitor Lcd) con il logo "Green Flagship" a garanzia di prestazioni ambientali significativamente migliorate. Un’iniziativa italiana che va sicuramente menzionata è quella di Cdc , una realtà che in fatto di gestione di apparati informatici ne sa qualcosa in virtù di una struttura che con le catene Computer Discount, Compy e Amico conta oltre 600 punti vendita e che serve oltre 25.000 dealer operanti in area consumer e Soho. ‘Ecodigitale’ è un programma di autoregolamentazione primo nel suo genere quanto a procedure per gestire il ciclo di vita dei prodotti tecnologici nel rispetto dell’ambiente. Cdc attua il programma con una campagna di ritiro e successivo trattamento ecocompatibile di Pc, stampanti ed accessori multimarca che coinvolge circa 200 punti vendita in Italia. Nel luglio 2004, in concomitanza con l’adesione al progetto Eco-digitale, Cdc ha ottenuto la certificazione Iso del proprio Sistema di Gestione Ambientale. Anche per questo, l’entrata in vigore della direttiva 2002/96/CE sui rifiuti elettronici è attesa con favore dal suo amministratore delegato, Leonardo Pagni, che ha rilevato come il recepimento della direttiva "…va inquadrato in un contesto in cui le politiche nazionali potrebbero prendere a riferimento best practices già promosse dai grandi vendor e da quelle realtà nazionali in grado di controllare la distribuzione dei prodotti informatici e di programmare iniziative concrete sul ciclo di vita di questi prodotti". Attività quindi che, nel caso di Cdc, hanno contemplato accordi con operatori certificati volti a garantire la corretta gestione (riciclo o smaltimento in base alle norme vigenti), la formazione del personale addetto alle vendite (da erogare in modalità e-learning) e programmi per incentivare la restituzione da parte dei clienti dei vecchi Pc attraverso promozioni ad hoc sull’acquisto dei nuovi modelli.

E-WASTE:UN ENORME PROBLEMA
Le dimensioni del problema e-waste in Italia, così come le ha dipinte nel suo intervento all’ultimo Smau Enrico Barboglio, direttore del consorzio Equoqual’It (nato nel 1994 per la tutela della qualità, anche nella fase di smaltimento, delle apparecchiature per l’ufficio), fanno riflettere. I rifiuti hi-tech nel 2002 ammontavano a 12.000 tonnellate di monitor e altrettante di personal computer, 1.240 di server, 900 di scanner, 2.610 di stampanti, 13.800 di fax, copiatrici e multifunzione e 4.990 di consumabili per stampanti. In totale, oltre 35.500 tonnellate di materiale, frutto, oltre che di una crescita generale dei rifiuti fra il 3 e il 5%annuo (secondo l’ UE il tasso più elevato tra i paesi europei), della crescita esponenziale dei consumi di apparecchiature elettroniche e della loro rapida obsolescenza. Un problema enorme, quindi, e anche complesso, cui comunque si è tentato di dare delle soluzioni. Eco-Dealer ed Eco-tech, il Consorzio di Qualità per l’eco-trattamento dei beni durevoli a fine vita e Consorzio Certo sono progetti a firma Equoqual ‘it (ne fanno parte quasi tutti i grandi vendor del mondo copy e printing) che cercano di rispondere a vari livelli alla lacunosa mancanza di normative specifiche e procedure di riferimento chiare per operare correttamente sul fronte della gestione del rifiuto tecnologico. Progetti che, raccomanda Barboglio, devono trovare necessariamente una corrispondenza nelle politiche di Corporate Social Responsability delle aziende It per quanto riguarda azioni mirate sul ciclo di vita dei rispettivi prodotti, nella maggiore sensibilizzazione al problema di distributori e utenti finali e nel rispetto delle norme internazionali prossime ad andare in vigore.

IT RECOVERY, IL BUSINESS SECONDO IBM
Sulla sorte dell’hardware reso obsoleto dal progresso tecnologico, Ibm ha un’idea precisa: ridare valore agli investimenti fatti allungando il ciclo di vita delle macchine, nel rispetto della norma europea Weee (Waste Electrical and Electronic Equipment), che sarà in vigore dal 2006, sul recupero dei materiali dannosi per l’ambiente. La linea di business responsabile dell’intera gestione, dal buy back delle macchine alla loro rigenerazione e reimmissione nel mercato, è Ibm Global Financing (IGF;www.ibm.com/financing/europe), la quale lo scorso novembre ha annunciato ufficialmente l’ espansione del programma Ars (Asset Recovery Solutions), che occupa oltre 300 persone nel mondo e che in area Emea è sotto la direzione di Andrew Stubbs (Vp di Global Financing), un manager che si occupa di riciclo e riuso tecnologico dal 1993. Nel complesso industriale di Mainz, in Alsazia, Ibm rigenera i materiali elettronici destinati alla rottamazione, condividendo l’impegno con Geodis (www.geodis.com), gruppo internazionale esperto nella gestione della logistica e del trasporto, che nel 2003, si è aggiudicata un contratto di outsourcing per cinque anni, con una previsione di revenue che la stessa Geodis ha stimato pari a 100 milioni di euro l’ anno. L’organizzazione realizzata da Ibm per la rigenerazione dell’hardware è tale per cui dei componenti analizzati, tutti rigorosamente registrati da un software di gestione che ne rileva otticamente il numero di serie, solamente il 2%è risultato escluso dal ricondizionamento e dalla trasformazione. Nel 2003, ogni settimana, sono state esaminate oltre 22.000 macchine, tra notebook, Pc desktop, Intel server, stampanti, monitor e altri dispositivi.

I DATI SCOMPAIONO, L’ HARDWARE RIVIVE
Nel processo, una grande attenzione è giustamente riservata alle operazioni di’ pulizia’ dei dischi, per la rimozione del software, di base e applicativo, e dei dati, che vengono condotte rispettando le leggi internazionali e quelle locali di ogni Paese riguardo la protezione dei dati sensibili. Le tecniche impiegate per il trattamento di rimozione delle informazioni dagli hard disk sono certificate e rispettano, in particolare, lo standard 5220-22-m del Dipartimento della Difesa Usa, che rende impossibile il ripristino dei dati cancellati. Le operazioni per il recupero dell’usato durano complessivamente 12 giorni e sono organizzate in modo da assemblare "nuovi " computer completi di imballaggio e di garanzia. Inoltre, rivelano anche sorprendenti aspetti, per così dire’ creativi’ , del reverse engineering. Ad esempio, migliaia di monitor dismessi perché oramai superati rispetto agli standard qualitativi attuali vengono riconvertiti in apparecchi televisivi e venduti a basso prezzo in India, Pakistan, Cina ed Africa. Questa trasformazione, realizzata con la collaborazione di partner locali, oltre ad evitare la distruzione di migliaia di tubi catodici altamente inquinanti, consente di ricavare consistenti profitti, considerando che su 1.000 monitor obsoleti solamente 7 risultano totalmente inutilizzabili. Di queste operazioni di recovery, Ibm ha un’esperienza ventennale e i suoi servizi correlati al riuso dei componenti, finora erogati in vasta scala nel continente americano (Canada, Usa e America Latina), sono utilizzati da 125.000 aziende. Attraverso il recupero delle macchine esistenti ed il loro upgrade hardware e software, Ibm GF stima di poter ridurre del 20%i costi di nuovi deployment. A livello di Corporation, Ibm intende rafforzare ulteriormente la propria offerta nell’area del riciclo attraverso accordi con subcontractor, e considerando la versatilità delle soluzioni proposte e gli interessanti riscontri economici che ne derivano, non le sarà certamente difficile attirare ancora altri business partner.

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