Negli ultimi anni l’intelligenza artificiale è passata da promessa tecnologica a realtà quotidiana per molte imprese. Nonostante l’entusiasmo, però, la difficoltà principale non è tanto nell’adozione di strumenti, quanto nella capacità di inserirli in una strategia AI aziendale coerente e di lungo respiro. È il punto ribadito da Jake Bird, direttore di JI Marketing, intervistato da David Rowlands nel podcast B2B Marketing, secondo cui «l’AI non può essere trattata come un progetto parallelo, ma deve essere intrecciata agli obiettivi e ai processi di business».
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Oltre la sperimentazione: l’AI come parte della strategia
Molte organizzazioni, afferma Bird, cadono nell’errore di considerare l’intelligenza artificiale come un esperimento a margine delle attività principali, magari gestito da singoli dipendenti più curiosi o competenti. Questa impostazione rischia di isolare l’AI in un ruolo secondario. «Le aziende spesso la trattano come un ambiente sandbox accanto alle altre operazioni, ma in realtà influisce direttamente sui KPI, sugli investimenti e sulla capacità di crescita».
Integrare l’AI significa ripensare i modelli organizzativi. Un’impresa che fino a ieri destinava parte del budget a nuove assunzioni oggi deve valutare se convenga bilanciare quelle risorse con investimenti in sistemi basati sull’AI. «Puoi continuare a impiegare professionisti qualificati al massimo del loro potenziale, ma allo stesso tempo investire in strumenti personalizzati che aiutino a scalare il lavoro» osserva Bird.
KPI, crescita e tempo restituito ai team
Guardare all’AI solo come leva di efficienza rischia di ridurre la portata del cambiamento. Bird sottolinea che «molti misurano l’impatto in termini di riduzione dei costi, ma l’obiettivo non è abbassare le spese operative del 5%. La vera domanda è: quanto tempo viene restituito ai team? Quanto migliora la scalabilità? Quanto cresce la qualità dei contenuti e dei processi?».
In altre parole, la strategia AI aziendale deve spostare il focus dal breve termine al medio-lungo periodo. Non si tratta di moltiplicare output con gli stessi modelli di lavoro, ma di ridefinire come si generano valore e crescita. Per le imprese con cicli di vendita lunghi, come accade in molti settori industriali e dei servizi, l’impatto più significativo dell’AI emerge solo a distanza di mesi, quando efficienza e qualità si traducono in vantaggi competitivi concreti.
Come valutare il livello di maturità
Un passaggio chiave dell’intervista riguarda la cosiddetta “cartina di tornasole” dell’AI readiness. Bird distingue il piano individuale da quello organizzativo. Per i professionisti, l’indicazione è semplice: se non si utilizza l’AI almeno una volta al giorno, significa che non la si sta sfruttando pienamente. Per le aziende, invece, la maturità dipende dalla presenza di una strategia AI aziendale strutturata, fatta di team capaci di gestire più strumenti, competenze diffuse di prompt engineering, flussi di lavoro ben disegnati e una roadmap chiara sul lungo periodo.
In mancanza di questi elementi, la posizione resta immatura, anche quando l’azienda dichiara di avere adottato strumenti avanzati come Copilot o piattaforme di automazione.
L’impatto sull’organizzazione del lavoro
L’arrivo dell’AI solleva spesso il timore di sostituzione del lavoro umano. Bird offre una lettura diversa: «Non credo che avremo meno persone in un team nei prossimi cinque anni». L’AI non è in grado di sviluppare pensiero strategico o creativo, ma eccelle nel rendere scalabili attività ripetitive o time-consuming.
Il risultato non è la scomparsa dei ruoli, ma la loro trasformazione. Alcune mansioni si ridurranno, altre emergeranno. Professionisti di settori diversi – dalla finanza alla logistica, dalla sanità al retail – saranno chiamati a usare l’AI come supporto predittivo, lasciando spazio al capitale umano nelle decisioni creative e di visione.
Il valore della formazione interna
Per costruire una vera strategia AI aziendale non basta acquistare software o implementare sistemi. La priorità, spiega Bird, è la crescita delle competenze interne. «Il primo passo è concentrarsi sul team, far sì che impari a usare gli strumenti in modo consapevole, a scrivere prompt efficaci e a identificare nuove aree di applicazione».
Questo approccio produce un effetto moltiplicatore: quando i dipendenti comprendono il potenziale della tecnologia, iniziano a proporre soluzioni, a sperimentare e a condividere best practice, trasformando la cultura organizzativa. È in questa fase che la strategia diventa davvero operativa e si consolida come vantaggio competitivo.
Dalla prototipazione alla proprietà intellettuale interna
L’integrazione dell’AI non significa sempre affidarsi a soluzioni esterne. Bird suggerisce alle imprese di sperimentare la creazione di strumenti proprietari, anche in forma di prototipi. «In poche settimane puoi costruire un modello di sistema interno, testarlo e capire come scalarlo o addirittura trasformarlo in offerta commerciale».
Questi progetti non solo rafforzano la capacità operativa, ma contribuiscono a generare know-how interno, patrimonio prezioso per qualsiasi azienda che punti alla crescita.
Una visione trasversale per ogni settore
Le riflessioni di Bird nascono dall’esperienza nel marketing, ma hanno un respiro molto più ampio. Che si tratti di manifattura, servizi finanziari, healthcare o retail, la lezione rimane valida: se l’AI non viene considerata solo come un accessorio, si rivela un fattore abilitante di trasformazione. Le aziende che riescono a integrarla nei processi, formare le persone e orientare gli investimenti su basi strategiche sono quelle meglio posizionate per affrontare la competizione globale.