All’Oracle AI World di Las Vegas la multinazionale americana ha scelto di riaffermare la propria identità: una data company con un’anima profondamente tecnologica, che oggi mette l’intelligenza artificiale al centro della propria evoluzione. Oracle punta a un ecosistema in cui dati, infrastrutture e applicazioni dialogano nativamente con l’AI, trasformando il cloud in un ambiente “intelligente” e aperto.
«Il cambio di nome dell’evento, da CloudWorld ad AI World, non è solo una scelta di comunicazione», ha spiegato Carlota Alvarez, country manager di Oracle Italia. «È una dichiarazione dettata dai tempi. L’intelligenza artificiale ha cambiato profondamente la nostra azienda, così come cambierà il mondo. Larry Ellison ha detto che sarà persino più importante di Internet vent’anni fa nel mondo enterprise».
La visione è quella di un’AI “pervasiva e nativa” in ogni livello dello stack Oracle (dal database all’OCI, fino alle Fusion Applications) capace di funzionare in continuità, senza migrazioni complesse. «Essere già vicini ai dati», ha aggiunto Álvarez, «significa poter offrire ai clienti un’adozione immediata, senza spostarli né cambiare processi. È questo uno dei nostri grandi differenziatori».

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I tre pilastri: open, performance, enterprise
A sintetizzare la direzione dell’azienda è Andrea Sinopoli, VP & Country Leader Cloud Tech OCI di Oracle, che ha condensato la strategia in tre parole: open, performance ed enterprise.
Open, prima di tutto, significa interoperabilità. «Vogliamo fornire tecnologie aperte, che favoriscano l’interconnessione tra sistemi e cloud diversi», ha spiegato Sinopoli. «È una filosofia che attraversa tutta la piattaforma OCI, dal multicloud alle collaborazioni con altri provider».
La visione prende forma nella AI Data Platform, che adotta formati aperti come Apache Iceberg e Delta Lake per eliminare la duplicazione dei dati e permettere di lavorare in modo trasversale su dataset provenienti da più ambienti. L’adozione del protocollo Model Context Protocol (MCP) e di Agent-to-Agent (A2A) consente inoltre la cooperazione fra agenti e modelli diversi.
A queste basi si aggiunge Vector Search, tecnologia che interroga i dati in forma vettoriale e consente di combinare ricerche vettoriali e ricerche relazionali nello stesso database, evitando la necessità di strumenti esterni o duplicazione dei dati.
In sintesi, l’approccio è il seguente: l’AI Agent Studio consente ai clienti e ai partner di scegliere l’LLM più adatto alle proprie esigenze (sono supportati OpenAI, Anthropic, Cohere, Google Gemini, Meta e xAI), collegando i modelli ai dati aziendali tramite il Model Context Protocol. Con Oracle Generative AI Service, questi modelli vengono integrati nell’infrastruttura OCI insieme a strumenti di sicurezza, governance e billing unificato (tramite gli Universal Credits). L’ integrazione tra OCI e le Fusion Applications consente di portare le capacità dell’AI fin dentro i processi di business: nelle Fusion, infatti, i modelli sono già embedded e utilizzabili direttamente dagli agenti AI.
Il secondo pilastro sono le performance. «Quando abbiamo introdotto OCI Gen 2 – ha ricordato Sinopoli – il tema era la scalabilità e il rapporto costo/prestazioni. Oggi dimostriamo che le nostre performance non sono più una promessa, ma un fatto». La collaborazione con OpenAI, che utilizza OCI per i workload generativi, ne è la prova concreta, come sottolineato dagli stessi responsabili di OpenAI durante l’evento di Las Vegas. «È una testimonianza che vale più di mille slide», commenta Sinopoli.
Infine, la vocazione enterprise, che resta la bussola identitaria dell’azienda. «Oracle continua a lavorare nel mercato B2B, con organizzazioni pubbliche e private», ha spiegato Sinopoli. «La vera sfida è aiutare le aziende a integrare i propri dati privati nei modelli LLM in modo sicuro. È lì che si creerà il vantaggio competitivo».
AI Agent e applicazioni
Nel mondo applicativo, come accennato, la trasformazione prende forma con gli AI Agent integrati nelle Fusion Applications, sviluppati e gestiti attraverso l’AI Agent Studio. «Un anno fa avevamo 50 agenti – ha ricordato Giovanni Nubile, Country Leader Applications Private Sector di Oracle – oggi sono 400 e arriveremo a 600 entro la fine dell’anno». Gli agenti, aggiornati trimestralmente, sono operativi nei workflow senza costi aggiuntivi.
Oracle ha anche lanciato l’AI Agent Marketplace, dove partner e ISV possono proporre i propri agenti validati da Oracle da integrare nelle Fusion Applications. L’obiettivo è creare un ecosistema AI “chiavi in mano”, alimentato da oltre 32mila esperti certificati, si legge in una nota della società.
«Oggi – ha sottolineato Luca Vellini, Country Leader Applications Public Sector – i progetti non sono più sull’AI ma con l’AI. Le aziende devono ripensare ruoli e competenze: i direttori del personale del futuro gestiranno risorse umane e non umane, collaborando con agenti intelligenti». L’interazione uomo-macchina, ha aggiunto, sarà sempre più naturale: «Il mondo applicativo dialogherà vocalmente con agenti che eseguono attività umane. È una trasformazione che vedremo presto anche nella Pubblica Amministrazione».
L’intelligenza artificiale vicina e aperta al dato
La dimensione dati resta il cuore della strategia Oracle. «Oracle è e rimane una data company – ha sottolineato Mario Nicosia, VP Technology Data Platform di Oracle –. L’AI non vive senza dati e portare l’intelligenza artificiale vicino al dato, là dove viene usata, è la chiave per garantire sicurezza, performance e semplicità». La AI Data Platform incarna questa filosofia unificando lakehouse, database e modelli AI in un’unica architettura, governata da un catalog che traccia provenienza e qualità dei dati. «Del resto – ha ricordato Lanfranco Brasca, Senior Director Cloud Engineers Italy – se i dati non sono buoni in ingresso, qualsiasi modello, per quanto intelligente, darà risultati poco efficaci».
Il nodo dell’adozione
In ogni caso la vera partita, per Sinopoli, si gioca ora sull’adozione: «Negli Stati Uniti e nel Nord Europa l’AI è più matura. In Italia abbiamo ancora molto da fare, soprattutto nel tessuto delle medie imprese. Ecco perché investiamo nello sviluppo dell’ecosistema di partner e system integrator: sono loro i veri abilitatori dell’AI nel nostro Paese».
Quanto ai costi, Sinopoli ha invitato a un cambio di paradigma: «L’AI non si valuta più in termini di confronto on premise vs cloud. È una leva di innovazione. E nel medio-lungo termine determineranno chi resterà competitivo e chi no».
























