Il CRM nell’era dei big data e della digital transformation

La sfida delle aziende post Covid sarà lavorare sulla trasformazione digitale che non deve essere soltanto la traduzione dei sistemi tecnologici e della modalità di accesso alle informazioni ma un processo di profondo cambiamento organizzativo, sulle persone e sui processi

Pubblicato il 08 Set 2020

Sara Leonetti

consulente marketing e comunicazione

Customer relationship management (CRM): cos'è, come funziona e significato delle 4 P e 4 C

L’emergenza sanitaria e il Coronavirus hanno dato una forte scossa e accelerazione alle abitudini di acquisto dei consumatori e ai relativi processi aziendali. Il Covid19 ha costretto tutti noi a cambiare il modo con cui relazionarci con amici e affetti, le routine lavorative, la didattica, i rapporti professionali. E il digitale è diventato l’elemento centrale intorno al quale abbiamo riscritto la nostra quotidianità e attorno al quale le aziende hanno costruito la propria sopravvivenza, prima, e il proprio futuro poi. Ecco perché, di fronte alla centralità di Internet messa in evidenza dal Covid, serve un’effettiva svolta digitale, con al centro le “persone”. Il Customer Relationship Management (CRM) è una strategia per la gestione di tutti i rapporti e le interazioni di un’azienda che hanno luogo con i clienti potenziali ed esistenti. Un sistema CRM aiuta le aziende a rimanere in contatto con i clienti, a semplificare i processi e a migliorare la redditività e per farlo si basa sui dati (non a caso, prima di CRM si parlava di Database Marketing”).

Eppure, spesso la gestione delle relazioni con i clienti è esclusivamente demandata a software o applicazioni standard. E anche se il CRM è prima di tutto “management”, gestione e strategia (a volte si sente dire “hai un CRM?” per sottendere un applicativo per la gestione dei dati, un software, una macchina). Ma senza gli operatori e gli analisti, come interpretare quei numeri, quelle statistiche, quei dati?

CRM, non solo macchine, ma persone

Il nostro Paese, lo sappiamo, non brilla in termini di digitalizzazione. Se prendiamo come riferimento i dati del Digital Economy and Society Index (DESI), l’Italia anche per il 2019 è in terzultima posizione. I problemi che ci rendono fanalino di coda tra i 28 Paesi UE sono vari, tra questi spicca il cosiddetto “capitale umano” e quindi non solo di rete, non solo di connettività, non solo di software… Le persone sono l’elemento chiave ma anche l’investimento più grande per un’azienda in termini di formazione, di motivazione e di crescita.

Lavorando ad alcuni progetti di formazione in azienda sui temi del CRM, in aziende soprattutto B2B, evolute e con un taglio internazionale, sono portata a riflettere sulla digitalizzazione delle PMI: tante aziende hanno costruito la propria forza nella specializzazione (“siamo gli unici a fare questo”) o nella differenziazione (“solo noi abbiamo questo brevetto specifico”) e comunicano e trasferiscono queste caratteristiche ai clienti attraverso i commerciali. Questo punto è molto interessante: le persone nei processi business to business, sono ancora una leva fondamentale. Il commerciale dell’azienda X diventa per il cliente l’azienda stessa, incarna i valori e le competenze, i vantaggi e gli svantaggi. Non solo: queste persone immagazzinano anche tanti dati formali e informali che, a volte, trascrivono in programmi di gestione dei clienti o CRM ma che tante altre volte tengono per sé. “Quando vedo un rivenditore per la prima volta, so già se per lui sarà fondamentale il prezzo o il design” mi hanno detto. Ecco, questa per me è la chiave di volta di un progetto di CRM: siamo nell’era dei big data, ma non possiamo prescindere dagli small data, frutto dell’osservazione.

Nel consigliatissimo libro di Martin Lindstrom “Small data. I piccoli indizi che svelano i grandi trend”, l’autore parte proprio da questo assunto: gli indizi più piccoli e insospettabili possano rivelare grandi verità sul comportamento dei consumatori. Lo fa citando il caso di LEGO che, nella primissima fase di digitalizzazione dei consumi stava cambiando il proprio business per dar retta ai big data (“i bambini non ameranno giocare con i mattoncini ma solo con App”, “le dimensioni dei mattoncini sono troppo grandi per bambini abituati al digitale”…) quando invece la chiave per rimanere sul mercato e crescere era nell’osservazione dei ragazzi che giocavano con passione ai Lego e che volevano sfidare se stessi in composizioni sempre più complesse e articolate.

Una tecnologia in evoluzione

Il dato positivo è che il CRM è uno dei trend digitali in evoluzione. Seppure abbia ormai quasi 30 anni (le prime teorie risalgono agli anni ’80), è ancora tra i principali strumenti aziendali di marketing strategico ed operativo. Il dato negativo è che viene troppo spesso associato alla tecnologia e non alla competenza (delle persone). La sfida delle aziende post Covid sarà proprio questa: lavorare sulla trasformazione digitale che non sarà soltanto la traduzione dei sistemi tecnologici e della modalità di accesso alle informazioni. L’obiettivo è e sarà quello di attuare un processo di profondo cambiamento organizzativo, sulle persone e sui processi. Appunto.

Ne parliamo da anni, certo. Ma l’accelerazione che l’emergenza pandemica ha portato dal punto di vista della trasformazione digitale ha la stessa forza anche nel necessario cambio di rotta delle organizzazioni. Pena la sopravvivenza delle aziende stesse. Dobbiamo rivedere tutti i processi e tutti gli attori compresi in queste dinamiche: clienti, dipendenti, partner commerciali e oltre a ragionare in termini di efficienza ed efficacia, dobbiamo definire quei processi che ci permettono di restare in piedi anche di fronte ad una pandemia.

Ma torniamo alle persone: la risposta a questo momento di incertezza non sarà nella re-ingenerizzazione dei processi aziendali in modo scientifico, ma nella ricostruzione e re-immaginazione da parte delle persone che lavorano nelle aziende. Loro che conoscono i propri clienti, che ogni giorno hanno un rapporto diretto con la forza vendita e che contribuiscono a migliorare prodotti e processi apportando migliorie minime ma continue che nessun big data può prevedere. Per attuare questo cambiamento, però, le organizzazioni dovranno dotarsi di ambienti digitali complessi ma completi e user friendly, in cui stimolare l’analisi, la collaborazione e l’innovazione. Ma non basta. Purtroppo ci sono ancora milioni di persone che mancano di competenze digitali essenziali e per questo le istituzioni e le imprese dovrebbero investire nell’inclusione digitale per tutti.

Siamo nell’era dei big data. Questo termine, ormai entrato nel vocabolario comune, descrive un grande volume di dati, strutturati e non strutturati, che ogni azienda deve gestire ogni giorno. Il fatto che oggi abbiamo una grande quantità di dati da sfruttare è interessante e potenzialmente enorme, ma spaventa molto il fatto che molte aziende non sappiano come utilizzare queste informazioni e le archivino solo per fame di dati. I big data, per contare qualcosa, devono essere interrogati per avere informazioni di valore che portino a decisioni aziendali e a mosse strategiche di business. Cosa puoi farne di un frigorifero pieno, traboccante di cibo, se non hai una ricetta dettagliata?

Solo quando tutte le persone saranno in grado di leggere i dati potremo parlare di big data e di CRM. Fino a quel momento saranno solo tecnologie e non strategie.

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