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Quali sono le sfide della robotica chirurgica?

Gianpaolo Turri di Namiki ci accompagna alla scoperta del futuro della robotica chirurgica: un’evoluzione in pieno svolgimento il cui sviluppo dipenderà da fattori tecnologici e non solo.

Pubblicato il 14 Mag 2021

namiki

La fantascienza, nel corso degli anni, ha consegnato all’immaginario collettivo l’idea di robot in grado di assolvere a ogni compito umano in modo migliore e più efficiente. Tra le attività che certamente solleticano di più la fantasia vi è quella di robot chirurghi in grado di eseguire operazioni a prova di errore.

A rendere questo scenario non più da fantascienza, ma solo futuribile, ci pensano aziende come Adamant Namiki, colosso giapponese specializzato nella produzione di micromotori, lavorazioni di precisione e soluzioni in fibra ottica.

Il futuro è vicino

“La robotica in ambito chirurgico – spiega Gianpaolo Turri, CEO e Presidente della filiale europea di Adamant Namiki – è un percorso che attraverserà una serie di fasi. La prima fase, che può essere considerata quella dello sviluppo di strumenti di automazione, possiamo considerarla conclusa e oggi è iniziata la fase due.

In questa fase le macchine supportano e assistono l’uomo, semplificando il compito del chirurgo umano, aumentando la precisione dell’intervento, accelerando i tempi di esecuzione, e contribuendo a migliorare significativamente la fase post operatoria. La mia previsione è che questa fase proseguirà fino al 2050. La terza e ultima fase in cui le macchine si sostituiranno all’uomo è ancora lontana e dai risvolti difficilmente prevedibili”.

Il robot entra in sala operatoria

Le tecnologie Namiki sono oggi utilizzate in sistemi robotici per chirurgia mininvasiva ad alta precisione che permettono di supportare i medici nelle attività chirurgiche. Gli interventi di chirurgia mininvasiva vengono eseguiti attraverso l’uso di endoscopi e pinze miniaturizzate che sono inserite attraverso un piccolo foro. Si tratta di interventi che coniugano massima precisione con minimo impatto sul paziente, favorendo rapidi tempi di recupero.

“Namiki – spiega Turri – sta lavorando a una soluzione che dovrebbe essere sul mercato prima del 2025 e che segna un’importante novità rispetto agli attuali sistemi chirurgici robotizzati per chirurgia mininvasiva. Si tratta di un sistema robotico indirizzato a interventi di alta precisione (per esempio cardiaci) progettato per essere interamente collocato e utilizzo all’interno della sala operatoria, anziché venire azionato dall’esterno.

Questo permetterà ai chirurghi di alternarsi rapidamente nell’uso del robot sul paziente senza dover ripetere le operazioni di vestimento e sterilizzazione necessarie nel caso in cui si esca e si rientri in sala operatoria. Inoltre, con questo sistema contiamo di dimezzare i costi rispetto a quelli dei sistemi attuali.”

Miniaturizzazione e controllo

Turri spiega che, a livello tecnologico, tre sono gli aspetti che condizioneranno in modo fondamentale il modo in cui si svilupperà la robotica chirurgica.

Il primo è la miniaturizzazione. Si tratta di uno dei punti di forza di Namiki che, nella sua storia pluridecennale, ha messo a punto processi di lavorazione e assemblaggio di parti di precisione.

L’azienda nipponica già oggi commercializza micromotori con diametro inferiore a 2 mm, grazie a un modello di progettazione di tipo “coreless” che permette di eliminare il nucleo in ferro presente nel rotore dei motori standard, non solo riducendo gli ingombri, ma anche aumentando l’affidabilità e la durata del motore. Questi micromotori vengono attualmente utilizzati, per esempio, per la realizzazione di pinze chirurgiche.

Una seconda sfida da affrontare verso questo percorso tecnologico è la precisione nel controllo che interessa sia la componente elettronica sia le lavorazioni meccaniche ad altissima precisione necessarie per garantire azionamenti meccanici micrometrici.

Anche in questo ambito Namiki può mettere a frutto la sua esperienza nelle lavorazioni meccaniche ad alta precisione oltre ad aver sviluppato soluzioni uniche come la tecnologia Dynalox. Si tratta di un sistema meccanico che permette di mantenere bloccati gli ingranaggi di un motore senza richiedere alimentazione elettrica: un’innovazione che riduce il consumo di energia elettrica e che consente, per esempio, di mantenere serrata la presa di una mano robotica in caso di interruzione di corrente.

Intelligenza artificiale

Un robot che dovesse eseguire autonomamente un’operazione chirurgica si troverebbe a dover fronteggiare situazioni caratterizzate da estrema variabilità e dovrebbe essere in grado di reagire anche nel caso in cui la situazione si presentasse in modo differente dalle previsioni. Questa esigenza apre la strada alla terza e forse più impegnativa sfida della chirurgia robotica che è quella dell’intelligenza artificiale.

Pensare, attualmente, di definire un flusso di lavoro rigoroso per un’operazione chirurgica è impossibile. L’obiettivo, oggi, deve essere quello di tradurre l’esperienza del medico in una capacità di analisi basata su un database più ampio possibile, contenente lo storico di tutte le situazioni analoghe.

“La componente di intelligenza artificiale – prosegue Turri – è l’aspetto più complesso, ma anche quello più stimolante per un’azienda come Namiki che, negli ultimi anni, ha attraversato un periodo di profondo rinnovamento, evolvendo da un modello esclusivamente manifatturiero verso quello di un “solution provider” che si sposta più in alto nella scala di valore. Il nostro obiettivo è sempre più di integrare le varie tecnologie per coniugare meccanica, elettronica ed ‘embedded intelligence’ e produrre soluzioni ad alto contenuto tecnologico”.

Gli ostacoli non tecnologici

Lo sviluppo della chirurgia robotica si dovrà confrontare anche con altri temi che esulano dagli aspetti puramente tecnologici.

Mano a mano che le macchine acquisteranno maggiore livello di autonomia nella fase di intervento sarà inevitabile che venga sollevato il tema etico. A questo si associa direttamente quello delle responsabilità, soprattutto in alcuni Paesi, come gli Stati Uniti, dove il mondo della sanità è legato a filo stretto con quello assicurativo. Se l’operazione eseguita da un robot chirurgo dovesse andare male a chi andrebbe imputata la responsabilità? Al costruttore, allo sviluppatore del software, all’operatore o alla realtà che gestisce e provvede alla manutenzione?

Anche l’aspetto del “change management” assume un’importanza rilevante sui medici che dovranno utilizzare nuovi sistemi robotici e che, non sempre, potrebbero essere entusiasti di farlo per svariate ragioni.

L’evoluzione porterà anche alla creazione di nuove figure professionali di intermediazione, sia dal lato dei produttori/venditori dei sistemi robotici sia dagli utenti, in cui competenze tecnologiche e mediche dovranno convergere.

“Dal punto di vista commerciale – continua Turri – è anche necessario riuscire a convincere il direttore acquisti e il direttore sanitario poiché il capitale investito è significativo. Lo sono però anche i vantaggi: dall’aumento del numero di operazioni che si riescono a eseguire, al miglioramento dell’intervento e della fase post operatoria.

Gli ‘early adopter’ di strumenti robotici chirurgici avanzati sono individuabili in strutture di eccellenza, prevalentemente del settore privato, con una visione lungimirante e che non si fanno intimidire dalla gestione del cambiamento. Queste strutture faranno da apripista favorendo economie di scala che porteranno a una progressiva riduzione dei costi di produzione, rendendo queste tecnologie accessibili a un numero sempre maggiore di cliniche e ospedali”.

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